Siamo in pieno risiko bancario. I confini tra operazione di mercato e operazione politica si sovrappongono, l’unica chiara visione allo stato dell’arte è che Banca MPS non intende mollare la presa su Mediobanca – si vede dalla quotazione di MPS che rimane bassa come è di regola quando un’azienda “aggredisce” un’altra azienda -, per tutto il resto delle operazioni dobbiamo ancora attendere perché, anche volendo parlarne tanto per parlare, c’è tanto movimento per non muovere nulla. Le posizioni sono ferme – in apparenza – soprattutto per Unicredit che sembra non volere “mollare” la presa si Banco BPM ma neanche su Commerzbank
di Luca Lippi
L’operazione da cui ha avuto origine il risiko di cui sopra è quella di Unicredit su Banco BPM. Stiamo parlando di due grandi banche, Unicredit la seconda banca italiana e BPM la terza. Le manovre cominciate due mesi fa sono ancora lontane da una definizione, ma se andasse in porto l’intenzione di Unicredit, quest’ultima diventerebbe la prima banca italiana – scavalcando Banca Intesa – ma anche la terza banca dell’area Euro – dietro alla britannica HSBC e alla svizzera UBS.
Senza volere peccare di superficialità, inutile analizzare nel dettaglio le operazioni di fusione/aggregazione di banche con così pochi elementi, più interessante è soffermarsi sull’affermazione di Orcel – a seguito dell’operazione su BPM e su Commerzbank – che sottolinea la necessità di creare banche sempre più grandi in Europa allo scopo di affrontare le sfide future. Accodandosi al discorso dell’AD di Unicredit, poiché le banche tendono a fondersi quando si formano uragani finanziari – per superare la crisi del 2007/2008 le grandi banche statunitensi si fusero tra loro diventando ancora più grandi – starà mica spoilerando una crisi finanziaria?
Una disputa che coinvolge finanza e politica
Non sarebbe finita qui. Quando ci sono operazioni così importanti, generalmente i consigli di amministrazione avvertono con anticipo sia Banca d’Italia sia le commissioni preposte all’interno del Governo. Pare che questo non sia accaduto, un’irritualità piuttosto importante! La notizia sembrerebbe avere colto nel sonno tutti, tranne Unicredit. Fatto piuttosto improbabile. Tanto è vero che la prima reazione politica arriva dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (!) che ostenta indignazione e anticipa un’altra operazione – che sicuramente insieme a quella di Unicredit era già stata comunicata come da prassi – che vede attore principale Banco BPM. La reazione (non compostissima) del ministro Salvini si posiziona esattamente al centro di una disputa che coinvolge finanza e politica: il controllo funzionale del territorio e degli Enti che ne compongono il tessuto politico e finanziario e la leadership sullo stesso in contrapposizione con le politiche nazionali. Da qui il discorso diventa esclusivamente politico.
LE COSIDDETTE BANCHE TERRITORIALI
Nell’ideale politico della banca territoriale esistono due tipi di connubi che si vengono a creare quasi spontaneamente: la relazione tra agenzie e imprenditori locali; predisposizione a finanziare questo o quel comune, patrocinare iniziative.
Nel primo caso la clientela di riferimento è spesso “presentata” o “raccomandata”. È una vera e propria forma di coinvolgimento della banca in un sistema di finanziamenti locali non troppo concorrenziale, ma gode di forme tradizionali di padrinato politico. Nel secondo caso il collateralismo con gli interessi economici e politici locali. Ovviamente non è il caso di BPM che è una realtà molto solida e strutturata. Ma in tempi non lontani, il collateralismo ha indebolito le banche del territorio originando le perdite su cui è dovuto intervenire il Governo con politiche di ristrutturazione tutt’altro che bene accette da gran parte dei correntisti “non di riferimento”. Fortunatamente col TUB e la trasformazione di tutte le banche in S.p.A. le cose sono cambiate, ma non sono certo cambiate “le relazioni”.
SALVINI vs UNICREDIT
Le grandi banche come Unicredit, sono troppo grandi per occuparsi della simpatia o dell’appoggio di questo o quel sindaco, se BPM entra nel mondo Unicredit, anche BPM non sarà più suscettibile di quella influenza o collateralismo tipico delle banche territoriali.
La banca locale che incontrava l’imprenditore locale (circa metà anni novanta) in buona parte del territorio italiano, ma soprattutto nel Mezzogiorno, pagava tassi di interesse sui finanziamenti più alti di quello applicato dalle grandi banche. Nonostante tutto, quell’imprenditore si serviva della banca del territorio perché la banca locale offre altri vantaggi: ti mette in contatto col sindaco o il politico locale, concede credito comunque anche se il merito creditizio è opaco. Le banche locali sono sempre controllate dall’imprenditore di riferimento locale (popolare di Vicenza e Veneto banca sono due esempi classici di imprenditori locali di riferimento che controllavano le banche del territorio). Se la banca è controllata da un imprenditore locale o da un gruppo di imprenditori locali, è evidente che questi faranno credito a sé stessi.
Secondo una logica che sfiora le teorie marxiste, dal dopoguerra fino alla riforma che ha voluto tutte le banche trasformate in S.p.A., le banche locali sono state lo strumento attraverso cui il capitalismo di connubio col potere politico, ha utilizzato i risparmi del proletariato per finanziare sé stessi. Il capitale di rischio lo mettevano le banche (i clienti tutti). Se l’affare dell’imprenditore di riferimento, fatto col finanziamento della banca, andava male, si socializzavano le perdite, se invece andava bene i profitti tornavano in tasca ai finanziatori.
Indubbiamente, anche dopo la riforma, agli azionisti di controllo conviene avere un alto indebitamento in modo tale che se i profitti vanno bene sono degli azionisti, se vanno male il costo va sulla banca.
LE GRANDI BANCHE HANNO ALTRI PROBLEMI
Dunque, le banche locali, hanno fortissimi legami con gli enti locali, mentre le grandi banche sono molto meno soggette a questo tipo di “pressioni”. Gli azionisti delle grandi banche sono interessati esclusivamente al profitto e poco interessa l’eventuale azionista di riferimento. Di contro c’è l’interesse – inteso come massima attenzione – dello stato sulle grandi banche affinché non diluiscano il capitale con altre istituzioni straniere. Il motivo risiede nella necessità di garantirsi il collocamento del debito pubblico e che quest’ultimo resti più possibile in mani nazionali. Le operazioni di acquisto da parte di altre banche straniere sono – ovunque – sempre guardate con sospetto perché si deve valutare anche il rischio paese della banca che scala, rischio sempre correlato a quanto debito pubblico porta in dote.
TUTTI PER MPS
Di MPS è inutile fare la storia, tanti hanno già scritto, a modesto parere dello scrivente, la sintesi migliore è de il Sole24Ore in un articolo del 28 dicembre 2016 a firma Pierangelo Soldavini. Quello che interessa è la disparità di trattamento che la vede protagonista “prenditrice in buona fede” di aiuti statali come non è stato per altre banche. Andiamo con ordine.
Riprendiamo il discorso dalla crisi bancaria che portò alla scomparsa delle banche venete – Popolare di Vicenza e Veneto Banca -. Fu uno scandalo non per il fallimento delle due banche venete, ma per il fallimento di due banche che non erano in crisi e furono regalate a Banca Intesa! Forse accadde ancora qualcosa di peggio, le due banche venete zoppicanti ma non in condizioni disastrose, vennero fatte fallire mentre si procedette al salvataggio della banca che produceva miliardi di perdite, il Monte dei Paschi diSiena.
Perché è successo questo? All’epoca, i media attribuivano alle due banche venete il neo della “gestione allegra” dei finanziamenti da parte dei vertici delle due banche venete, istituti operanti in una Regione ricca e con un’economia invidiabile. L’opinione pubblica, sobillata dai media, pretese i nomi dei beneficiari dei finanziamenti non onorati che avrebbero messo in crisi i due istituti di credito del territorio. In spregio di
ogni norma a tutela della privacy, i nominativi vennero pubblicati e dati in pasto alla folla inferocita. All’analisi delle procedure di erogazione di questi prestiti non emerse nessuno scandalo, operazioni usuali per banche di quella dimensione.
Lo scandalo delle banche venete
È fisiologico che le banche abbiano dei crediti deteriorati e che qualcuno di questi diventi inesigibile – fa parte del rischio d’impresa -. Per mettere tutto a tacere, lo Stato si accollò le sofferenze delle due banche venete mentre l’attivo – e di attivo ne avevano tanto – fu “regalato a banca Intesa che proprio per questo attivo, negli anni successivi, – con i soldi dei veneti – presentò ottimi bilanci. Dalla vicenda ne uscirono con le ossa rotte gli azionisti delle due banche venete e, in parte, lo stato. Questo evento è il medesimo di quello che accadde anni prima con la Banca Cattolica del Veneto, letteralmente derubata per coprire le perdite del banco Ambrosiano (approfondiamo più avanti). In sostanza, i buchi delle banche milanesi vennero colmati con i soldi dei veneti. La memoria delle persone comuni non aiuta mai, ma tanto scandalo fu così grande da rompere gli argini diplomatici anche del Patriarca di Venezia dell’epoca – Beato Albino Luciani -. Le due banche venete potevano essere salvate con un modesto aiuto da parte dello Stato.
Detto questo, perché Banca MPS, invece, è stata sostenuta con soldi pubblici come non è stato fatto per altre banche? Perché non furono mai resi noti i nomi di coloro che ebbero prestiti dal MPS rimasti insoluti al punto da inquinarne le casse “quasi” irrimediabilmente? La risposta alla seconda domanda è, ovviamente, perché esiste la privacy.
Lo stato preferì salvare MPS, che era in condizioni ben peggiori rispetto alle due banche venete di cui sopra, perché era il bancomat dei partiti politici. I piccoli azionisti che hanno visto il loro investimento quasi azzerato provarono a chiedere i nomi dei responsabili del dissesto di MPS, ma alcuni dirigenti dell’epoca si limitarono ad ammettere che il gruppo Monte Paschi vantava crediti nei confronti di tredici partiti politici per complessivi dieci milioni di euro – 9,7 milioni no performing -. Quindi la maggior parte dei partiti otteneva crediti da un istituto (sempre lo stesso) sapendo che poteva non onorare l’impegno della restituzione. Motivo per cui la banca più fallita di tutte sarà salvata dallo stato con estrema disinvoltura. Ovviamente, oggi, la Banca MPS risanata e ben patrimonializzata è strumento di scalate, anche ardite, come quella sul tempio della finanza nazionale che è Mediobanca.
PERCHE’ PRIVATIZZARE E POI INTERVENIRE CON SOLDI PUBBLICI
È solo una questione di forma! Un conto è togliere la coperta da una situazione complicata di origine “privata” e intervenire come terzo garante, altro conto è manifestarsi come responsabile poco trasparente. Andiamo ancora più indietro negli anni e vediamo di chiarire anche la posizione di un’altra grande banca italiana – la più importante -. Molti non ricordano o ignorano totalmente che c’è stato uno scandalo bancario giornalisticamente sottolineato come “CRACK DEL BANCO AMBROSIANO” assai più “verminoso” di quanto scritto fino ad ora. Nulla che non sia di dominio pubblico e certificato, basta fare una ricerca sul web, ma anche promuovere l’approfondimento di certa cronaca è utile per farsi l’idea di cos’è la finanza e perché non è mai cosa buona farla uscire dagli argini della sua competenza.
ORIGINI DEGLI SCANDALI BANCARI
Facciamo una retromarcia di 40/50 anni – nello specifico siamo nel 1982 – e aggiungiamo una premessa che è banale, ma da chiarire: le banche non falliscono. È vero se assimiliamo il fallimento di un istituto di creditoal fallimento di una normale azienda commerciale. Di fatto, se una banca viene assorbita da un’altra al prezzo simbolico di un euro, è chiaro che dobbiamo, di fatto, ritenerlo un fallimento. I motivi per i quali le banche falliscono sono diversi: le banche devono movimentare miliardi per avere guadagni di milioni e sono molto sensibili ai periodi di crisi economica. Dato per scontato che se un’azienda – anche una banca- fallisce, dietro devono esserci degli errori di gestione, però è da comprendere con estrema chiarezza che fare il banchiere è semplice quando l’economia è florida ma è il mestiere più difficile al mondo in situazione di crisi. L’altro motivo – oggi ormai scongiurato da nuove leggi e una vigilanza assai più competente – è quando all’interno di un istituto di credito si insediano cordate “poco trasparenti”. Quello di cui si parla, da ribadire, è di dominio pubblico, quindi nessuno scoop alle liste. Un esempio di quanto l’argomento sia dibattuto e chiarito da decenni potete trovarlo qui.
Fallisce la “Banca Privata Finanziaria”
La storia più o meno recente, fa partire le crisi delle banche dal fallimento del Banco Ambrosiano, ma non è così. Per essere più precisi, il fallimento del Banco Ambrosiano è stato figlio di un evento accaduto anni prima. Nel 1974 fallisce la “Banca Privata Finanziaria”, sportello unico a Milano, nome che non dice nulla ma dietro aveva spalle assai solide in termini di liquidità e di “soci”. Il controllo di questa banca sin dal 1960 era detenuto da una finanziaria con sede nel Liechtenstein. Quest’ultima era sotto il controllo di Michele Sindona e tra i soci di minoranza c’era anche una piccola banca inglese e un’altra (sempre piccola) banca americana, oltre lo Ior ( fonte ).
La Banca privata Finanziaria va in difficoltà, si fonde con un’altra micro banca, Banca Unione, con sportello unico a Roma. La fusione tra le due piccole banche genera la Banca Privata Italiana, ma la fusione non risultò sufficiente a risolvere tutti i problemi, tanto è vero che tutte le altre banche non hanno mai pensato neanche lontanamente di prendere in considerazione il salvataggio di Banca privata Italiana. La conseguenza è il fallimento definitivo della neo banca e l’inizio dei problemi per Michele Sindona. A proposito di banche sconosciute ma “importanti” con sportelli unici, per chi fosse attratto da queste vicende, è interessante anche approfondire la storia della banca Rasini.
Il famoso capitalismo di connubio col potere politico
All’epoca, correvano anni d’oro per un’altra banca privata, il Banco Ambrosiano, al vertice dell’istituto di credito troviamo Roberto Calvi. Anche in questo caso, spericolate e poco trasparenti operazioni trascinano l’istituto di credito verso il default. Lo Ior che era tra gli azionisti di maggioranza del banco Ambrosiano impone la fusione con la banca Cattolica del Veneto, banca floridissima con sede a Vicenza, anche in questo caso la reazione decisa del Patriarca di Venezia (Beato Albino Luciani) non si fece attendere. Non è stata una fusione alla pari ovviamente. La Cattolica del veneto portava in dote l’attivo, il Banco Ambrosiano il passivo. Nacque il Banco Ambrosiano Veneto, che la logica vedrebbe guidato dai veneti, invece la sede principale rimase a Milano a guida di amministratori milanesi.
Successivamente l’ambro-veneto si fuse con i due più importanti istituti bancari milanesi – CARIPLO e COMIT – che successivamente entrarono nel gruppo Intesa e si fusero a loro volta con la più grande banca piemontese – Istituto Sanpaolo di Torino – dando vita a Banca Intesa Sanpaolo. Tutto è nato con i soldi dei vicentini, il famoso capitalismo di connubio col potere politico, che utilizza i risparmi dei lavoratori per finanziare sé stessi.