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La lettera n. 1

siringa con mano guanto da infermiere

di Katrin Bove

Il numero di gennaio di The Lancet Europa, una delle più prestigiose riviste mediche internazionali, ha pubblicato un editoriale sulla situazione della sanità italiana. Un’analisi impietosa e durissima, nella quale si parla di “feudalesimo: “una sanità spezzatino – si legge – in cui le Regioni non riescono neppure a comunicarsi i dati necessari a curare i pazienti, in cui ospedali e strutture sanitarie si affidano a sistemi di raccolta dei dati incompatibili tra loro e vetusti“.

Questo comporta – si aggiunge – l’impossibilità a trasferire referti anche all’interno di una stessa città. Per questa ragione, i pazienti sono costretti a ripetere gli esami quando devono migrare da una struttura o da una regione all’altra. Con un costo per le casse dello Stato che si aggira intorno ai 3, 3 miliardi. Si ricorda anche – quasi a mò di derisione – come il problema ancora irrisolto della raccolta dei dati fosse già emerso durante il periodo del Covid-19, quando alcune strutture sanitarie, soprattutto durante i primi mesi, scrivevano a mano le informazioni sui contagi.

L’autonomia differenziata

Ma c’è di più: The Lancet sottolinea come la riforma dellautonomia differenziata rappresenti un rischio ancora maggiore per il sistema sanitario italiano. Secondo l’editoriale, la riforma potrebbe amplificare le disparità tra le Regioni, con conseguenze gravi per le aree più svantaggiate. Le sette Regioni che dovrebbero rientrare dalle spese sanitarie, in base alla riforma, sono tutte situate nel Centro-Sud (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia). Al contrario, i livelli essenziali di assistenza (LEA) risultano garantiti solo nelle Regioni del Centro-Nord, con la sola eccezione della Puglia.

Una prova dello spezzettamento della sanità italiana sarebbe il mancato utilizzo del fascicolo sanitario elettronico. Uno strumento – sostiene la rivista – che potrebbe unificare la storia sanitaria di ogni cittadino, ma che resta largamente inapplicato per l’estesa autonomia che permette alle Regioni di agire indipendentemente con frammentazioni e inefficienze.

Il dubbio che lascia spazio a sospetti

Infine, l’editoriale si chiude con un interrogativo preoccupante: nel 2022, l’Italia ha speso 1,8 miliardi di euro per la sanità digitale, ma non è chiaro come e dove questi fondi siano stati impiegati. Un dubbio che lascia spazio a sospetti e critiche. Una riflessione amara, insomma, e una denuncia cheparadossalmente – arriva dall’estero. Ci volevano gli inglesi. E’ il caso di dire.