CONTRO QUESTA PERICOLOSA FORMA DI TUMORE SEMPRE PIU’ UTILIZZATA UNA CHIRURGIA MAGGIORMENTE INNOVATIVA E MENO INVASIVA
di Danilo Quinto
Il dottor Andrea Cocci, del reparto di Urologia oncologica mini-invasiva robotica ed andrologica dell’Azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze.
Dottor Cocci, perché è diventato medico? Quali sono stati i suoi studi e la sua preparazione?
Sono diventato medico per l’enorme passione che ho sempre avuto per l’anatomia e la medicina. Già in seconda superiore avevo già deciso la strada. Ho avuto la fortuna di entrare al test d’ingresso a Medicina subito e quindi è stato un percorso rispetto al quale mi sono sentito molto predestinato. Ho frequentato l’Università nella mia città, che è Firenze. Al quarto anno, ho deciso di partecipare al bando Erasmus, che mi ha portato 12 mesi in Spagna e successivamente sono stato 6 mesi a Santiago del Cile, dove ho fatto parte della mia carriera universitaria. Sono tornato a Firenze per laurearmi. Dopo la laurea entro nella Scuola di Specializzazione di Urologia dell’Università. Al terzo anno di specializzazione, decido di recarmi in Inghilterra, dove resto un anno, prima a Bristol, presso il prof. Marcus Drake e successivamente a Londra, presso il prof. David Raltk. Prima per fare studi di anatomia funzionale femminile, poi per studi di Chirurgia funzionale maschile. Mi reco ancora in Belgio, presso il prof. Motrie, per affinarmi sulla Chirurgia robotica, rispetto alla quale, comunque, la struttura di Firenze era leader. Torno a Firenze e vinco il dottorato di ricerca, che ha avuto una durata di 3 anni ed è stato tutto centrato sulla chirurgia pelvica e genitale maschile. Assumo, quindi, la posizione di ricercatore, urologo e andrologo presso il Dipartimento di Urologia e Andrologia presso l’Università di Firenze.
Come giudica queste sue esperienze all’estero?
Quando un italiano va all’estero va a frequentare sempre Centri di eccellenza ed è ovvio che quando si frequentano questi luoghi, si conoscono realtà che sono superiori a quelle italiane. Noi vediamo, però, la parte bella della realtà estera, le tecnologie, l’accesso a determinati fondi di ricerca e quant’altro. Nella realtà, i Centri esteri sono spesso misti (privati-pubblici), che hanno tanta disponibilità di risorse, ma che offrono un’assistenza al cittadino di molto inferiore a quella offerta dalla realtà italiana. In Italia, a mio avviso, abbiamo un’assistenza superiore rispetto alla media di qualsiasi Paese europeo. Sicuramente abbiamo una preparazione molto più teorica che pratica, ma questo è legato fondamentalmente a due aspetti: sforniamo moltissimi medici, a confronto degli altri Paesi; la non depenalizzazione dell’atto medico, porta ad avere una prudenza estremamente superiore rispetto ai colleghi di altri Paesi europei. Io continuo a ritenere che l’Italia ha qualcosa da dire sempre nell’ambito medico rispetto a qualsiasi Paese europeo.
Inquadriamo ora, dal punto di vista generale, il problema della ghiandola prostatica.
Quando parliamo di prostata, parliamo di due problemi: ipertrofia prostatica e tumore alla prostata. E’ quasi fisiologico che la prostata diventi più grande e dia problemi. Dopo i 50 anni, il 30-40% degli uomini soffre di disturbi legati alla prostata; a 70 anni, l’80%. Il problema è, quindi, endemico nella popolazione. Di coloro che soffrono di ipertrofia prostatica, il 30% ha necessità di un intervento chirurgico, perché i farmaci non funzionano. Il tumore prostatico è il secondo tumore d’incidenza in Italia, dopo quello polmonare. Il 20% di tutte le patologie oncologiche in Italia, deriva dal tumore della prostata. Il 91% dei pazienti che vengono trattati con tutti i metodi possibili, ha un’ottima sopravvivenza dopo i 5 anni, o libero da malattia o libero dai sintomi della malattia. La diffusione di queste patologie – che sarà sempre più estesa, considerato l’invecchiamento della popolazione – sono aggredibili e curabili.
Come giudica l’informazione che viene data alla popolazione maschile su come deve agire in termini di prevenzione di queste patologie?
C’è molta disinformazione. Ci sono uomini che non hanno alcuna idea su come si monitorizza l’aspetto della salute prostatica, altri che fanno analisi di continuo, perché terrorizzati dall’informazione. Ci dovrebbe essere sempre un’educazione da parte del cittadino e un’educazione da parte del medico di base. Lo specialista arriva in ultima istanza. La prostata è un organo che si investiga molto bene, con un semplice esame del sangue, che si chiama PSA (Antigene Prostatico specifico), che dopo i 45 anni tutti i maschi dovrebbero fare e, successivamente, una visita specialistica, che prevede un’esplorazione rettale e un’ecografia all’addome. L’ecografia è un esame meraviglioso, perché non ha nessun tipo di effetto collaterale, dà moltissime informazioni ed è ripetibile. Già fare questi esami, ogni 1 o 2 anni, permette di monitorizzare in maniera estremamente precisa, sia l’andamento dell’ipertrofia prostatica, sia eventualmente diagnosticare un possibile tumore di prostata in fase precoce. Ovviamente, le indagini devono essere personalizzate, a seconda che ci sia una familiarietà, ma questo vale per ogni ambito della medicina.
Quali sono i metodi d’intervento e l’apporto della tecnologia, sia per quanto riguarda l’adenoma prostatico, sia nel caso del tumore?
Siamo in grado non solo di curare queste malattie, ma anche di fornire al paziente quelle che sono le aspettative che lui vorrebbe in termini di recupero. Ci sono interventi chirurgici che permettono di risolvere la problematica addirittura in day-hospital, quindi con un ritorno all’attività lavorativa in un giorno. Queste sono le cosiddette terapie interstiziali: sono dei laser o delle infiltrazioni di vapore, che riducono la dimensione della prostata, con un intervento che dura pochi minuti. Nei casi più gravi, si utilizzano altre tecnologie – laser o robotiche applicate – che permettono un ricovero di 2-3 giorni al massimo e tutte queste tecnologie, studiate sul paziente, possono anche permettere la conservazione dell’eiaculazione, che è un tema rispetto al quale i pazienti sono molto sensibili e che sarà sempre più importante, vista l’incidenza della malattia che con il trascorrere degli anni colpisce persone sempre più giovani.
C’è una spiegazione dell’invasività di questa malattia?
Il benessere. Fino a 70-80 anni fa, i bambini, i giovani-uomini, venivano selezionati dalla natura. Si moriva in giovane età e sopravvivevano i più forti. Ora, viviamo in una società dove le malattie sono croniche. Le malattie si ereditano e l’ereditarietà comporta il fatto che compaiono in giovane età.
Cosa può dire sui farmaci e sulle nuove ricerche per l’ipertrofia prostatica?
Sui farmaci siamo fermi da molti anni. Hanno due funzioni: innanzitutto quella di rendere il flusso urinario più agevole (farmaci cosiddetti alfalitici), che hanno un effetto sgradevole purtroppo, quello di bloccare l’eiaculazione; i farmaci anti-androgeni, invece, agiscono abbassando il livello di testosterone di cui la prostata si nutre, cercando di ridurne il volume; hanno un funzionamento modesto e una percentuale dei pazienti avverte il calo della libido o il calo delle erezioni. Poi, ci sono anche i fito-farmaci, che vanno ad abbassare la componente infiammatoria, che si applicano come integratori. Ricordiamo che l’ipertrofia prostatica molto avanzata provoca non solo disturbi ad urinare, lo svegliarsi la notte, ma anche problemi più seri, come le infezioni e le disfunzioni erettili in molti pazienti.
Come giudica la struttura dove lei opera, l’ospedale Careggi?
Noi a Careggi siamo un’eccellenza a livello europeo. La struttura in cui lavoro ha 62 posti-letto minimi, cinque sale operatorie, compresa quella esterna, due robot. Ci occupiamo di Urologia Pedtriatica, Urologia funzionale femminile, Urologia maschile ricostruttiva, Urologia oncologica. Abbiamo i volumi operatori più grandi d’Italia e siamo un team e una struttura – sotto la guida del prof. Marco Carini, che ha soltanto da insegnare. Non abbiamo magari l’appeal mediatico di altre strutture, abbiamo un profilo più basso sotto l’aspetto pubblicitario, ma siamo assolutamente una realtà che funziona molto bene.
L’uso dei robot come ha aiutato la sua attività?
E’ vero che la chirurgia robotica può essere applicata nell’ipetrofia prostatica in casi molto particolari, ma in particolare il robot viene utilizzato nella chirurgia per tumore prostatico, che colpisce moltissime persone. Si parla di 278.000 casi all’anno. Il tumore prostatico ha un punteggio, che va da 6 a 10 – si chiama “Gleason score” – e a seconda del punteggio, abbiamo una gravità della malattia. Ad oggi, il gold-standard rimane la prostectomia, cioè l’asportazione in blocco di veschichette seminali e prostata. L’intervento è radicale. L’utilizzo della chirurgia robotica permette di andare a conservare con molta precisione i nervi legati all’erezione e l’utilizzo di piccoli accessi laparoscopici, permette un recupero post-operatorio in massimo 2-3 giorni e questo è un aspetto fondamentale. Negli ultimi anni, si sono affacciate le cosiddette terapie focali: la focal-terapy, uno strumento che va a bruciare esclusivamente il tumore con un fascio di microonde esterne e questo permette non solo di trattare il paziente in day-hospital, ma anche di curarlo con ancor meno invasività: nessun tipo di taglio, recupero immediato; nessuna disfunzione erettile; nessun rischio d’incontinenza.