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ITALIA IN CRESCITA: OLTRE LE ASPETTATIVE ECONONICHE

Analisi di un boom economico post-pandemia: è sostenibile o rischia un ritracciamento? Un confronto con le principali economie europee

di Luca Lippi

L’Italia mette a segno un tasso di crescita economico quattro volte più veloce della media europea superando Germania, Francia e Regno Unito. Proviamo a dare uno sguardo “tecnico” a questa crescita per verificarne la dinamica e anche la possibilità che diventi strutturale per il futuro. Soprattutto, ipotizzeremo – se non fosse sostenuta da numeri “buoni” – lo scenario futuro in presenza di un “ritracciamento” del trend attuale.Utile sottolineare che “i numeri” – se non sono falsi – non patiscono influenza ideologica.Cominciamo col dare un orizzonte temporale di partenza a questo “boom economico” che è il post pandemia. L’Italia, come nell’incipit, ha fatto segnare una crescita superiore a economie molto più forti all’interno dell’Eurozona, soprattutto ha tenuto l’inflazione sotto controllo meglio di tutti.

IL PREZZO DA PAGARE

Ogni crescita economica ha il suo lato nascosto, quello che generalmente sfugge durante gli “osanna”. Per essere chiari, è come la sbornia per l’acquisto di una nuova auto di lusso, ma nessuno dei festanti si preoccupa di capire se ci sono le risorse per poterne sostenere i costi di esercizio. Forse sì o forse no, ma comunque un prezzo da pagare c’è e cercheremo di calcolarlo.Se le previsioni degli esperti sono di un debito pubblico italiano fuori controllo nei prossimi tre anni – il più alto d’Europa- probabilmente il prezzo da pagare sarà questo, perché il debito dovrà essere sostenuto in qualche modo. Attenzione però, noi dobbiamo sempre vedere i numeri perché le Istituzioni – a volte – si posizionano ideologicamente.L’Istat, solo pochi giorni fa, ha rettificato la crescita economica dell’Italia al ribasso, nel primo semestre del 2025 +0,4 per cento invece di uno 0,6 per cento previsto (https://www.istat.it/comunicato-stampa/le-prospettive-per-leconomia-italiana-nel-2024-2025/#:~:text=Prospettive%20per%20l’economia%20italiana%202024%2D2025,moderata%20accelerazione%20rispetto%20al%202023). Questo incide sulla previsione del Governo di un PIL all’uno per cento per il 2024.Che l’Italia sia in crescita è un dato di fatto incontrovertibile, ma le ragioni quali sono? Cominciamo col dire che allo stato dell’arte la crescita attuale è stata “finanziata” col debito pubblico. Le casse dello stato sono state prosciugate di 220 miliardi di euro costringendo il Governo ad emettere sempre più debito, non per finanziare la crescita del Paese ma per ripagare gli interessi sul debito precedente. La spesa per interessi stimata è di 88,3 miliardi di euro nel 2024 e in aumento a 90,7 miliardi per il 2025. Per offrire un termine di paragone comprensibile, sono cifre che erodono il 4 per cento dell’intero PIL del Paese. In estrema sintesi, una fetta importantissima dell’intera spesa dello Stato è destinata a pagare interessi impedendo di investire su settori nevralgici per i servizi e la crescita.

Quando uno stato spende più in interessi che – per fare un esempio concreto – nell’istruzione, la conseguenza è una cattiva istruzione e ancor più cattiva formazione di giovani preposti a sostenere la crescita economica del Paese, nella peggiore delle ipotesi impreparati allo sviluppo e governo di nuove tecnologie. La conseguenza non può che essere una migrazione di massa verso istituzioni europee più attente a questo aspetto.

UN PO’ DI STORIA

Nel 1980 tutte le economie europee soffrivano per l’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio. L’Italia, rispetto a tutti gli altri Paesi, dava segni di ripresa. La Banca d’Italia aveva smesso di stampare moneta per finanziare il debito e il Governo rifinanziò la spesa abolendo la scala mobile per limitare l’inflazione. Ci fu il boom delle piccole e medie imprese italiane grazie alle esportazioni di beni artigianali. Nel 1987 il PIL dell’Italia superò quello del Regno unito diventando la quinta economia più ricca al mondo. Tuttavia questa crescita era un fuoco di paglia, alimentata dall’economia sommersa (attività economiche che sfuggono ad ogni rilevazione statistica e ad ogni controllo fiscale) e dall’esplosione del debito pubblico che dal 59 per cento raggiunse il 123 per cento nel 1994. Il dieci per cento del PIL era sufficiente solo a ripagare gli interessi sul debito, una cifra enorme che costrinse il taglio della spesa sanitaria a della quota di partecipazione alla Nato. Nel 2019 l’economia italiana cresce quasi del 4 per cento, il doppio rispetto alla Francia e cinque volte di più rispetto alla Germania. Dopo la pandemia l’Italia continua a registrare una crescita di PIL, 4,2 per cento. Cresciuto anche il numero degli occupati.  

DUE DOMANDE CRUCIALI

Come mai l’Italia, con un debito così grande, riesca sempre a correggere e migliorare i numeri della crescita? Parte del merito è da imputare alla gestione del debito, sceso dal 155 per cento del 2020 al 123 per cento nel 2023 nonostante l’aumento dei tassi di interesse. L’altro segreto che ha facilitato la gestione del debito è legato ai prezzi dell’energia. L’Italia non ha subito contraccolpi violenti – al contrario della Germania – dal taglio delle forniture russe, il resto lo ha fatto il meno undici per cento del prezzo di gas dopo la fiammata iniziale. Anche il turismo e le esportazioni – riprese dopo la pandemia – hanno contribuito al controllo del debito pubblico mantenendo il PIL in salute. Ultimo, ma non ultimo, la crescita dell’indice azionario italiano. Il FTSEMib – indice che include le 40 principali aziende italiane – è cresciuto di circa il 30 per cento dal 2023 a oggi, più di qualsiasi altro indice europeo e non sembra accennare l’arresto.

Per tutti questi motivi l’esecutivo ha ottimi motivi per festeggiare ai risultati fin qui raggiunti, ma è veramente il segnale di una nuova ripresa economica del Paese?

I PERICOLI DIETRO L’ANGOLO

Gran parte di questa crescita è il risultato di sussidi governativi. Introdotti per stimolare l’economia prima della pandemia, poi – sotto forme diverse – sono rimasti. Il fatturato del settore edile è cresciuto del 31 per cento fino al 2023. In tutte le altre economie lo stesso settore è rimasto stabile. Ovviamente, la ghiotta occasione di vedersi rimborsate le spese per efficientamento/ristrutturazione più il gentile omaggio di un ulteriore dieci per cento, ha fatto gonfiare i prezzi del settore a dismisura, generando truffe e vere proprie frodi – danni per lo stato per oltre 16 miliardi di euro -. Se lo stato non ha fatto nulla fino ad ora è piuttosto prevedibile che la “mano morta” in un modo o in un altro non farà mancare la sua azione. Il prezzo da pagare per questo scempio è già in esecuzione, l’aumento dell’inflazione. Quando la crescita “artificiale” stimolata con l’intervento diretto dello Stato esaurirà la sua corsa, non avendo prodotto nulla di strutturato per fungere da trampolino verso nuove forme di crescita, apparirà un enorme baratro all’interno del quale troveremo gli 84 miliardi di evasione fiscale non ancora contrastata con adeguatezza – recuperare evasione con concordati è importante, ma non risolve il problema dell’evasione futura -, la crescita attuale ha arricchito una platea ridottissima di individui, lasciando crescere povertà e disuguaglianza che subirà un ulteriore accelerazione non appena finirà la spinta “artificiale” della crescita sussidiata. La ricchezza dell’un per cento più ricco della popolazione detiene una ricchezza che è 84 volte superiore a quella del 20 per cento più povero. Dunque nel baratro troveremo anche fuga di cervelli e di giovani, salari sempre più bassi e insicurezza lavorativa alle stelle.

IL DEBITO NON È IL PROBLEMA

In questo articolo del 13 febbraio 2023 (https://fchub.it/il-rapporto-debito-pil-non-e-solo-un-problema-italiano-ma-per-noi-e-piu-complicato/) si legge che il debito italiano non è “il problema” dell’Italia, è cresciuto quanto il debito di altri paesi europei. Il problema, piuttosto si nasconde nel denominatore. Se è vero, come è vero, che il rapporto debito PIL all’inizio dell’ultimo decennio, si equivaleva tra le economie dell’eurozona, e se è vero, come è vero, che i debiti pubblici sono cresciuti esponenzialmente in tutte le economie della stessa area, è altrettanto vero che tutte le economie hanno migliorato il rapporto debito PIL tranne l’Italia. Per essere più chiari: laddove sono cresciuti i debiti sovrani, parallelamente sono cresciuti anche i Pil, MENTRE IL pil DELL’Italia è rimasto al palo (in confronto agli altri Paesi). Dunque il problema non risiede nel debito pubblico, ma risiede nel denominatore (il PIL) che non consente la riduzione della forbice. Il rapporto debito/PIL italiano fotografa una situazione di scarsa crescita strutturale rispetto alle altre economie (sottolineiamo che stiamo parlando dell’ultimo decennio, non di quello che è successo dal 2020 a oggi).Dunque la soluzione risiede nella crescita costante e nella pianificazione per una sempre maggiore crescita futura, anche a danno del debito pubblico, non in una maggiore austerità fiscale (come predicato dalla UE). L’Italia si finanzia facendo nuovo debito, mentre dovrebbe finanziarsi con la crescita (che allo stato dell’arte è molto debole).

LE CONSEGUENZE

Finanziare il debito con altro debito significa togliere risorse all’innovazione e all’istruzione, mortificare le infrastrutture accelerandone l’invecchiamento e l’inadeguatezza. L’aumento di posti di lavoro a salari del 30 per cento inferiori rispetto ai salari dei vecchi tromboni sclerotizzati dentro stanze fatiscenti, non consente ai giovani di pianificare un futuro finanziariamente sereno. Non possono pianificare una convivenza, rimangono ancorati alle famiglie di origine. Non crescono e non fanno crescere. Solo il 29 per cento dei giovani possiede una laurea (la maggior parte lauree inutili) contro il 47 per cento della media dei paesi OCSE, questo pesa sulla crescita generando una forza lavoro non qualificata. Nell’ultimo decennio 243 mila giovani italiani (dai 25 ai 32 anni) hanno lasciato il paese per andare all’estero, spinti dall’alto tasso di disoccupazione e da condizioni di vita precarie. 400mila laureati sono emigrati all’estero e in Italia sono rientrati solamente 50 mila professionisti qualificati, il che significa perdita di competenze per l’innovazione e la crescita economica. Questi non sono numeri a caso, li potete trovare nel dettaglio qui (https://consiglionazionalegiovani.it/wp-content/uploads/2022/06/Disuguaglianza-intergenerazionale-e-accesso-alle-opportunita%CC%80.pdf)Anche l’invecchiamento – conseguenza dell’impossibilità di mettere su famiglia e fare figli – contribuisce a rendere sempre più profondo il baratro. La popolazione lavorativa che nel 2024 è di circa 23 milioni di persone, sta diminuendo rapidamente. Entro il 2030 – che è domani – si prevede un ulteriore calo del 10 per cento. Questo crea una pressione insostenibile sul debito perché sempre meno lavoratori devono sostenere una popolazione di anziani che cresce costantemente.

COSA SUCCEDE IN AMBITO FINANZIARIO

In uno scenario macroeconomico che in Italia è più stabile rispetto a paesi come Germania e Francia, la Borsa italiana è cresciuta più delle altre Borse europee, a trainare questo successo sono stati soprattutto i titoli finanziari di cui è ricca l’economia italiana – Unicredit, Intesa San Paolo – e le utilities – Enel, Terna… – che ancora non scontano tutte le problematiche sopra descritte.

CONCLUSIONE

La politica sta facendo quello che può, ma il problema è il consenso. Fare riforme impopolari è dura per tutti i politici, la Spagna lo ha fatto e se ne vedono i risultati. Forse è necessario un assetto costituzionale più rigoroso, dove si possa garantire la governabilità a fronte di un programma politico convincente e trasparente, dove i populismi trasversali siano obnubilati dai numeri e il coinvolgimento dell’elettore sia sollecitato dalla chiarezza e dall’appartenenza. Non è più una questione di colori o bandiere, qui bisogna tirare su le maniche e far ricominciare a girare il Paese tutti insieme. Laddove non arriva la responsabilità individuale di collaborare è necessaria la presenza dello Stato a tutela dell’interesse comune, con ogni mezzo.