di Pietro Romano
Questione Operatori Socio Sanitari – Il Covid e l’irruzione del digitale stanno trasformando dalle fondamenta la sanità. In Italia e non solo. Eppure tanta parte della nostra sanità si regge ancora su un impianto normativo risalente a ben prima che queste trasformazioni si avviassero. Addirittura ad alcuni decenni fa
La frammentazione della legislazione del settore, in capo alle regioni, in molti casi non aiuta neanche quando vengono introdotte modifiche, così che la situazione finisce addirittura per peggiorare. Un combinato disposto dalle conseguenze che gli Operatori socio sanitari conoscono bene. Purtroppo provandolo sulla propria pelle. Ma che non sopportano più. Le proteste di associazioni e sindacati infatti si stanno moltiplicando. E a ragione.
Chi è e cosa fa l’ Operatore Socio Sanitario
Prima di tutto chiariamo chi è l’operatore socio sanitario e che cosa fa in sostanza. L’operatore socio-sanitario:
- svolge attività di cura con semplici apparecchi medicali e aiuta nell’assunzione dei farmaci
- rileva i parametri vitali dell’assistito e ne percepisce le comuni alterazioni
- procede alla raccolta dei rifiuti, al trasporto del materiale biologico, sanitario e dei campioni per gli esami diagnostici
- esegue semplici medicazioni o altre minime prestazioni di carattere sanitario
- supporta e assiste la persona nelle attività quotidiane e di igiene personale, nella vestizione, nella mobilità e nell’assunzione dei cibi
- si adopera per mantenere le capacità motorie dell’assistito e per fargli assumere posture corrette
- realizza attività di animazione e socializzazione.
La figura dell’operatore socio-sanitario fu introdotta nell’ordinamento nazionale dall’accordo Stato- Regioni del 22 febbraio 2001, un accordo che in oltre ventitré anni non è stato rivisto per nulla. Tranne che per l’ingresso degli operatori (de jure e non solo de facto) nell’area socio sanitaria. E mostra ora tutta la sua inadeguatezza, una inadeguatezza che mette in difficoltà gli operatori, relegati in un limbo, stretti tra demansionamento o abuso di professione a causa di piani di lavoro non ben definiti.
Insomma, è arrivato il momento di portare quest’attività al livello che gli operatori hanno dimostrato sul campo di meritare. Un governo che assicura di posporre i riti all’efficienza, la forma alla sostanza, ha il dovere di intervenire. Benché non sia facile, va ammesso.
La formazione in mano alle regioni presenta le sue carenze
Le associazioni e i sindacati hanno presentato da tempo le loro proposte che, una volta accolte, migliorerebbero l’organizzazione sanitaria e arrecherebbero benefici concreti ai pazienti. Le principali vanno dalla modifica dei titoli necessari all’accesso (non la terza media più brevi corsi ma un percorso di diploma specialistico) alla formazione. Proprio sulla formazione, però, la riforma rischia di arenarsi. Essendo di competenza regionale la formazione specifica per operatori socio-sanitari ha già mostrato le sue carenze.
Necessaria una formazione nazionale e univoca per gli Operatori Socio Sanitari
Sarebbe necessaria una formazione su scala nazionale, perlomeno operata sulla scorta di criteri univoci e da esperti qualificati mentre attualmente la frantumazione regionale non sembra sempre assicurare il meglio. Alle spalle di pazienti e allievi operatori. Probabilmente sarà necessaria una prova di forza da parte del governo centrale per evitare soluzioni pasticciate a questo problema non secondario, anche sotto l’aspetto umano. Un problema che non si può risolvere con un semplice attestato che qualifichi gli operatori socio-sanitari quali assistenti infermieri, come proposto dal alcune regioni. Tutt’altro.