SI TORNA A PARLARE DI RIFORMA E LOTTA ALL’EVASIONE. MA LA STRADA DA BATTERE E’ UN’ALTRA…
di Marco Margarita
Come ogni anno, nel mese di dicembre, in un clima di consuntivo per le attività svolte e di programmazione per il futuro, appaiono improcrastinabili due azioni governative: la lotta all’evasione e la riforma fiscale.
Che vi sia la necessità è fuori di ogni discussione, tuttavia trattandosi di provvedimenti strutturali che si trascinano ormai da decenni e a fronte dei quali si è provveduto solo all’adozione di provvedimenti tampone, non si può prescindere dal mutato scenario politico-economico che si è configurato a partire dall’inizio del millennio ma che ha avuto una profonda accelerazione intorno al 2010. Ora, se inizialmente il problema di coordinamento era a livello europeo, l’attuale situazione comporta che si debba necessariamente tenere conto di fenomeni extra europei con cui giocoforza ci si interfaccia ormai quotidianamente.
A livello europeo vige da diversi anni una stabilità consolidata a livello di imposta sul valore aggiunto, essa infatti si basa sulla neutralità nell’ambito degli scambi tra operatori economici (cosiddetti B2B); in sostanza nell’ambito delle cessazioni di beni e di prestazioni di servizi a livello europeo, l’operatore economico committente e/o acquirente applica l’imposta che vige nello stato di appartenenza, neutralizzando quindi gli effetti distorsivi derivanti dalle diverse aliquote applicate nei vari Paesi. A fronte di ciò dobbiamo constatare che non vi è un’analoga armonizzazione a livello di imposte dirette. E’ di tutta evidenza che si tratta di una operazione particolarmente delicata in quanto va ad incidere sui criteri di redistribuzione della ricchezza vigenti nei vari Stati membri. E’ inconfutabile tuttavia che ove gli Stati non inizino ad avviare questo processo di armonizzazione si continuerà ad assistere ai cosiddetti fenomeni di estero vestizione e quindi a processi nei quali, al solo scopo di ridurre il carico tributario, le società trasferiscono la sede legale in Paesi con una fiscalità ridotta. La conseguenza è duplice ed è data dal minor introito del reale Stato di appartenenza della società in termini di tributi e nell’avvio di procedure di accertamento e contenzioso che troppo spesso generano solo parzialmente reali entrate per l’erario. E’ indubbio che negli anni si sia tentato di arginare tali fenomeni con la normativa sulla predetta estero vestizione nonché su quella del transfer pricing, che tende a scongiurare le artificiose politiche di prezzo effettuate nell’ambito di un gruppo, nel caso in cui le controllate siano residenti in Paesi con una diversa fiscalità. In altri termini, al fine di evitare che si tenda a spostare ricchezza, e quindi utili, in Paesi ove le imposte dirette presentano livelli notevolmente inferiori, la norma tende ad accertare che gli importi delle transazioni, nell’ambito del gruppo, rispecchino i valori che si sarebbero ottenuti tra operatori economici, in un mercato di libera concorrenza. Ora, se politicamente è utopistico teorizzare la figura di un ministro delle Finanze europeo, ciò non significa che non si possa giungere ad articolare un piano di progressivo avvicinamento delle imposte dirette vigenti nei vari Stati membri. Questa attività non potrà di sicuro prescindere da una attenta analisi dell’intero sistema tributario vigente nei vari Stati, così come non potrà non tener conto degli effetti sociali che il sistema tributario persegue, ma tuttavia appare un processo ormai necessario. La sua improcrastinabilità non è dettata dalla sola esigenza della Unione europea, ma dall’assumere iniziative verso le grandi multinazionali che quotidianamente operano a livello globale. Se a questo contesto aggiungiamo il proliferarsi dei cosiddetti giganti del web, comprendiamo come la necessità che esista un apparato decisionale a livello europeo di politica economico-finanziaria e tributaria sia ormai divenuta una scelta indifferibile.
La soluzione più condivisibile non può che essere data dalla imposizione di una tassazione, in particolare per le realtà presenti sul web, attraverso l’applicazione di una aliquota ponderata e, perché no, concordata attraverso processi decisionali congiunti con gli interessati, che vada ad incidere sugli utili generati per effetto della residenza degli acquirenti. Appare infatti del tutto evidente come gran parte del business per i più variegati prodotti si sia ormai spostato dal dettaglio al web, con spostamenti di ricchezza talora inimmaginabili. Proprio per effetto di questi nuovi processi economici si rende allora necessario l’adeguamento delle misure di carattere tributario non idonee ad assoggettare all’imposta operatori economici transnazionali.