Immaginate di entrare in un ospedale e scoprire che i macchinari utilizzati per fare diagnosi e terapie hanno dieci o quindici anni. È proprio questa la realtà di molti ospedali italiani nuovi lea
di Massimo Pulin
Oltre il 40% delle apparecchiature biomediche in uso ha più di dieci anni, e un 15% supera addirittura i quindici. In Italia si registrano numeri inferiori rispetto agli standard europei per alcune delle tecnologie più critiche: abbiamo circa 20 TAC ogni milione di abitanti contro le 34 della Francia e le 38 della Germania.
Questi numeri fanno riflettere su quanto la nostra sanità pubblica stia soffrendo il peso dell’obsolescenza tecnologica, un problema che si traduce in liste d’attesa interminabili, tariffe bloccate da anni e, soprattutto, in difficoltà nell’offrire cure di qualità.
Tecnologie che non stanno più al passo con i bisogni dei pazienti
Quando parliamo di parco macchine obsoleto, non ci riferiamo solo a strumenti che funzionano male, ma a tecnologie che non riescono più a stare al passo con i bisogni dei pazienti. Prendiamo ad esempio mammografi, risonanze magnetiche e TAC: strumenti fondamentali per una diagnosi tempestiva, che però, se datati, richiedono più tempo per funzionare. Si guastano più spesso e non garantiscono la stessa precisione dei modelli più recenti.
Secondo le statistiche, il 60% dei mammografi installati in Italia non è digitale, una differenza che incide fortemente sulla velocità e sulla qualità delle diagnosi di tumore al seno. E questo è solo un esempio. La situazione non migliora con le risonanze magnetiche: in Italia ce ne sono circa 19 ogni milione di abitanti, mentre la media europea è di 25.
A rischio la qualità della diagnosi
Questo ritardo ha un impatto diretto sulle cure: meno esami si possono fare ogni giorno e, in alcuni casi, la qualità della diagnosi rischia di non essere ottimale. Tutti noi conosciamo qualcuno che ha dovuto aspettare mesi per una risonanza magnetica o una TAC. Non è un caso. Macchinari vecchi significano anche meno pazienti serviti e, di conseguenza, liste d’attesa sempre più lunghe.
Secondo il rapporto Censis 2023, in alcune regioni italiane l’attesa per una risonanza può superare i sei mesi, con punte di 200 giorni in Campania e Calabria. Questo effetto domino va ben oltre il semplice disagio: ci sono patologie, come quelle oncologiche, dove una diagnosi tardiva può fare la differenza tra la vita e la morte.
Un sistema bloccato tra innovazione e vincoli economici
E se le attese diventano insostenibili, molti si vedono costretti a rivolgersi al privato. È su questa partita che Confimi Sanità si è spesa a più riprese anche in occasione dell’audizione sul cosiddetto Decreto Liste d’attesa: accrescere la collaborazione tra pubblico e privato, così come l’accreditare un numero sempre maggior di strutture sanitarie in regime di convenzione permette al cittadino paziente di esser curato con tempi certi e tariffe agevolate rispetto a un privato tout court.
Un altro tassello che complica il quadro è il sistema delle tariffe per le prestazioni sanitarie, che in molte regioni non viene aggiornato da anni. Questo crea un circolo vizioso: le strutture pubbliche non hanno margini per investire in nuovi macchinari e i privati accreditati, che pure svolgono un ruolo fondamentale, rischiano di non recuperare i costi degli investimenti tecnologici.
Il risultato? Un sistema bloccato, dove spesso si fa fatica a conciliare l’innovazione con i vincoli economici.
L’introduzione dei nuovi LEA
C’è però un segnale che potrebbe segnare una svolta. Con l’introduzione dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che includono prestazioni più moderne e un ampliamento dei servizi offerti, si spera in un cambio di passo. I nuovi LEA potrebbero infatti spingere il sistema sanitario a rinnovarsi, non solo per rispettare i nuovi standard, ma anche per rispondere meglio alle esigenze di una popolazione che chiede cure più rapide ed efficaci.
Tuttavia, perché i LEA non rimangano un semplice elenco di buone intenzioni, servono politiche concrete: investimenti mirati, formazione del personale per utilizzare al meglio i nuovi macchinari e una revisione delle tariffe che premi chi innova. Non solo, l’attenzione della nostra associazione si posa anche sul “made for you” sul customizzato per uscire dai termini di settore. È importante che strumenti come ausili e protesi siano realizzati su misura del paziente cui sono destinati. Ci sono patologie in cui strumenti generici risulterebbero inefficaci.
Investire in tecnologie moderne per il futuro
Investire oggi in tecnologie moderne e su misura non è un “costo”, ma un investimento per il futuro. Macchinari più efficienti significano meno guasti, più pazienti curati e, nel lungo termine, risparmi per il sistema sanitario. Secondo le stime, rinnovare il parco tecnologico ospedaliero italiano potrebbe ridurre i tempi di diagnosi di almeno il 20%, aumentando del 30% la capacità di servire i pazienti.
Senza contare il beneficio più importante: garantire ai cittadini il diritto a cure di qualità, senza dover scegliere tra tempi infiniti o costi insostenibili. Confimi Sanità crede che sia arrivato il momento di guardare oltre l’emergenza e costruire un sistema sanitario capace di affrontare le sfide: i fondi del PNRR sono una grande opportunità, ma vanno usati con una visione chiara e strategica.
I nuovi LEA potrebbero essere quel segnale di speranza che tutti aspettavamo, ma solo se accompagnati da azioni concrete. Il diritto alla salute passa anche attraverso un parco macchine moderno e funzionante. Ora tocca a noi fare la scelta giusta: rimanere fermi o dare un vero segnale di cambiamento.