
Le guerre commerciali non sono solo un tema geopolitico, colpiscono anche la situazione finanziaria personale degli individui, sia lato investimenti – chi investe in azionario vede il valore delle azioni ripiegare a causa del deterioramento degli utili – sia sul lato dei consumi. Contestualmente sono anche una tassa occulta
di Luca Lippi
Dopo l’impennata dei prezzi, dal 2021 fino al 2023, tutti hanno tirato un sospiro di sollievo intravedendo la fine dell’inflazione. Con l’arrivo di Trump, tutto è cambiato. Nell’ultima riunione della FED Powell ha avvertito che i dazi potrebbero ritardare la discesa dell’inflazione. Della stessa idea il presidente della BCE Lagarde. Ma perché l’inflazione ha smesso di scendere? Che relazione c’è tra dazi e inflazione? Perché l’inflazione generata dai dazi sarebbe una tassa per potere lavorare?
Da Powell nessuna fretta di modificare la politica monetaria
Nella conferenza di Jerome Powell, seguita alla decisione di lasciare i tassi invariati nell’intervallo 4,25 – 4,50 per cento e rallentando in QT (Riduzione della quantità di denaro in circolazione), il governatore della FED ha dichiarato: “non dobbiamo avere fretta di modificare la nostra posizione di politica monetaria e siamo ben posizionati per attendere una maggiore chiarezza”.
È indubbio che tra dazi e contro dazi, particolarmente nella guerra commerciale tra USA e UE, potrebbe esserci un potenziale peggioramento della crescita economica – il condizionale è d’obbligo perché nessuno ha ancora capito questi dazi se ci saranno e a quali merci verranno applicati concretamente -. Il due aprile, presumibilmente, gli USA dovrebbero attivare i dazi alle importazioni dall’Europa – segnatamente al vino italiano – e all’interno della UE dovrebbe aprirsi il dibattito su come rispondere.
L’incertezza è palpabile, tant’è che la BCE non ha alcuna intenzione di affrettarsi a ulteriori tagli finchè non saranno disponibili provvedimenti concreti e dati che quantifichino eventuali danni.
L’inflazione ha smesso di scendere

Il fenomeno inflattivo fatica a scendere. Inflazione bassa non vuol dire che i prezzi scendono, vuol dire che i prezzi smettono di salire. Al contrario, quando l’inflazione cresce – o riprende a salire – i prezzi aumentano tanto quanto l’inflazione aumenta. Nel caso di prezzi che scendono si parla di deflazione ed è un fenomeno che si verifica quando l’inflazione è negativa – e non è un buon segnale-.
La situazione inflattiva USA non è diversa da quella UE.

L’inflazione “sticky”
Questo conferma che l’inflazione americana, nonostante abbia basi economiche assai più solide e resilienti di quella UE, è considerata “sticky” (appiccicosa), dunque Powell è impossibilitato a tagliare finchè non si concretizzino segnali reali di discesa. Questa prudenza è figlia dell’esperienza vissuta negli Stati Uniti negli anni settanta, quando l’inflazione era esplosa (era il 1975) per poi riscendere ma non a sufficienza. Il governatore dell’epoca – Paul Volcker – sottovalutò alcuni segnali di incertezza continuando a tagliare i tassi finche l’inflazione esplose più vigorosa della prima ondata – era il 1980 –.

È evidente che Powell, seppure le condizioni siano diverse, non ha alcuna intenzione di cadere nell’errore del suo predecessore.
La relazione tra dazi e inflazione
La guerra commerciale potrebbe portare a un nuovo aumento dell’inflazione per un meccanismo piuttosto banale. Se una materia prima aumenta di prezzo per l’esposizione di un dazio, automaticamente i costi della filiera che utilizza quella materia prima aumentano. Il prodotto finale avrà un costo più elevato e, generalmente tale costo ricade sul consumatore finale.
Se il prodotto finale ha una domanda inelastica – il consumatore non è in grado di tollerare un aumento del prezzo – il costo aggiuntivo ricade sul produttore che non ha scelta; per conservare la potenzialità di consumo di quanto produce, assorbe totalmente il maggior costo, andando a deteriorare il profitto dell’azienda. Nel caso in cui il costo finale ricade sul consumatore avremo un aumento dell’inflazione, nel caso in cui il costo sia assorbito dal produttore avremo un rallentamento economico. Quando al deterioramento economico si aggiunge anche la riduzione del consumo dei beni prodotti allora si materializza la recessione.
Ovviamente i dazi prevedono dei contro dazi, di conseguenza – nel caso specifico – le spinte inflazionistiche conseguenti sarebbero uguali sia per la UE sia per gli USA. Tuttavia, i dazi sono anche lo strumento per stimolare la manifattura dei prodotti all’interno dell’economia del Paese (Trump si occupa di promuovere questa politica) da qui la risposta all’ultimo quesito
I dazi sono una tassa per lavorare
E’ una deduzione provocatoria, di fatto , però il meccanismo che dovrebbe innescarsi con i dazi è che i prodotti provenienti da un’altra economia siano più costosi, dunque i consumatori dovrebbero essere sufficientemente motivati a comperare prodotti locali, ma se questi prodotti costano di più dei rispettivi prodotti importati dall’estero, in qualche modo si costringono le persone a non accedere ai prodotti più convenienti provenienti dall’estero ma a comperare i prodotti locali che costano di più.
In estrema sintesi, per stimolare l’economia, facendo in modo che i lavoratori dell’economia interna lavorino, si inducono i consumatori a scegliere prodotti interni a prezzi più alti perché ognuno di noi è sia un consumatore sia un lavoratore. Questo è il motivo che configura il dazio come una tassa indiretta, perché per stimolare la manifattura locale si devono creare delle barriere doganali, imporre di comprare solo prodotti locali ma, visto che molti prodotti hanno un costo maggiore di quello sostenuto in altre economie concorrenti, chi vuole quel prodotto dovrà pagarlo di più. E’ una tassa che non appare nella dichiarazione dei redditi ma colpisce i consumi sotto forma di prezzi.
I dazi colpiscono dai consumatori alle Banche centrali
L’effetto è duplice: da una parte colpisce i consumatori e contestualmente produce posti di lavoro, dall’altra parte ha un effetto sulle aziende che prevedono una contrazione degli utili – esempio classico è il fenomeno che sta colpendo l’S&P500 – e questa è la ragione della recente tensione sui mercati azionari. Il motivo è che non tutti i rincari saranno assorbili dai consumatori finali, oltre una certa cifra il mercato ha difficoltà a sostenere il costo di un prodotto, per questo motivo l’azienda produttrice è costretta a rinunciare parte del margine riducendo l’utile.
Le guerre commerciali, come quella promossa dagli Stati Uniti, non sono solo un tema geopolitico, ma colpiscono anche la situazione finanziaria personale degli individui, sia lato investimenti – chi investe in azionario vede il valore delle azioni ripiegare a causa del deterioramento degli utili – sia sul lato dei consumi.
Allo stesso tempo, i dazi impattano anche le politiche delle Banche centrali, costringendole a tenere i tassi di interesse alti perché se li abbassassero troppo velocemente potrebbe ripartire l’inflazione. Potenzialmente, però, tenere i tassi più alti del necessario rallenterebbe l’economia.