La BCE ha iniziato il taglio dei tassi di interesse, tuttavia il mercato obbligazionario ha manifestato una reazione anomala. La causa all’origine dall’anomalia sarebbe scatenata dalle parole della Lagarde che prevede un percorso accidentato in termini di riduzione dei tassi di interesse. A questo punto è obbligatorio cercare di comprendere quali potrebbero essere le aspettative sui mercati
di Luca Lippi
I tassi della BCE passano dal 4 per cento al 3,75 per cento, il taglio è poca cosa ma è un tentativo necessario per testare le reazioni in una situazione nella quale le pressioni inflazionistiche sono ancora aumentate. I dati di maggio hanno evidenziato un rialzo dei prezzi del 2.6 per cento – in aprile e a marzo il rialzo era del 2,4 per cento -. L’indice inflattivo core – è l’inflazione depurata dei componenti volatili di beni e servizi a paniere – è aumentato. Questo sottolinea che la direzione sperata di un ripiegamento della spinta inflattiva non c’è (al momento).
Rallenta la crescita dei prezzi dei beni industriali, mentre quelli dei servizi non hanno ridotto la velocità di crescita. Uscendo fuori dai tecnicismi, la crescita dei prezzi dei servizi si percepisce andando al ristorante dove i prezzi sono aumentati notevolmente. È un aumento del tutto ingiustificato, ma siccome c’è gente che ancora lascia soldi a gestori ingordi nonostante la qualità del servito sia notevolmente deteriorata, di certo l’anomalia persisterà fino a diventare strutturale.
Riassumendo: l’inflazione è calante, ma il cambio di tendenza tra marzo e maggio non conforta le decisioni di politica monetaria della BCE. La banca centrale ipotizza un’inflazione al 2,5 per cento a ridosso della fine del 2024, 2,2 per cento alla fine del 2025 e 1,9 per cento alla fine del 2026.
Gli ammonimenti della BCE
La preoccupazione degli analisti della banca centrale europea si rivolge alla politica degli stati membri. Se è vero, come è vero, che per contrastare il pericolo di una recessione sarebbe necessario attualizzare i salari, è altrettanto vero che in assenza concreta di pericolo recessivo alzare i salari significherebbe spingere l’inflazione verso l’alto. I prezzi aumentano fin quando ci sarà una platea in grado di pagarli. Aumentando i salari si offre la possibilità di far alzare i prezzi, bloccando i salari e riducendo la domanda, i prezzi necessariamente dovranno scendere o smettere di salire. La filosofia dei produttori è sempre in contrasto con la pratica di chi deve governare la politica monetaria.
Ad un eccesso di adeguamento degli stipendi dei consumatori aumenta il rischio di rimanere chiusi nel labirinto dell’inflazione.
È giusto il timing del taglio dei tassi?
Esiste una regola di politica monetaria nota come “Taylor rule” che fornisce lo strumento algoritmico necessario a stabilire quale potrebbe essere il giusto tasso di interesse. Si considerano i tassi di interesse della banca centrale, l’aumento dei prezzi al consumo, gli stipendi…allo scopo di individuare il giusto tasso di interesse. L’Economia non è una scienza esatta – non esiste nessuna palla di vetro – e quindi anche la Taylor rule rientra fra gli “indicatori” importanti ma non sufficienti. Secondo la teoria di Taylor, il tasso di interesse dovrebbe essere più alto di quello noto, esattamente il 6,1 per cento.
Allo stato dell’arte, la riduzione di 0,25 punti base da parte della BCE non è determinante né in negativo né in positivo, però avrebbe avuto più senso dare il segnale di riduzione più avanti nel tempo. In ogni caso secondo la regola di Taylor, la Lagarde provvederà al prossimo taglio molto più avanti rispetto alla previsione di luglio.
Conseguenze dalla riduzione dei tassi di interesse
L’economia europea cresce ma a ritmi molto contenuti. Non siamo ancora in crisi per quanto riguarda l’erosione del risparmio delle famiglie. E la conseguente corsa agli indebitamenti (in sostanza non siamo ancora al livello degli Stati Uniti dove, comunque, le stime di crescita seppure riviste al ribasso sono comunque più solide di quelle europee) quindi lontani da un concreto rischio recessivo. In assenza di rischio recessivo gli asset azionari europei hanno spazio di crescita.
Riguardo l’obbligazionario il discorso è diverso. Stranamente, ma non troppo, dopo il taglio di 0,25 punti base il mercato obbligazionario è sceso invece di salire! La motivazione è nelle dichiarazioni della Lagarde di cui si è fatto riferimento all’inizio dell’articolo. Le parole del presidente della BCE sottolineano chiaramente che non ci sarà a breve alcun taglio ulteriore e che bisogna lavorare soprattutto sulla ripresa inaspettata dell’inflazione a maggio.
Il mercato obbligazionario
La spiegazione tecnica a questo fenomeno va oltre le parole della Lagarde: in questo momento il differenziale tra gli investimenti obbligazionari europei e l’inflazione acquisita è pari allo zero per cento. Se invece si considera il livello di inflazione attesa il differenziale è di circa l’uno per cento. Che significa? Significa che oggi, a parità di inflazione, rispetto al passato i rendimenti obbligazionari sono bassi. Quindi le obbligazioni stanno già scontando la normalizzazione dell’inflazione e della politica monetaria. In sostanza, se il processo di normalizzazione dovesse continuare, la reazione del mercato obbligazionario potrebbe non essere eccessivamente positiva perché già prezzata. Se non dovesse verificarsi la normalizzazione, il mercato obbligazionario avrebbe ancora spazio per una correzione al ribasso.
Analizzando quanto accaduto la settimana scorsa, con questi presupposti, è chiaro il motivo della reazione del mercato obbligazionario. Inoltre si osserva che la maggiore flessione nel corso delle obbligazioni europee si è verificata il venerdì successivo alla pubblicazione negli USA dei non farm payrolls. I quali hanno mostrato una maggiore forza rispetto alle aspettative degli analisti statunitensi.
I non farm payrolls sono la misura del numero di lavoratori negli Stati Uniti esclusi i lavoratori agricoli. Il dato serve per capire quali sono i settori in una fase di espansione o contrazione. L’uscita del dato impatta in particolare sul dollaro e di conseguenza anche sulle materie prime, le equities e le obbligazioni. Dati lavorativi più forti possono spingere in alto la curva dell’inflazione – come già anticipato – quindi questo dato potrebbe aver disturbato il sonno degli analisti europei che vedono sfumare la concreta possibilità di un arresto della spinta inflazionistica anche nel vecchio continente.