Al centro del dibattito, invero lontano dai riflettori, ci sono Unicredit e banco BPM, più illuminati MPS e MEDIOBANCA. Il capitalismo italiano che si mostra per quello che è davvero: pieno di contraddizioni, poche risorse e grandissime ambizioni. Tutto quello che seguirà all’attacco di Unicredit vs Banco BPM può influenzare profondamente il nostro futuro, la reazione della finanza privata con MPS, Mediobanca e Generali lo rivoluziona
di Luca Lippi
Nulla di nuovo all’orizzonte e neanche alle spalle, il gioco di potere è sempre lo stesso. È il braccio di ferro tra la Finanza e la Politica. Di nuovo c’è solo la presenza di due nuovi protagonisti che stanno cercando di rompere il monopolio dei “salotti buoni”, luoghi reali, non suggestioni come vogliono far credere. Luoghi dove si decide chi entra o chi esce fuori dai giochi.
Le banche dopo anni di profitti record stanno cercando di consolidarsi investendo l’enorme quantità di denaro accumulata. Hanno registrato profitti per oltre 40 miliardi di euro nel 2023. Anche per i primi sei mesi del 2024 hanno avuto bilanci da record con una previsione – lo scopriremo presto – che potrebbe superare 50 miliardi di Dollari per il 2024. Le quotazioni in Borsa dei titoli bancari sono volate, Intesa San Paolo e Unicredit hanno performato oltre il 35 per cento, in meno di un anno.
Sulla spinta di questi numeri, il secondo colosso bancario “italiano” ha così deciso di cogliere l’occasione per mostrare la sua audacia, un’offerta pubblica per acquisire Banco BPM “carta su carta”. In estrema sintesi un’insolenza!
La proposta di apertura delle ostilità è ovviamente una mossa per procurar battaglia. Il cambio delle regole del gioco consiste nel tentativo di creare il tanto discusso terzo polo bancario, soprattutto consiste nell’anticipare le mosse della politica che avrebbe individuato il famoso terzo polo in Banca MPS e Anima. Andiamo con ordine e cerchiamo di capire perché Unicredit, dopo mesi di trattative per lanciarsi su Commerzbank ha deciso di virare su Banco BPM.
FORZE SOVRANISTE E INTERESSI FINANZIARI GLOBALISTI
C’è una regia che non risiede solo in Italia, in sceneggiatura c’è chi vuole fare il burattinaio e chi è pronto a sacrificare qualcosa pur di controllare la scacchiera. Ma tutto deve partire dalla storica frammentazione del sistema bancario italiano, composto da piccoli attori locali che faticano a tenere il passo con le sfide globali. Unicredit e Intesa hanno già rotto questa logica costruendo “giganti” in grado di competere su scala europea (inutile competere su scala mondiale perché se anche si ipotizzasse un grandissimo polo unico in Europa, non riuscirebbe a competere con una sola delle seconde dieci banche statunitensi).
L’idea di un terzo polo capitanato da Banco BPM e supportato da investitori come Caltagirone e Delfin Group rappresenta una minaccia diretta al duopolio Intesa Unicredit. Da qui la mossa di Unicredit, a bloccare sul nascere il tentativo di cambiamento, ma che risponde anche alla necessità di proteggere la propria quota di mercato in Italia. oDve genera il 45 per cento dei suoi ricavi totali, anticipando potenziali mosse di concorrenti come Crédit Agricole. Quest’ultima, detiene già una partecipazione significativa in Banco BPM, non ha nascosto l’interesse per espandersi ulteriormente mettendo in gioco una competizione che avrebbe potuto ridefinire gli equilibri del settore.
Detto questo, poi bisogna mettere tutti d’accordo, e infatti non tutti sono d’accordo. Le forze “sovraniste” del governo vedono in questa operazione il rischio di concentrare troppo potere nelle mani dei soliti noti a scapito di un sistema più diversificato e vicino alle realtà territoriali. Dall’altro lato, però, ci sono i critici del terzo polo che lo definiscono troppo “localista”, incapace di reggere il confronto con le grandi dinamiche globali.
COSA METTE NEL PIATTO UNICREDIT
L’offerta scandalosa di Unicredit valuta Banco BPM a 6,7 volte i suoi utili previsti per il 2024, in linea con i multipli di Unicredit stessa. Lo scandalo risiede in una sottostima assoluta del valore totale dell’operazione a vantaggio di Unicredit: le sinergie previste da Unicredit stessa – circa 1,2 miliardi di auro – sono ciò che potrebbe trasformare questo accordo in una macchina da profitti. Un colosso bancario capace di gestire quasi centomila dipendenti – troppi per non includere un piano di forte riduzione del personale – più di 4700 filiali e 19 milioni di clienti.
Diventerebbe il secondo gruppo creditizio italiano, subito dietro il gruppo Intesa, ma con una capitalizzazione di mercato che supererebbe l’antagonista. Ma non è solo una questione numerica, sarebbe un cambiamento strutturale nel panorama bancario.
PERCHE’ BPM E NON LA TEDESCA COMMERZBANK
La risposta risiede nella natura del provincialissimo mercato dei capitali italiano. Il risparmio in Italia è il più attraente rispetto a quello del resto del mondo, figurarsi di quello tedesco! In Italia il potenziale di crescita è maggiore, soprattutto grazie ai segmenti di gestione patrimoniale asset management che Banco BPM porterebbe in dote, insieme ai prodotti assicurativi e, soprattutto, una maggiore penetrazione nel Nord Italia. Unicredit ha bisogno di un partner che rafforzi la sua posizione domestica, prima di potersi espandere ulteriormente in Europa.
Tuttavia c’è un problema, convincere il consiglio di amministrazione di BPM e, soprattutto, i suoi azionisti. Unicredit è un gigante con i piedi di argilla, pur trovandosi in una posizione di forza ha scelto una preda affatto indifesa. Gli asset strategici di Banco BPM sono Anima Holding (leader nell’asset management e un comparto assicurativo consolidato) rappresenta una pietra dura rara nel panorama bancario italiano. Gli asset di BPM sono stati rafforzati con l’acquisizione de 5 per cento di Banca MPS o l’OPA su Anima. Oltretutto, Banco BPM non è una “preda passiva”.
L’offerta è stata giudicata “inusuale”
L’AD Giuseppe Castagna si è indispettito per l’approccio di Unicredit, rifiutando l’offerta con sdegno sottolineando l’offensiva mortificazione del potenziale e della redditività dell’istituto che guida. La proposta “carta su carta” offre un premio di 0,5 per cento rispetto al prezzo di mercato di BPM all’epoca dell’assalto (22 novembre 2024). Si traduce in uno sconto implicito del 7,6 per cento rispetto ai prezzi più recenti. Usando termini consoni all’area di impegno, l’offerta è stata giudicata “inusuale”.
A tutto questo si aggiungono le forti preoccupazioni sulle ricadute a livello occupazionale e sociale. Tant’è che dietro le quinte stanno agitandosi altri attori, Delfin e Caltagirone, due pesi massimi della Finanza privata che stanno cercando di rompere il monopolio dei “salotti buoni”. Un po’ perché sono sempre stati snobbati e quindi nutrono rivalsa, un po’ perché deve infrangersi definitivamente l’aristocrazia dei “grandi giochi” giacché senza la grande finanza privata soprattutto le banche, sarebbero scatole vuote. Gli equilibri, oggi sono diventati molto fragili. Mentre per secoli si è esercitato il potere esclusivamente per le capacità di intermediazione, oggi gli intermediati hanno capito che sono loro la ricchezza, e non chi consente loro di muoversi sullo scacchiere. In questa fragilità si insinuano interessi internazionali. Del controllo della Finanza italiana non si interessa solo Roma ma anche Bruxelles e Parigi.
SALVINI E MELONI
E proprio sul controllo della Finanza si è riacceso il derby politico tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Da un lato Salvini vede in Banco BPM il possibile perno per creare il terzo polo bancario italiano vicino alle sue radici territoriali e quindi politiche. Dal lato del Presidente del Consiglio, fiutando l’affare, ha già messo in moto due alfieri: gli Eredi di Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, entrambi coinvolti nella scalata Generali, e ora pronti a sostenere anche l’operazione BPM/MPS. Lo stallo attuale mette il vice premier leghista in una posizione piuttosto complicata, tanto da spingerlo ad attaccare pubblicamente Banca d’Italia accusandola di non vigilare a dovere (è giusto sottolineare che Unicredit, col suo 5 per cento, è il maggiore azionista di Banca d’Italia che è anch’essa una banca privata).
LA CONTROMOSSA
Mps aggredisce Mediobanca. Parliamoci chiaro: si tratta di un’offerta non così generosa e certamente di una scalata ostile che vede da una parte il governo insieme a Caltagirone e al gruppo Luxottica e dall’altra il vecchio establishment milanese figlio di Cuccia e Maranghi. Una rivoluzione vera, ma soprattutto c’è la forza di MPS che può usare in modo più rapido le Dta (Deferred Tax Assets cioè crediti di imposta), trasferendo così da Siena agli azionisti di Mediobanca un valore attuale netto stimato di 1,2 miliardi; a conti fatti pari più o meno al 10 per cento della capitalizzazione di Piazzetta Cuccia. In gioco c’è anche il destino delle Generali, di cui Mediobanca indirizza da sempre le sorti, forte del suo 13 per cento del capitale. In sostanza “due piccioni con una fava”, oltre mantenere milioni euro di risparmio italiano in Italia.
A marzo dello scorso anno emerse uno studio di fattibilità per una fusione tra Unicredit, Generali e Mediobanca, non se ne parlò molto, ma l’istituto di vigilanza della BCE inviò “un pizzino” al governo italiano per valutare con un congruo anticipo la conseguenza di questa “presunta” fusione. Seppure distinti e separati, Unicredit e Mediobanca hanno sempre “tramato”, da banchi differenti, sulla finanza italiana. Nonostante i decenni trascorsi, non si possono escludere eredi di una certa dirigenza pronti a ordire nuove trame “pro domo loro”. La mossa di MPS su Mediobanca si configura nella paventata rivoluzione che vede contrapposte la finanza privata e la Finanza tradizionale, ormai matura a ricavarsi un ampio spazio di riferimento.
COSA PUO’ FARE BANCA D’ITALIA
Unicredit è un colosso europeo che capitalizza 60 miliardi, molto distante dai 700 miliardi che capitalizza JP MORGAN. Se vuole competere su scala globale deve crescere, ma è una crescita fine a sé stessa perché nel frattempo non è che i colossi statunitensi sono fermi ad aspettare Unicredit o Intesa! Quindi l’obiettivo non può che essere il dominio sul mercato finanziario europeo, e seppure si volesse appellare al libero mercato, chi garantirebbe la libera concorrenza? Già le banche fanno “cartello” a scapito dei clienti, figurarsi cosa potrebbe succedere con “accorpamenti”. E allora ben venga il terzo polo a tutti i costi, di riffa o di raffa con la compiacenza del MEF per tutelare risparmio e capitali ed evitare che migri oltreconfine.
Non un semplice movimento all’interno del sistema bancario
L’Europa si trova in una situazione di crisi, stretta tra le sanzioni alla Russia e il rallentamento economico in Germania. Si aggiungono le tensioni commerciali con gli Stati Uniti. La debolezza dell’Euro e il deflusso di capitali verso gli USA sono sintomi di un continente che fatica a trovare il suo posto nel nuovo “ordine mondiale”. In questo contesto, le mosse di Unicredit, di Banco BPM non sono solo un semplice movimento all’interno del sistema bancario, ma una vera e propria lotta per il controllo economico dell’Europa, influenzando la politica economica e la possibilità di accesso al credito delle imprese italiane. La mossa di MPS è la finanza privata e il MEF che ostacola Unicredit, quest’ultimo mirerebbe al primato nazionale e europeo. Un colosso inutile, una concentrazione in poche mani, con potenziali rischi per la concorrenza, l’innovazione, l’occupazione e lo sviluppo a costi adeguati alle aziende.
In sintesi, se l’intenzione è quella di rafforzare il sistema allora bisogna bloccare Unicredit e perseguire la nascita del terzo polo bancario, se invece, è la solita operazione per mettere il pallone sotto il braccio e fare giocare solo pochi (tipico di certi banchieri) allora il Governo già sa cosa deve fare e lo faccia presto. Le banche sono l’espressione plastica per evidenziare come il denaro e il potere plasmano il nostro mondo, il capitalismo italiano che si mostra per quello che è davvero: pieno di contraddizioni, poche risorse e grandissime ambizioni.