La direttiva sulle case green è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale della UE. Il provvedimento entra in vigore il 28 maggio. I 27 stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepire la direttiva e adeguare le norme al provvedimento, lo scopo è quello di raggiungere un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050
di Luca Lippi
Rispetto a un anno fa, quando la direttiva originaria prevedeva interventi drastici e relativi obiettivi irraggiungibili, è molto “diluita”.
In Italia si stima che gli immobili coinvolti siano 12,2 milioni di edifici residenziali, di questi, 9 milioni rientrano nelle classi più energivore (E, F, G). il resto rientra più in generale nel calderone degli immobili realizzati prima del 1976.
Quanto “costerebbe” questa direttiva
In assenza del piano attuativo da parte del Governo, la stima, anche se approssimativa, è impossibile da ipotizzare. Molti immobili sono già stati ristrutturati dai proprietari, un buon 30 per cento sono stati già progettati per essere classificati nelle classi dalla A alla D, quindi senza una revisione è impossibile determinare i costi complessivi. In ogni caso, sulla base dei lavori già eseguiti, si presume che per un condominio, migliorare di due classi energetiche costerebbe in media dai 500 mila euro ai due milioni di euro (dipende dalla grandezza), per un’unità unifamiliare il costo si aggirerebbe sui 115 mila euro (fonte ENEA, dati superbonus). Si parla ovviamente di cappotto termico, caldaie e infissi.
Se i costi potrebbero essere individuati, meno chiara è la reperibilità delle risorse. Al netto della possibilità di trovare finanze, sarà poi così semplice orientare la destinazione? In Italia ci sono centri abitati già un pezzo avanti sulla via dello spopolamento, vuoi per motivi lavorativi, vuoi per eventi naturali catastrofici, le zone colpite dal fenomeno dello spopolamento sono sempre di più, è il caso di destinare risorse su abitazioni che, molto probabilmente, non rivedranno la presenza umana se non un mese l’anno?
Allo stato dell’arte, gli immobili potenzialmente oggetto della direttiva sono 5 milioni per un investimento di circa 320 miliardi di euro (fonte Unione piccoli proprietari immobiliari per dichiarazione del presidente Fabio Pucci).
Stato degli immobili in Italia
Sei immobili su dieci sono stati costruiti prima degli anni 70 – non si parla di immobili storici che sono comunque raccolti in aree circoscritte -. Le compravendite degli ultimi tre anni (post pandemia) hanno avuto per oggetto solo il 10 per cento del totale di case nuove. Se è vero, come è vero, che sul patrimonio “vecchio” i nuovi proprietari anticipano una ristrutturazione prima di stabilircisi, è altrettanto vero che “l’involucro” dov’è l’unità immobiliare resta energivoro. È un problema convincere i proprietari – già in difficoltà per le rate di mutuo – a tirare fuori altro denaro per l’efficientamento energetico di tutta la palazzina.
È un investimento l’efficientamento?
Passare da una classe G a una classe A – appartamento di cento metri quadri – porta a una riduzione di oltre un decimo le bollette per consumo di energia (fonte ARERA-ENEA). Il costo iniziale dei lavori di ristrutturazione in una decina di anni rientra autoalimentandosi, e comunque c’è un miglioramento estetico evidente che mette al sicuro da nuove spese per almeno trent’anni. Chi ci vive o chi vuole vendere, valorizzando e monetizzando la ristrutturazione avvenuta, comunque ne ricava un beneficio.
Sia chiara una cosa: come per la tecnologia si predilige il prodotto di ultima generazione (il nuovo), anche per le case si applica il medesimo criterio. L’immobile ha la stessa esigenza di manutenzione di un’automobile ma fortunatamente non perde la sua funzione primaria. Mantenere un immobile efficiente con manutenzioni certificate lo rende pari al nuovo per chi volesse acquistare e non trova disponibilità di costruzioni nuove appetibili. Lasciarlo invecchiare lo rende invendibile sul mercato e quindi si deprezza velocemente.
Che ne pensa il governo
Il ministro dello sviluppo economico Giorgetti il 12 aprile ha dichiarato di avere votato “contro” il via libera degli stati membri UE alla direttiva. Aggiungendo serie perplessità sulla capacità economica dei proprietari di fare fronte alle spese necessarie per mettere in opera le modifiche. Ad oggi non è ancora chiaro come verrà “sostenuta” l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva. Una certezza c’è: a leggere i programmi per la prossima legislatura europea, sia la Lega sia FdI, sull’argomento case green e auto elettriche, sono in totale contrapposizione con le coalizioni europee cui fanno parte. In sostanza, gli elettori italiani non sarebbero allineati con gli elettori degli altri Paesi Membri. La direttiva è stata congelata proprio per fare in modo che non “scivolasse” sulla nuova legislatura. Ma questo non determina la possibilità di una forte opposizione nei prossimi mesi con relativa correzione di parametri temporali.
In realtà, ad essere logici, il problema non è solo l’inquinamento. Poiché all’italiano medio quando si parla di casa “si chiude la vena”, sarebbe opportuno ricordare che l’Italia è il Paese con la maggiore dipendenza energetica in Europa (il 73 per cento dell’energia che consumiamo dobbiamo comprarla da fornitori esteri). Anche l’Europa soffre questa dipendenza, ma in percentuale minore (55 per cento). Poiché abbiamo visto cosa succede (2022) quando c’è un’impennata dei prezzi dell’energia, per smarcarci dalla dipendenza energetica, prima cominciamo a ridurre i consumi prima cominciamo a risolvere il problema. Costruire una centrale nucleare di nuova generazione necessita di tempi biblici (minimo un decennio). Possiamo cominciare a ridurre le forniture efficientando le abitazioni private e gli immobili industriali.
Impatto sul mercato
Intanto partiamo dal presupposto che il prezzo di un immobile lo fa sempre il mercato. Se l’immobile non è efficientato, ovviamente scende sotto tutta la fila degli immobili già efficientati nella lista dei desideri dei compratori. In Italia c’è la presunzione di pretendere che la casa vale quello che decide il proprietario. Questo deriva dal falso dogma secondo il quale “il mattone è il migliore investimento che ci sia”. Purtroppo non è più così da almeno vent’anni! Siccome il patrimonio degli italiani per il 50 per cento è costituito da immobili, fa sorridere che mettano le mani nei capelli per un “zero virgola” di rendimento sui titoli di stato e poi non si sono accorti che il loro patrimonio immobiliare solo negli ultimi dieci anni, si è deprezzato di quasi il 30 per cento.
L’efficientamento energetico di un immobile è diventato leva di contrattazione nelle compravendite di case; c’è un calo demografico importante (1,2 figli per donna), di conseguenza ci saranno sempre meno persone che avranno necessità di comprare immobili. Lavoro qualificato non c’è. Di conseguenza laureati con buone possibilità di lavoro ben remunerate e in vena di carriera vanno a comperare casa all’estero. I flussi migratori non garantiscono un mercato qualificato che possa assorbire l’eventuale offerta. Tutto questo tende a tirare al ribasso il prezzo delle case (quindi la loro svalutazione).
Strategie di difesa
Non c’è molta scelta! Al netto di quello che vorrà l’UE, per mantenere attraente l’immobile sul mercato bisogna mantenerlo in “perfetta forma” e per non rischiare di rimanere col cerino in mano nelle fasi di contrattazione, deve avere una cosa in più di tutti gli altri. Per tutti coloro che hanno comprato nel 2008, in piena bolla immobiliare, se ne faranno una ragione, ma non recupereranno mai più i soldi spesi.