
Un nuovo studio, Pubblicato sul ‘Journal of Translational Medicine’, coordinato dal professor Antonio Giordano dell’Università di Siena, dimostra come i ricoveri per Covid-19 siano stati determinati anche da fattori genetici specifici della popolazione residente
Annachiara Albanese
È stato pubblicato sul Journal of Translational Medicine uno studio multidisciplinare che evidenzia come i ricoveri per Covid-19 siano stati influenzati da fattori genetici specifici della popolazione residente, in particolare dal genotipo dell’Antigene Leucocitario Umano (HLA). Questa scoperta potrebbe facilitare l’identificazione rapida dei pazienti a più alto rischio. La ricerca, coordinata dal professor Antonio Giordano dell’Università di Siena, ha coinvolto un team di epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.
L’obiettivo della ricerca: comprendere chi è a maggior rischio
Durante i giorni più critici dell’emergenza Covid-19, gli scienziati hanno unito le forze per rispondere a domande cruciali: chi rischia maggiormente di sviluppare forme gravi della malattia? chi proteggere con priorità? Per rispondere a queste domande, i ricercatori hanno studiato se l’elevata incidenza di ricoveri in alcune province italiane potesse essere legata a determinanti genetici specifici. Lo studio, guidato da Giovanni Baglio dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, ha utilizzato dati di ricovero del Dipartimento della Protezione Civile e informazioni genetiche dal Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo, che conserva dati sul genotipo HLA, normalmente analizzati per verificare la compatibilità nei trapianti.
Il ruolo degli HLA nel Covid-19 e la risposta immunitaria
Rita Emilena Saladino, esperta dell’Unità di Tipizzazione Tissutale dell’Ospedale Grande Metropolitano di Reggio Calabria, ha spiegato: “La ragione di questa diversità è che il ruolo degli HLA/MHC è quello di presentare le proteine microbiche al nostro sistema immunitario, scatenando una potente risposta specifica contro il microrganismo a cui appartengono. Ciò significa che all’interno della popolazione ci saranno individui in grado di montare una risposta immunitaria efficace, mentre altri alla fine soccomberanno alla malattia.”

HLA e suscettibilità al Covid-19
Attraverso un’analisi ecologica pubblicata nel 2020 sull’International Journal of Molecular Sciences, Pierpaolo Correale e colleghi dell’Ospedale Grande Metropolitano ‘Bianchi Melacrino Morelli’ di Reggio Calabria hanno identificato i geni HLA-C01 e HLA-B44 come associati a una maggiore suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2. Questo metodo, seppur economico e rapido, presentava limiti legati alla sua natura ecologica.
Successivamente, per confermare i risultati, il team ha condotto uno studio caso-controllo in Campania e Calabria, in collaborazione con Roberto Parrella dell’“Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli” di Napoli. I dati pubblicati a marzo sul Journal of Translational Medicine hanno rivelato che l’associazione tra HLA-C01 e HLA-B44 con il rischio di Covid-19 grave diminuiva fino a scomparire dopo la prima ondata pandemica, probabilmente a causa della co-evoluzione del virus e della risposta immunitaria. Tuttavia, l’allele HLA-B*49 è emerso come un possibile fattore protettivo.
Un approccio che può essere utilizzato in emergenza
“I nostri studi – conclude Francesca Pentimalli, professoressa di Patologia all’Università LUM di Bari e all’Istituto Sbarro – suggeriscono che l’approccio ecologico, basato su dati pubblicamente disponibili, può essere utilizzato in emergenza come un metodo rapido ed economico per determinare le priorità nella gestione dei pazienti e durante le campagne di vaccinazione.”
Questa ricerca apre nuovi scenari nella gestione delle future pandemie, dimostrando come l’analisi genetica possa diventare un elemento chiave nella definizione delle strategie di sanità pubblica.