di Luca Lippi
L’inflazione comincia a dare segni del rallentamento. In sostanza non esistono segnali di ritorni di fiamma. Tuttavia, gli aumenti dei prezzi che ci sono stati sul gas liquefatto, hanno impattato i prezzi al consumo a danno soprattutto della Germania. Essendo la prima economia europea quella tedesca, la BCE potrebbe elaborare un rialzo dei tassi più a lungo di quelli previsti fino a prima delle vacanze estive
IL PETROLIO
Le scorte sono diminuite a meno di dieci milioni di barili – misurate dall’EIA (United States Energy Information Administration) – la produzione è rallentata anche a causa del colpo di stato in Gabon che, seppure produca una quantità non rilevante di petrolio, comunque come Paese aderente all’OPEC desta qualche preoccupazione, quindi il prezzo dell’oro nero – e a domino tutti gli energetici – sta alzandosi rapidamente.
L’INFLAZIONE
Rallenta e si attesta al 31 agosto 2023 (dato Eurostat) al 5,3%. In sostanza si è interrotto quel lento ma continuo movimento al ribasso che aveva fatto sperare in un ripensamento della politica monetaria della BCE. Nello specifico: la Germania passa da 6,5 a 6,4; l’Italia da 5,3 a 5,5 e la Spagna da 2,2 a 2,4. Ovviamente il dato che interessa di più è quello tedesco per la rappresentatività della sua economia nel contesto europeo, ma il dato spagnolo desta qualche preoccupazione a confermare e supportare le future decisioni della Lagarde.
LA DISOCCUPAZIONE
Sempre dato Eurostat, la disoccupazione nell’eurozona al 31 agosto 2023 è al 6,4% – stesso dato del mese precedente – confortante rispetto al mese di giugno che era 6,7%. Sostanzialmente il dato misura una staticità. L’Italia è in linea col dato dell’eurozona mentre svettano Grecia e Spagna rispettivamente al 10,8% e al 11,6%. Il dato non è drammatico, anzi, sottolinea che il mondo del lavoro – paradosso rispetto alle evidenze – è estremamente robusto. Si sottolinea questo perché molti osservatori, di nuova generazione, tendono a guardare i dati con occhio da ‘neolaureato’ ancora incrostato di nozioni basiche quali “al deterioramento dei dati sul lavoro i tassi non possono essere alzati”. L’esperienza insegnerà loro che non è vero in assoluto! I dati sul lavoro sono estremamente rigidi, e comunque i numeri macro non si monitorano tutti allo stesso modo. Un esempio su tutti: il dato sul tasso di cambio si deve monitorare mese su mese, il dato sul mondo del lavoro necessita di osservazioni e interpretazioni multiple da intersecare con altri dati. Un dato stabile non sottolinea una frenata, può significare che non ci sono state nuove assunzioni o che magari la stessa forza lavoro è impiegata in lavoro straordinario per sostenere carichi di maggiore richiesta di merci e servizi. Nessuna banca centrale adotterebbe provvedimenti alla sola osservazione del dato sul mondo del lavoro.
Le spese dei consumatori
Il saldo delle carte di credito negli USA ha superato il bilione di Dollari e questo significa che i consumatori accedono al debito, soprattutto significa che le banche giudicano solvibili i propri debitori e un debitore è solvibile se ha prospettive reddituali che garantiscano
questa sua condizione. Al netto di questa banale osservazione, non è inconcepibile sospettare – in alternativa – il pericolo di una imminente crisi bancaria dovuta alla mancanza di recupero dei debiti accumulati dai consumatori. Detto questo, il dato da osservare è che il PIL risulta robusto, così come il lavoro, il mercato immobiliare è in ripresa e quindi aumentano i prezzi, aggiungendo tutti questi aumenti a quelli di energia e petrolio, interessi sui pagamenti elettronici in aumento, tasso di disoccupazione ai minimi…scatterebbe un allarme per le banche centrali perché questi sono i prodromi di una ripresa della corsa dell’inflazione.
ITALIA
Pur vivendo una situazione generale non diversa da quella di tutti gli altri Paesi dell’Eurozona, ma anche del resto del mondo – fatta eccezione per la Gran Bretagna che qualche problema in più lo ha – il nostro Paese soffre il debito troppo alto.
L’inflazione non è mai un problema se un’economia è in grado di sostenere il potere d’acquisto dei propri cittadini. Soffrirà il risparmio, quello sì, ma un’adeguata revisione dei salari risolve sempre la situazione inflattiva.
Il problema del Bel paese è che i salari non sono sufficienti per tutti e la situazione non è risolvibile perché la coperta è troppo corta per fare fronte a tutte le spese dello Stato, figurarsi aumentare adeguatamente i salari.
Ci siamo “americanizzati” sotto il mito del neoliberismo ma non abbiamo mai avuto i salari degli americani che, oltre vivere, riescono anche a finanziarsi il welfare sottoscrivendo forme assicurative che li mette al riparo dagli imprevisti. In Italia, la precarietà di molti lavori e i salari non in linea con il costo della vita trasformano l’inflazione in uno spettro terrorizzante.
Nel breve ci sarà un aumento delle commissioni bancarie sui pagamenti elettronici e la cronicizzazione dei costi dei carburanti per autotrazione che trainerà ulteriormente tutti i prezzi al consumo al rialzo. Se le risorse per pianificare una finanziaria adeguata non ci sono già ora che è in fase di stesura, come pensiamo di sostenere la possibilità delle famiglie di potere arrivare a fine mese dignitosamente? Sussidi, aiuti e prebende a carico dello Stato tolgono linfa vitale agli investimenti, finanziano la speculazione di chi aumenta senza proporzionalità i prezzi finali a danno dei consumatori, soffiando irresponsabilmente sul fuoco dell’inflazione. Continuare a lavorare su un adeguamento dei salari, togliere aiuti a pioggia che non risolvono le difficoltà delle famiglie ma alimentano solamente la bramosia di guadagno delle grandi catene distributive, incapaci di comprendere che anche per loro è arrivato il momento di “tirare la cinghia”.