Home Mondo AZIONARIO USA: SARA’ VERO CROLLO?

AZIONARIO USA: SARA’ VERO CROLLO?

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Quale sarà il livello di tolleranza per Donald Trump in un mercato già in grande difficoltà? Il mercato sta inviando segnali chiari, ma non sono così di facile lettura da parte di molti investitori

di Luca Lippi

Il sentiment del mercato è veramente ai minimi, mentre l’amministrazione Trump continua la sua strategia di destabilizzazione con il “balletto” infinito sui dazi. La sensazione è che il presidente USA possa spingersi ancora oltre prima di intervenire concretamente.

Inoltre, è strano vedere ancora una pressione esagerata sui rendimenti obbligazionari che si rifiutano di scendere nonostante i dati dell’Indice dei prezzi al consumo e i prezzi di produzione industriale stanno decelerando. I motivi potrebbero risiedere nel deficit statunitense che non scende come promesso, e cresce la paura di un possibile fallimento del governo. Contestualmente cresce il rischio di default percepito.

Contemporaneamente, le azioni europee continuano a funzionare bene. Il pacchetto di spesa annunciato dall’Unione Europea e poi dalla Germania per investire in infrastrutture, difesa e transizione climatica, conferiscono maggiore spinta all’azionario europeo nel breve periodo, soprattutto rispetto agli Stati Uniti.

S&P 500 perde più del 10%

Giovedì l’indice S&P 500 è entrato ufficialmente in una correzione, perdendo più del 10 per cento rispetto al suo massimo più recente (che è anche il massimo storico). Era prevedibile e non per i motivi di cui tutti parlano. Dal 1929 il tempo medio tra una correzione e l’altra è stato di 173 giorni. 343 giorni di fila senza un calo del 10 per cento non si era mai visto, quindi doveva succedere prima o poi.

Dal 1928 il mercato ha subito una correzione in media 1,1 volte l’anno. Quelle più pesanti, del 15 per cento o più, capitano ogni due anni, mentre i bear market veri e propri si verificano circa una volta ogni tre anni. L’ultima volta che il S&P 500 ha fatto un passo falso così grande è stato tra luglio e ottobre 2023, con un calo del 10,3 per cento. All’epoca, la Fed aveva chiarito che i tassi sarebbero rimasti alti per un bel po’ per tenere a bada l’inflazione. Il mercato ha impiegato tre mesi a scendere ma solo un giorno a rialzarsi. Il 30 ottobre era già fuori dalla correzione, come se nulla fosse successo.

Le correzioni, nella letteratura finanziaria, tendono a essere parentesi brevi. Dal 1945, in media, servono cinque mesi per toccare il fondo e quattro per recuperare. Spesso fanno più paura di quanta ne meritino davvero. Dal dopoguerra, il mercato perde il 14,3 per cento in 5 mesi durante una correzione, ma impiega solo 4 mesi per recuperare.

Oggi” sono state sufficienti solo tre settimane, l’indice S&P 500 festeggiava nuovi record neanche un mese fa, spinto dagli utili aziendali solidi. Poi Donald Trump ha brandito i dazi come un’arma commerciale. Minacce, rinvii e nuove tariffe hanno alimentato il timore di un rallentamento economico. E i mercati non l’hanno presa benissimo.

Che fare ora?

La correzione attuale è, dunque, fisiologica. Intervenire su questo mercato ora dipende dal proprio profilo di rischio e dall’abitudine a navigare certi mari, l’emotività non esiste per un investitore/risparmiatore esperto. I mercati ribassisti, pur essendo inevitabili, sono più brevi e meno intensi rispetto ai lunghi periodi di crescita. In ogni caso, sfruttare la correzione per investire con determinazione potrebbe essere ancora prematuro.

Gli americani sono sempre più incerti sul futuro

Il quadro macro sta deteriorandosi velocemente. L’indice di fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan è crollato a 57,6 punti a marzo, in calo dai 64,7 di febbraio. Meno 27,1 per cento rispetto a un anno fa, il peggior livello dal 2022. Gli intervistati citano l’incertezza sulle politiche economiche di Trump e il rischio di recessione come principali motivi del pessimismo. In sostanza gli americani stanno diventando sempre più incerti sul futuro, il che potrebbe tradursi in una riduzione della spesa e della crescita economica nei prossimi mesi.

Inflazione attesa a un anno è prevista al 4,9 per cento, in rialzo dal 4,3 per cento di febbraio. Inflazione attesa a lungo termine: è al 3,9 per cento, il livello più alto dal 1993. I consumatori vedono l’inflazione tornare a salire, un segnale che potrebbe ritardare il taglio dei tassi da parte della Fed e creare ulteriore volatilità nei mercati.

Il carico di merci pre – dazi

Un altro problema che andrà a deteriorare il mercato, è l’enorme carico di merci operato dalle aziende americane per anticipare l’aumento dei prezzi con l’introduzione dei dazi. Questo significa che nei prossimi mesi ci saranno magazzini pieni di beni pre-tariffa che potrebbero, da una parte, distorcere i dati sull’inflazione per fare esplodere il dato tutto di un colpo.

L’occupazione mostra un raffreddamento ma resiste ancora: più 232 mila posti di lavoro. Il tasso di dimissioni sale al 2,1 per cento, massimo da luglio (segnale di fiducia dei lavoratori). Licenziamenti in calo all’1.0 per cento, il più basso da giugno: le aziende trattengono i dipendenti. Probabilmente Trump sta danneggiando l’economia molto più di quanto si aspettasse realmente, oppure è il braccio di ferro troppo intraprendente con la FED per costringerla a tagliare i tassi e finanziare le PMI a tassi più bassi.

Il mercato ha già prezzato il peggio?

L’incertezza politica è decisamente ai massimi livelli negli ultimi quindici anni – escludendo la parentesi pandemica – questo contribuisce a deprimere il sentiment sugli asset di rischio. Però, la volatilità sul S&P 500 – valore a un mese che supera quello a tre mesi – segnala che il mercato è vicino a un punto di svolta.

Trump sta sacrificando la crescita a breve termine?

A questo punto torniamo alla domanda di apertura: qual è il livello atteso da Trump prima di sgombrare il campo dalla confusione? La sensazione è quella che sacrifica la crescita a breve termine per ottenere un’inflazione più bassa spingendo la FED a intervenire sui tassi. Tuttavia, la manovra è ad alto rischio, perché se il rallentamento economico sfugge di mano allora il pericolo immediato sarà il deficit che è al limite per diventare insostenibile.

Se è vero, come è vero, che la politica ha le leve per intervenire sulla spesa pubblica, è altrettanto vero che non ha alcun potere sul consumo privato. Se i consumi crollano la strategia del Tycoon sarà fallimentare e il primo vero test è atteso tra pochi giorni quando verrà reso pubblico il dato sulle vendite al dettaglio (settimana dodici). Non resta che attendere.