Per non dire di Washington e dintorni…
di Pietro Romano
A più di un anno dallo scoppio della pandemia che ha afflitto (e in parte continua ad affliggere) il mondo, il mistero dell’origine del virus rimane irrisolto. Tutti i tentativi d’inchiesta si sono infranti sulla muraglia (è proprio il caso di dirlo) cinese sul rifiuto ostinato di Pechino di comunicare i dati richiesti a livello internazionale. Statistiche inaccessibili o “sbiadite”, divieti di accesso a scienziati, diplomatici, giornalisti ficcanaso, un crescendo di risposte sempre più irritate anche da parte dei massimi livelli pubblici, il numero uno Xi Jinping compreso. Ostacoli che niente possono – come ha sottolineato “Le Figaro” – di fronte alla notizia che fin dall’autunno 2019 addetti al laboratorio di ricerche avanzate sulla Sars di Wuhan sono stati ospedalizzati.
Non solo. A quindici mesi dall’inizio ufficiale della pandemia, nonostante indagini capillarmente diffuse, non è stato trovato nessun ospite cosiddetto intermedio naturale, vale a dire un soggetto animale che abbia preso il virus dai pipistrelli (secondo la versione ufficiale ancora prevalente) e lo abbia trasmesso agli umani. Nicholas Wade – decano dei giornalisti scientifici con oltre mezzo secolo di professione trascorsi fra “Science”, “Nature” e “The New York Times” – ha ricordato sul “The Washington Post” che solo nel 2012 si registrò un passaggio diretto da pipistrelli a umani ma non provocò contagi e avvenne a circa mille chilometri da Wuhan. I virus pandemici, inoltre, non diventano – com’è storicamente provato – altamente trasmissibili o mortali come l’attuale in un solo salto. Questo tipo di trasmissione, però, è altamente probabile solo tramite adattamenti in laboratori. Come ha spiegato da anni in studi pubblicati nella letteratura aperta (e quindi disponibile a chiunque) appunto la dottoressa Zhengli Shi, capo della ricerca sui coronavirus all’Istituto di virologia di…Wuhan. Insomma, proprio la dottoressa Shi, quella che ha tirato fuori la teoria della trasmissione da pipistrello, nei mercati tradizionali, frequentati da “ghiottoni” cinesi, aveva già sperimentato il rafforzamento di infettività dei coronavirus. Una tesi, peraltro, che il governo cinese ora respinge per aprire all’errore di laboratorio ma chiedendo spiegazioni ai laboratori di altri Paesi, a cominciare dagli Usa, salvando invece i propri.
A proposito di aperture è singolare quella dell’infettivologo Anthony S. Fauci che dopo aver negato per tutto l’ultimo lasso di presidenza Usa del repubblicano Donald Trump la tesi dell’errore di laboratorio, trasformando l’allora inquilino in una sorta di pericoloso pagliaccio complottista e insensato, all’improvviso ha parzialmente modificato parere e chiesto chiarimenti alle autorità cinesi. Una inversione singolare, tanto più proveniente da un indiretto finanziatore del laboratorio di Wuhan, tramite il suo “National Institute of Allergy and Infectious Diseases” e un appaltatore americano con interessi in Cina. Su posizioni ancora più oltranziste si è schierato nel frattempo anche l’attuale presidente democratico Joe Biden, sempre più “trumpiano” rispetto a Pechino. E così, come per incanto, anche i “social” e l’informazione “mainstream” hanno virato a 180 gradi e dal divieto assoluto di mettere in dubbio la tesi dell’infezione naturale si sono riaperti al dibattito e alle cause alternative. Un rattoppo peggior del buco. Perché la censura a orologeria, tanto in fase di introduzione quanto al momento della sospensione, rispetto alla quale anche dal mondo medico si erano levate solo limitate proteste, non fa che (pericolosamente, come ricorda il “The Daily Telegraph) mettere vieppiù in discussione la fiducia nella classe dirigente occidentale, élite sanitarie comprese.