L’evoluzione della chirurgia vascolare, l’importanza della formazione e il valore dell’approccio integrato per garantire eccellenza e risultati ottimali ai pazienti
di Caterina Del Principe
Dott. Micheli, ci descriva il suo percorso professionale
Ho iniziato la mia attività in Chirurgia Generale, occupandomi sempre di Chirurgia Vascolare. La specializzazione l’ho conseguita all’Università di Firenze e da 38 anni opero in questo campo. All’inizio, ho svolto la mia attività sotto la guida del professor Moggi e del professor Cao e poi del professor Sciannameo, per quindici anni. Nel 2004, grazie all’impegno del Dott. Fiore Ferilli, si è venuto a costituire nell’Azienda Ospedaliera di Terni, la struttura di Chirurgia Vascolare. I chirurghi più interessati a questa specialistica, hanno iniziato a sviluppare l’attuale struttura complessa. Il Dott. Ferilli è andato in pensione nell’ottobre 2021 e da allora lo sostituisco alla guida del reparto.
Com’è cambiata la Chirurgia Vascolare in questi quarant’anni?
È stata completamente rivoluzionata dalle tecniche mini-invasive endovascolari. Siamo passati da una chirurgia totalmente open, dove tutti gli interventi venivano eseguiti in chirurgia aperta, ad una chirurgia dove – grazie allo sviluppo delle ricerche dell’industria, le nuove tecniche anestesiologiche, al concetto di lavorare in gruppo – si possono trattare patologie sempre più complesse.
Come lei sa, uno degli argomenti più dibattuti è quello di coniugare la chirurgia tradizionale con quella mini- invasiva. Lei è d’accordo?
Sono profondamente d’accordo, tant’è che nel nostro reparto gli interventi di chirurgia mini-invasiva ammontano a circa il 60%. Mentre dai dati riportati in letteratura vi sono strutture che usano questo tipo di tecniche nell’80-90% dei casi. Tengo particolarmente al fatto di conservare le conoscenze e le skills acquisite negli anni nella chirurgia open, perché si possono presentare casi che richiedono esclusivamente questo tipo di trattamento o casi di pazienti che possono presentare complicanze in relazione a trattamenti endovascolari. C’è bisogno, quindi, di avere una completa conoscenza di tutta l’attività chirurgica vascolare. Questo è fondamentale. Non possiamo essere iper-specialisti.
Quindi, un chirurgo endovascolare dovrebbe conoscere entrambe le tecniche?
Assolutamente sì.
Nel suo reparto fate formazione?
Sì, perché abbiamo l’opportunità e la fortuna di essere nell’area formativa del Policlinico Gemelli e quindi abbiamo uno specializzando che ci viene regolarmente inviato e resta con noi sei mesi. Cerchiamo di metterlo in grado di praticare sia la chirurgia open, sia quella mini- invasiva ed anche il concetto di lavoro multidisciplinare, che approfondiamo in maniera estremamente importante. Tant’è che siamo riusciti nella nostra Azienda ad istituire un Aortic Theme, che racchiude tutte le figure professionali che si occupano di queste patologie e nel quale vengono discussi e trattati collegialmente i casi più complessi. Il nostro reparto comprende anche i pazienti cardiochirurgici e della chirurgia toracica.
Può descrivere la dotazione tecnologica del Reparto?
Per quanto riguarda la diagnostica non invasiva, siamo dotati di un eco-color-doppler della Samsung con la sonda a 3D per lo studio degli assi arteriosi carotidei ed anche la possibilità di confrontare le immagini eco-color-doppler con immagini TAC. Inoltre abbiamo messo a punto da anni – con quattro corsi di formazione – il follow up del paziente che è stato sottoposto all’impianto di endo-protesi biforcata nell’aorta addominale. Lo facciamo con eco-color-doppler con mezzo di contrasto, cosiddetto CEUS, che consente di risparmiare l’esposizione del paziente alle radiazioni ionizzanti a mezzo di contrasto della TAC, riducendo la possibilità di un danno renale e consente anche un risparmio per il sistema sanitario.
Siete dotati di sala ibrida?
Abbiamo una splendida sala ibrida, sempre realizzata grazie al grandissimo impegno del Dott. Fiore Ferilli, che ci consente di trattare tutti i tipi di patologie. Dall’arco aortico all’aorta toracica discendente alle patologie ostruttive e dilatative degli assi arteriosi degli arti inferiori e superiori, al trattamento della patologia carotidea.
Voi siete certamente un Centro di Eccellenza
Di sicuro sono di eccellenza gli interventi con impianto di endoprotesi sia a livello dell’arco aortico o le vascolarizzazioni ibride o l’utilizzo di endoprotesi ramificate o il trattamento di aneurismi torico-addominali, con l’utilizzo di endoprotesi ramificate.
In generale, gli interventi di maggiore soddisfazione sono quelli dove lavoriamo su pazienti o con problemi relativi all’arco dell’aorta insieme ai colleghi cardiochirurghi. Questa stretta collaborazione è decisiva. I pazienti vengono valutati nell’Aortic Theme, al quale partecipano i cardio-anestesisti, i radiologi interventisti e i cardiologi. È un approccio multidisciplinare, dove molteplici figure specialistiche sono al servizio del paziente, in modo che questi percepisca la qualità elevata dell’assistenza ed abbia il migliore risultato possibile.
Che impatto ha avuto il periodo della pandemia sulle patologie?
È stato un impatto molto importante. Quando avevamo i reparti completamente dedicati al Covid19, l’attività chirurgica si è ridotta notevolmente. Quello che ho potuto rilevare è che, facendo seguito a questo periodo, c’è stato un notevole incremento del numero delle amputazioni degli arti inferiori, perché i pazienti non venivano in ospedale in tempo per i controlli per la paura di contrarre il virus.