Per il capoazienda del gruppo delle TLC, dopo il varo del piano industriale, comincia la partita della rete unica, sulla quale gli azionisti puntano. Mentre all’interno…
di Andrea Giacobino
A Pietro Labriola, arrivato alla guida di Tim dopo la stagione di Luigi Gubitosi, le preoccupazioni non mancano, a cominciare dall’andamen to del titolo in Borsa. Ma probabilmente il bello per i capoazienda dell’ex monopolista pubblico delle telecomunicazioni deve ancora arrivare. Perché la sua vera partita, dopo il varo del piano industriale nella scorsa primavera, sta per iniziare. E si chiama “rete unica”, il progetto a lungo nella mente dell’ex esecutivo di Giuseppe Conte, poi portato avanti da quello di Mario Draghi e probabilmente anche nella testa, con opportuni aggiustamenti, del prossimo governo di centrodestra. La rete unica che dovrebbe portare ovunque nel nostro Paese la banda ultralarga e contribuire a colmare il famoso “digital divide” che penalizza l’Italia consiste nell’unificazione della rete di Tim con quella di Open Fiber, nata dalla jointventure tra Cassa Depositi e Prestiti ed Enel, poi uscita per far posto a Macquarie, importante fondo infrastrutturale australiano. Inutile dire che se e quando partirà la rete unica il valore del titolo Tim non potrà che crescere, con infine qualche soddisfazione sia per i piccoli azionisti sia per quelli importanti tra cui ritroviamo proprio la Cassa con circa il 9% mentre primo socio è il colosso francese Vivendi di Vincent Bolloré col 24,5%, che ha scelto Labriola per subentrare a Gubitosi.
Nato ad Altamura (Bari) il primo ottobre del 1967, il numero uno di Tim si è laureato in Economia e Commercio all’Università di Bari e ha conseguito un Master in Gestione dell’Innovazione e delle Tecnologie a Tecnopolis, il Parco Scientifico Tecnologico del capoluogo pugliese. Dal 1993 a 1994 è stato in France Telecom, nella sede di Milano, dove venne nominato assistente dell’amministratore delegato. L’anno successivo è passato in Cable & Wireless Italia come responsabile marketing e nel 1996 è entrato in Infostrada, quale responsabile del business development. Dopo un’esperienza in Boston Consulting Group in Italia, nel 1998 è stato nominato direttore marketing di Infostrada.
Il manager è entrato in Tim nel 2001, assunto il primo di ottobre (proprio il giorno del suo compleanno) e in più di un ventennio ha contribuito in misura determinante alla crescita del gruppo. In Italia è stato infatti artefice della nascita di nuovi servizi e offerte per la telefonia fissa, mobile e per l’ICT, tra cui quelli per professionisti e imprese, e affrontato in prima linea i temi legati alla trasformazione del business. Cominciando come responsabile marketing del ‘fisso’, ha lanciato tra l’altro l’offerta Adsl Alice, nel 2005 è stato nominato direttore marketing per i servizi fisso e mobile e l’anno dopo anche amministratore delegato di Matrix. Nel 2007 ha assunto la carica di responsabile di domestic fixed services e due anni dopo di direttore della business unit per il segmento aziende per i servizi di telefonia fissa, mobile e ICT lanciando Impresa Semplice. Nel 2013 ha ottenuto la responsabilità di coordinare il progetto di scorporo della rete e l’anno dopo è diventato capo della business transformation & quality. In Brasile ha guidato Tim dal 2015 come chief operating officer e poi dal 2019 come amministratore delegato, e ne ha trainato la crescita consolidando il percorso di sviluppo con l’acquisizione di Oi e delle licenze 5G e fornendo un determinante contributo dello sviluppo digitale di un Paese tra i più vitali, dove è stato anche responsabile dell’associazione degli operatori di tlc.
Per preparare la rete unica Labriola ha varato la scissione di Tim in una NetCo e in una ServiceCo, la società dei servizi. Ma quanto vale la NetCo? Questo è il punto principale che riguarda il grande progetto infrastrutturale perché Vivendi, disfacendosi dell’asset più rilevante di Tim, vuole rientrare con l’incasso delle pesanti minusvalenze segnate sul suo maxi investimento.
I compratori, ancora la Cassa in primo luogo, affiancata da Macquarie e probabilmente da un altro grande fondo di private equity come Kke pensano a una valutazione fra i 18 e i 25 miliardi di euro, debiti compresi, ma Bolloré ha in mente una cifra superiore ai 30 miliardi. L’orientamento del centrodestra a proposito della rete unica vuole che la nuova società sia una rete unica, nazionale, a controllo pubblico (quindi italiana) e wholesale only. E’ il modello che separa la rete dai servizi e che ha tanti e importanti precedenti nel nostro Paese, basti pensare a Terna che serve le società operanti nel mercato elettrico, ma anche a RFI che offre l’infrastruttura a Trenitalia e Italo.
C’è da dire che dalla nomina a oggi Labriola, oltre al piano, ha presentato i buoni numeri della semestrale che mostra ricavi da servizi a livello di gruppo stabili a sette miliardi di euro nel semestre, con l’Ebitda organico pari a tre miliardi e un trend in miglioramento nel secondo trimestre, il che ha permesso al gruppo di alzare la guidance sull’ebitda per l’intero 2022. In Italia nel corso del secondo trimestre è poi proseguito il contenimento dei costi, che ha determinato una riduzione complessiva nel semestre di quasi 200 milioni di euro, il 70% circa del target fissato per il 2022, con la conferma della strategia “Value vs. Volume” sia nel fisso sia nel mobile. Ma la sfida vera di Labriola sarà, come detto, nel vincere la partita della rete unica. E per questo potrebbe servire anche un nuovo presidente di Tim, visto che l’attuale Salvatore Rossi è dato da indiscrezioni in uscita. In questo caso a bordo campo non mancherebbero i manager pronti a scaldarsi. Si parla di Massimo Sarmi, già amministratore delegato del gruppo Poste, attualmente presidente di FiberCop, società controllata dalla stessa Tim, e di Assocomunicazione Asstel. Si fa il nome di Barbara Cominelli, una vita nel mondo delle tecnologie e dell’innovazione, amministratore delegato Jll. E, last but non least, si sente di Paolo Scaroni, manager che – nonostante alcuni guai giudiziari ai tempi di tangentopoli – ha poi attraversato indenne (o quasi) la prima e la seconda repubblica con incarichi ai vertici di Eni prima e di Enel poi. Scaroni ha dalla sua un asso nella manica: lavora da anni per Rothschild, banca d’affari consulente di Bolloré. Con Scaroni presidente del Milan e Labriola sfegatato interista, se l’ipotesi fosse suffragata ai vertici di Tim si formerebbe di conseguenza una coppia da derby meneghino.