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BUSSOLE PER LA COMPETITIVITA’ E RISPARMIO PRIVATO

europa che dipende da stati uniti e cina

Negli ultimi anni gli investimenti non sono finiti In Europa, sono andati verso la Cina e gli Stati Uniti, lasciando il Vecchio Continente al palo. Fin dal 2010 il PIL dell’Unione Europea era ancora in linea con quello americano

di Luca Lippi

Non si tratta solo di numeri, il dominio tecnologico deli Stati Uniti, la crescita dell’industria cinese, soprattutto nell’elettrico, dimostrano quanto il vantaggio competitivo europeo si sia ormai eroso. Anche l’industria automobilistica europea che era il fiore all’occhiello della nostra innovazione e della nostra potenza economica oggi vive la sua più grande crisi.

PERCHÉ LE AZIENDE E LE INDUSTRIE EUROPEE FATICANO A CRESCERE

Il problema non è la mancanza di idee o di talenti, l’Europa ha eccellenze in ogni settore. Il problema è che trasformare un’idea in un’azienda di successo è molto più difficile che altrove. Troppa burocrazia, troppi ostacoli nel far crescere le imprese. Gli Stati Uniti fruiscono di un massiccio afflusso di capitali privati per sviluppare le start-up tecnologiche, mentre la Cina utilizza ingenti finanziamenti statali per sostenere le sue industrie strategiche. Dal 2008 un terzo delle aziende più strategiche e innovative europee ha lasciato il continente per trasferirsi altrove. Tra le prime venti aziende tech al mondo, solo quattro hanno sede in Europa. Quando si tratta di venture capital, finanziamenti forniti da investitori privati, l’UE raccoglie appena il sei per cento degli investimenti globali, mentre gli Usa assorbono il 50 per cento e la Cina il 40 per cento. Se il trend non si inverte, il futuro sarà ancora più incerto.

La proposta di Draghi

Ora la Commissione Europea, in tutta fretta, ha deciso di prendere posizione, di fatto mostrando solo un segno di vitalità. Ha messo al centro del tavolo un piano ambizioso per rilanciare la competitività. Probabilmente sollecitata dal piano proposto da Mario Draghi. L’ex banchiere Aveva denunciato il declino economico dell’Europa segnato dalla bassa produttività, dagli alti costi energetici e dalla dipendenza da Cina e Stati Uniti. Aveva criticato l’Europa per il suo rallentamento economico ammettendo che il reddito pro-capite negli Stati Uniti è cresciuto il doppio rispetto a quello europeo a partire dal 2000. Eppure aveva omesso un piccolo dettaglio: L’Euro.

La moneta unica ha contribuito a creare questo divario di produttività tra Europa e Stati Uniti. Draghi omette la questione della moneta unica di fatto raccontando solo metà della “storia”. Probabilmente è consapevole di dovere ammettere troppi errori commessi anche da lui quando era presidente della BCE.

Il gas russo

Ammette anche che l’Europa ha perso il suo principale fornitore di energia, la Russia, come se lo spiega? Come se l’Europa avesse semplicemente perso un mazzo di chiavi! Non c’è traccia delle sanzioni che hanno portato a questa situazione, eppure i dati parlano chiaro. Il gas americano costa quattro volte quello russo, e questo ha messo in ginocchio la competitività europea. La sua proposta era di un piano da 800 miliardi di euro l’anno finanziata con il debito comune europeo e mobilitando risparmio privato. Quindi l’Europa deve accelerare su innovazione, transizione verde, sicurezza economica, ma senza una maggiore integrazione fiscale e politica il piano diventa semplicemente irrealizzabile!

MOBILITARE IL RISPARMIO PRIVATO

Su questo punto c’è tanta sensibilità – per non dire preoccupazione -. L’Italia ha uno dei più alti tassi di risparmio privato rispetto al PIL, potrebbe diventare la principale fonte di finanziamento per le operazioni sollecitate da Draghi e, in parte, oggi sul tavolo per il rilancio della competitività europea. Cosa dovrebbe far pensare che non ci siano rischi futuri per i risparmiatori italianai? Ritrovarsi coinvolti in un meccanismo di redistribuzione finanziaria a livello europeo, a carico di risparmiatori che per il 90 per cento sono finanziariamente impreparati anche solo a comprendere il concetto di “redistribuzione finanziaria”. Nulla che possa spaventare, tanto non si arriverà a fare niente, ma cominciare ad aumentare la sensibilità sugli scenari futuri comincia a essere un dovere e un obbligo nel rispetto del proprio risparmio. Le proposte di Draghi sono complicate da mettere in atto, richiederebbero il consenso di tutti gli Stati Membri, e senza il consenso della Germania, dell’Austria, dell’Olanda, dei paesi del Nord, non c’è possibilità che questo accada.

IL PIANO DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Il Competitiveness Compass (la bussola della competizione), ha l’obiettivo di rendere l’Europa più business friendly (favorevole alle imprese) e vuole farlo puntando su tre obiettivi chiave: chiudere il divario nell’innovazione; ridurre i costi dell’energia mantenendo gli impegni per la transizione ecologica; aumentare la resilienza economica dell’Unione. Bruxelles si impegna a raggiungere questi obiettivi sfrondando in burocrazia, aumentando incentivi alle imprese e maggiore attenzione alla crescita delle startup.

Purtroppo però ci sono dei dossi atavici della Ue che, per esempio, guardano alla AI come una minaccia da controllare e regolamentare piuttosto che un’opportunità da sfruttare. Ambiguità simili non fanno intravedere nessuna seria volontà di investire nei settori tecnologici, rendendo impossibile la competizione con le superpotenze tecnologiche. Tuttavia, gli imprenditori non sono molto attratti dal Competitiveness Compass, aspettano la proposta OMNIBUS attesa il prossimo mese, che prevede la riduzione del carico amministrativo sulle imprese, soprattutto in ambito finanziario e di sostenibilità.

Il Regime del Ventottesimo Stato

In sostanza, senza un intervento concreto il rischio è che la competitività europea non può che rimanere un’illusione. L’altra novità attesa è il REGIME DEL VENTOTTESIMO STATO. Questo è un pacchetto normativo unico per fiscalità, diritto del lavoro e regolamentazioni aziendali che renderebbe più semplice operare in tutta l’Unione senza doversi districare tra normative diverse da paese a paese.

In estrema sintesi, l’Europa vuole tentare il grande salto e rendersi autonoma soprattutto per quanto riguarda la tecnologia e il rilancio del settore automobilistico, provando a non dipendere totalmente dalla Cina – com’è ora – e in generale dai mercati esterni. Tuttavia c’è un problema! La corsa europea alla competitività, secondo 270 gruppi della società civile, potrebbe sacrificare i “valori europei”. Nessun passo indietro sui diritti sociali, sull’ambiente e sulla tutela dei diritti dei lavoratori. Competere con Stati Uniti e Cina non deve significare abbassare gli standard. Come si coniugano crescita economica e competitività senza compromettere l’una o l’altra?

IL CINQUE MARZO

In questa data vedremo se l’Europa ha realmente una strategia per recuperare il primato sul comparto automobilistico. Non si parla solo di auto, ma di tutto un indotto che impiega tredici milioni di persone e contribuisce con oltre mille miliardi di euro al PIL europeo. È un sistema complesso che va dai giganti dell’industria automobilistica fino alla fitta rete di fornitori e imprese che ne fanno parte. Senza una strategia chiara, tutto il settore rischia di essere annientato sotto il peso di una competizione globale e delle transizioni imposte dalla politica ambientale. La Von der Leyen lo sa molto bene, per questo motivo ha assegnato il compito di sviluppare il piano di azione a una squadra di commissari con competenze chiave (trasporti – innovazione – energia – industria – sostenibilità). Si riuscirà a compiere l’accelerazione senza rompere gli equilibri ambientali cari alle componenti politiche che tengono in piedi l’attuale parlamento europeo?

Finchè si parla di pianificare una strategia, è tutto molto semplice, la strategia vera è propria è una scommessa che include anche rinunce e sacrifici verso una crescita che non può essere garantita al cento per cento a nessuno. Aggiungiamo anche che l’obiettivo è ardito; contrastare Cina e Stati Uniti su un campo dove il divario è troppo ampio, è semplicemente “partecipare”. E forse la Ue sta preparandosi a replicare errori già commessi: investire senza avere un vero piano per superare – o mettersi in scia – la concorrenza globale. Il rischio di un’allocazione inefficiente di risorse è elevatissimo.