La pandemia ha messo in evidenza la centralità del loro ruolo. Rispetto agli altri paesi dell’Ocse in Italia c’è una carenza di organico, confidiamo che il Pnrr possa colmare questo gap
Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche, negli ultimi anni gli infermieri hanno assunto un ruolo sempre più centrale nella sanità, sicuramente dall’inizio della pandemia è stato riconosciuto universalmente questo valore.
Gli infermieri si sono presi sempre cura delle persone senza distinzione di genere, razza, appartenenza politica e sociale. Da marzo 2020 l’Italia si è trovata ad affrontare un’emergenza unica nel suo genere, gli infermieri da subito, come sempre, hanno dimostrato un senso di servizio, attitudine, umanità verso il prossimo, una professionalità svolta con spirito di sacrificio e abnegazione. Il ruolo dell’infermiere però non è cambiato durante la pandemia rispetto a prima: è stato solo reso più evidente e tutti si sono accorti di ciò che fanno gli infermieri. Senza l’apporto della nostra professione l’emergenza avrebbe assunto altri contorni e le persone che ne sono state purtroppo coinvolte sarebbero rimaste, non solo senza un’assistenza adeguata dal punto di vista clinico, ma anche sole.
Quali sono le principali problematiche relative alla professione degli infermieri?
Essere infermieri in questo momento non è facile, c’è bisogno di abnegazione totale. L’infermiere si occupa di prevenzione, cura, assistenza. E ancora, di educazione, formazione, organizzazione e ricerca. Il progressivo invecchiamento della popolazione fa sì che nel nostro Paese gran parte dei pazienti sia affetto da patologie croniche, che richiedono di essere costantemente seguite da personale sanitario competente e preparato. Questa situazione rende gli infermieri sempre più indispensabili, non solo negli ospedali e nelle strutture sanitarie private, ma anche sul territorio presso strutture residenziali e diurne, a domicilio, nei luoghi di lavoro e di vacanza, sia come dipendenti che come liberi professionisti. Ma di infermieri ce ne sono pochi, non bastano mai. Dovrebbe essere previsto un modello di rete territoriale che oggi non c’è, basato su competenze multidisciplinari che abbiano ognuna proprie responsabilità e autonomia di gestione della persona assistita.
Fnopi ha di recente lanciato l’allarme sulla carenza di organico
Mentre nei Paesi dell’Ocse gli infermieri sono aumentati, con una media di 8,2 per 1000 abitanti, in Italia sono sempre 5,7 per 1000 abitanti, con gli Stati del Nord Europa al di sopra di 10 e solo alcuni dell’Est europeo al di sotto. In particolare, in Italia mancano circa 63mila infermieri (quasi 27mila a Nord, circa 13mila al Centro e 23.500 al Sud e nelle Isole) e senza una soluzione alla carenza di organico chi rischia di più è l’assistenza, ma anche l’applicazione del Pnrr che punta tutto sull’assistenza territoriale. Gli infermieri poi, sono molto più numerosi dei medici nella maggior parte dei paesi dell’Ue, dove nel 2018 c’erano in media più di 2 infermieri per medico, con un rapporto infermiere-medico di circa 4 o più in Finlandia, Lussemburgo, Irlanda, Svizzera, Islanda e Norvegia e di 1 a 3 in Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Slovenia. In Italia questa proporzione, sempre secondo i nuovi dati Ocse, è invece scesa dall’1,5 dello scorso rapporto a 1,4, meglio solo di Portogallo, Cipro, Lettonia e Bulgaria. L’Ocse sottolinea che la domanda di infermieri dovrebbe continuare a crescere negli anni per l’invecchiamento della popolazione mentre molti infermieri, al contrario, si stanno avvicinando all’età della pensione. Questo preoccupa molti Paesi che stanno investendo nella loro formazione e assumendo infermieri dall’estero. Nel nostro Paese finora abbiamo assistito solo a provvedimenti emergenziali.
Che rischi corre l’assistenza sanitaria?
Un infermiere deve essere pronto a intervenire sul luogo di un’emergenza, a seguire tutte le fasi di un ricovero in ospedale, a lavorare presso l’abitazione di un paziente. La vita e la salute delle persone dipendono spesso dalla capacità degli infermieri di compiere scelte rapide e corrette in ogni situazione. L’infermiere diventa punto di riferimento anche per i familiari. E se questa professione non può essere svolta nel pieno delle sue funzioni, per carenza o assenza di compiti specialistici precisi, chi ne soffre non è solo il sistema ma lo stesso assistito. Uno studio internazionale pubblicato su The Lancet, ha quantificato gli effetti della carenza di infermieri: ipotizzando che si riuscisse ad avere un rapporto di 1 infermiere per 6 pazienti e nello staff fosse presente almeno il 60% di infermieri laureati, potrebbero essere evitate 3.500 morti all’anno. A ogni aumento del 10% di personale infermieristico laureato corrisponde una diminuzione del 7% di mortalità. Il vincolo reale con cui il sistema deve fare i conti sono le risorse a disposizione per assumere il personale nel suo insieme.
E i rischi per l’applicazione del Pnrr?
Gli infermieri sono in pole position per il ruolo di team leader nel disegno del Pnrr. Spero che la forza del Piano sia quella di rivedere e innovare modelli ma, fondamentalmente, per evitare un vero flop delle previsioni è necessario che nei nuovi contenitori siano presenti veri contenuti. E questi possono essere solo il personale necessario a farli funzionare, preparato e formato.
Si dice che quella infermieristica sia la professione del futuro in ambito sanitario
E’ evidente: nel 2020 è stata l’unica laurea tra le sanitarie che ha visto aumentare le domande di quasi l’8% contro una diminuzione delle altre e, secondo i dati, a un anno dalla laurea in tempi pre-Covid già l’80% era in servizio. Le iscrizioni ai corsi universitari sono sempre in aumento purtroppo, però, gli Atenei non sono in grado strutturalmente di far fronte alla domanda. Anche qui speriamo nel Pnrr. Inoltre in Spagna, Francia, Regno Unito gli infermieri sono anche prescrittori di farmaci non specialistici e di presidi sanitari.
Papa Francesco in un’intervista dopo l’operazione al colon a cui è stato sottoposto lo scorso luglio ha ringraziato un infermiere per avergli “salvato la vita”. Una dichiarazione che, immagino, abbia suscitato orgoglio
Ovviamente sì, chi non sarebbe orgoglioso di un’affermazione del genere? Ma dobbiamo essere chiari nella sua interpretazione: il Papa non ha voluto con questo dire che il suo intervento è riuscito per merito di un infermiere. Il Papa ha voluto dire che non si sarebbe mai sottoposto all’intervento, indispensabile per la sua salute, se non fosse stato perché un infermiere accanto a lui e con quel rapporto di vicinanza e prossimità lo avesse convinto a farlo.
Cosa chiedete al Governo?
La prima azione dovrebbe essere far fronte alle carenze che mettono a rischio non solo l’assistenza e i servizi, ma soprattutto la salute delle persone e degli stessi professionisti, con interventi a breve, medio e lungo termine. In particolare andrebbe superato il vincolo di esclusività che lega l’infermiere al servizio sanitario pubblico, andrebbe previsto uno sviluppo in chiave clinica della professione, andrebbe favorito il rientro degli infermieri italiani emigrati all’estero con incentivi in termini contrattuali ed economici (attualmente circa 20.000). Poi, per fare in modo che il Pnrr non rischi un default e per affermare il nuovo modello di assistenza territoriale è necessario consolidare il ruolo dell’infermiere di famiglia e comunità (finora le previsioni di assunzioni del decreto Rilancio di 9.600 professionisti sono state applicate solo al 12-13%): uno ogni 2mila-2,500 abitanti (quindi circa 21-23mila). Il Governo dovrebbe anche riequilibrare i fabbisogni universitari, dando spazio alla formazione di un numero sufficiente di infermieri e di un maggior numero di docenti infermieri.
Flavia Scicchitano