Le azioni di Stellantis sono crollate del 50%, le vendite di Maserati sono precipitate del 60%. E i concessionari americani si lamentano di veicoli invenduti che giacciono a centinaia nei piazzali. Tutto questo mentre la corsa verso i veicoli elettrici si rivela un’impresa più costosa e complicata del previsto
di Luca Lippi
Quello che sta succedendo a Stellantis è un monito per tutto il settore automobilistico. Carlos Tavares è solo il capro espiatorio di una strategia senza pianificazione. Una rincorsa a racimolare sussidi e finanziamenti senza uno studio compatibile di fattibilità su una trasformazione epocale decisa ai tavoli da chi non ha alcuna visione imprenditoriale e industriale. Presunti 120 milioni di buonuscita – sono stati smentiti dalla multinazionale ma ormai anche le smentite sono diventate notizie da verificare – e un posto assicurato all’interno del CdA di Stellantis, per Tavares è la fotografia di un gruppo allo sbando e un CdA in totale stato confusionale. Il CdA di Stellantis, oggi, è lo specchio delle trasformazioni e delle tensioni che scuotono l’intera industria automobilistica.
TRANSIZIONE TROPPO VELOCE VERSO L’ELETTRICO
La perdita di focus sulla clientela tradizionale, questo il primo punto che sta trascinando il settore automobilistico verso la più veloce autodistruzione di sempre. Non tutti sono disposti a pagare il prezzo di un’auto elettrica. Soprattutto nessuno è disposto a subire le disfunzioni e le assenze di impianti infrastrutturali per l’utilizzo dei nuovi autoveicoli. Il problema è di visione strategica! L’industria automobilistica non è mai stata così tanto sotto pressione. Il rallentamento economico in Cina, la domanda di auto elettriche che in Europa non decolla, la minaccia di nuovi dazi degli Stati Uniti e la determinazione di Trump a interrompere gli incentivi alle auto elettriche: tutto questo sta trasformando l’industria automobilistica in una polveriera.
IL PROFIT WARNING DI STELLANTIS
Dopo i disastrosi dati economici di settembre, Tavares ha tentato di dare una scossa. Proponendo il cambio totale della leadership finanziaria, ma il danno ormai è fatto. Giacenze di magazzino troppo elevate, auto invendute su tutta la rete di distribuzione e un calo di vendite solo negli Stati Uniti del 20 per cento rispetto al 2023. Riduzione del 17 per cento delle esportazioni in Europa e Maserati, il gioiello di casa, che ha registrato un crollo del 60 per cento nelle consegne globali.
L’ERRORE IMPERDONABILE DI TAVARES
La rigidità con la quale l’ex AD ha puntato la prua dell’azienda verso un futuro totalmente elettrico. I prezzi elevati hanno allontanato i consumatori dall’azienda – è quello che sta accadendo anche in Europa con Volkswagen BMW e AUDI –. E l’interruzione dei sussidi da parte della nova amministrazione Trump ha dato il colpo di grazia a Stellantis. Gli investimenti di miliardi per adattarsi alla rivoluzione elettrica sono soldi definitivamente persi. Per rientrare non si potrà mai neanche ipotizzare la vendita di veicoli a prezzi “competitivi”.
A tutto questo si è aggiunta la politica di taglio di teste famose che avevano fatto il nome di marchi come Chrysler, Dodge, Jeep. Un patrimonio di uomini esperti difficile da replicare.
I BILANCI DELL’AZIENDA
Il margine operativo previsto per il 2024 al 5,5 per cento – l’anno precedente era 10 per cento – uno scenario che raramente si vede se non per una recessione globale! Perdita di liquidità fino a dieci miliardi di euro nel 2024 che sono la conseguenza di vendite lente e listini gonfiati sul mercato americano. Calo complessivo del 17 per cento delle vendite e del 36 per cento nelle spedizioni solo sul mercato americano nei primi tre trimestri dell’anno. Jeep, Dodge, Chrysler e RAM hanno visto un crollo dei profitti del 50 per cento, mai così in basso nella loro storia. Ogni singolo marchio – tranne Fiat – ha registrato un calo delle vendite.
Il problema principale è il mercato Nord-americano che è sempre stata la gallina dalle uova d’oro per Stellantis, oggi trasformato in un vero e proprio incubo. A peggiorare le cose sono i concessionari americani letteralmente sommersi di veicoli invenduti.
La situazione è drammatica anche in Europa. Le spedizioni sono crollate di centomila unità, Stellantis ha dovuto affrontare tagli alla produzione e chiusure di impianti con un taglio drastico dei turni. Maserati ha visto un crollo di vendite dell’80 per cento dall’anno scorso con solo 2200 unità vendute in tutto il mondo, praticamente è in fallimento.
PROBLEMA STRATEGICO
Non è solo il lato finanziario a perdere colpi, ma soprattutto quello strategico. La fusione tra PSA e FCA che ha dato vita a Stellantis nel 2021, doveva creare sinergie e una linea di prodotti competitivi su scala globale. In realtà, si è generata una competizione, soprattutto in Europa di marchi diversi ma sotto la stessa dirigenza (Peugeot, Citroen Opel e Fiat) contendendosi lo stesso segmento di mercato. Durante la pandemia Stellantis aveva aumentato i prezzi molto più dei suoi competitors, creando una bolla che era destinata a scoppiare da un momento all’altro, a farne le spese, negli Stati Uniti, sono state proprio Jeep e Chrysler che avendo conquistato – per fascia di prezzo – un segmento di élite, si sono trovate a competere con mezzi qualitativamente molto più pregiati e performanti, guastando irrimediabilmente la reputazione.
A questo si aggiunge la produzione di elettrico dal quale Stellantis deve caricare l’ammortamento degli enormi investimenti fatti. Tant’è che per scarsa qualità rispetto al costo, negli Stati uniti, cinque marchi Stellantis guidano la catastrofica classifica dell’invenduto elettrico. Con il crollo delle vendite sono arrivati anche i licenziamenti in Europa e in America.
CONCLUSIONE
Il finto licenziamento di Tavares – di fatto resta nel CdA di Stellantis – è un campanello di allarme per tutto il settore automobilistico. Ovvio che l’allontanamento del Ceo è una mossa politica per poter mendicare sussidi ovunque mostrando di avere rimosso il male assoluto – il lupo perde il pelo…- ora si proporrà sui mercati come una tela bianca su cui ridisegnare il futuro. Un colosso, più per dimensioni che per consistenza, cercherà di recuperare la sua immagine attraverso i suoi media e facendo leva su un’appartenenza territoriale che, di fatto, non esiste. Gli analisti – lavorando con i numeri non possono mentire -, hanno già previsto il margine operativo per il 2025 in calo del 30 per cento.
Quattordici marchi sotto il suo ombrello sono un’arma per recuperare una gerarchia sia di pregio sia di massa, bisognerà vedere quali marchi e a svantaggio di chi. È una famiglia di figli e figliastri, la qualità di ciascuno la si scopre solo dopo avere sborsato decine di migliaia di euro, un rischio che il mercato sarà ancora disposto a correre?