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LE FANTASIE DI POLITICA ECONOMICA

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Le fantasie di politica economica sono sempre più la specialità dei populisti. I populisti sono una categoria di persone specializzate a usare la leva dei desideri, delle frustrazioni, dei sentimenti collettivi popolari, per toccare le corde sensibili delle grandi masse

di Luca Lippi

Il populismo nasce in Russia come una vera e propria corrente politica, al suo interno annoverava promotori intellettuali di alto livello e sollecitava l’emancipazione delle masse contadine creando un ostacolo all’autocrazia zarista. Come sono andate le cose lo sappiamo tutti. Il populismo dei giorni nostri non riverbera in alcun modo i valori e gli ideali – più o meno nobili – di quello russo, è solo una pesca a strascico di consensi a basso costo e ancor più basso impegno intellettuale.

La fantasia nella politica economica

La ricerca di consenso a basso costo, però, procura costi enormi per chi dovrebbe, invece, beneficiare di certe norme. Tuttavia, se le norme sono artatamente fantasiose, allora dobbiamo avere contezza di quanto costa la fantasia al potere.

Il Reddito di cittadinanza o il Cashback sono state iniziative veramente di bassissimo spessore tecnico. Tant’è che il governo Draghi, con una corsa forsennata a contenere perdite insensate, riuscì a bloccarne quasi in tempo una su tutte, il Cashback. Costata ai contribuenti 5 miliardi. Quest’ultima, secondo gli estensori della norma, avrebbe dovuto portare a una profonda trasformazione della cultura della spesa degli italiani privilegiando l’utilizzo della moneta elettronica. L’incentivo a questa rivoluzione nelle abitudini dei pagamenti era il rimborso percentuale di alcune spese, un ristoro fino al dieci per cento da parte del Governo.

La norma non era pensata male solo per l’effetto sulla spesa pubblica, ma anche per il fatto che privilegiava gli utenti che già normalmente facevano uso della carta di credito, le cosiddette persone a reddito mediamente elevato. Una norma regressiva a livelli inimmaginabili al pari del Superbonus.

All’ origine il Patto di Stabilità e Crescita

Se è vero, come è vero, che Reddito di cittadinanza, Cashback e Superbonus sono state iniziative di bassissimo spessore tecnico, è altrettanto vero che dietro c’è un impegno tecnico e uno studio complesso e competente per creare dal nulla risorse.

Si deve necessariamente partire dal Patto di Stabilità e Crescita che nella sua riforma del 2011/2012 (nuove norme necessarie e sufficienti a dare esecuzione e sostegno al Patto di Stabilità e Crescita del 1997) doveva riportare all’ordine tutti i Paesi con un elevato rapporto Debito/PIL che dal 1997 non avevano in alcun modo rispettato i diktat della Commissione.

Il rapporto Debito/PIL, secondo le indicazioni di Maastricht, doveva tendere verso il 60 per cento. Per fare in modo che questo si concretizzasse, poiché la componente del debito aggregato è rappresentata dal deficit corrente (il deficit fatto anno per anno e la spesa per interessi), per soddisfare il graduale raggiungimento del rapporto debito/PIL al 60 per cento, doveva passare attraverso un controllo molto stretto. Quindi non TUTTO il deficit!

L’importo di deficit che si legge sui quotidiani, è frutto delle revisioni dell’Istat. Il parametro fondamentale del Deficit è il tre per cento, ma i Paesi che sono con un rapporto superiore all’obiettivo del 60 per cento devono raggiungere dei disavanzi dei deficit diversi dal tre per cento. Nello specifico dell’Italia, noi avremmo dovuto diminuire il deficit strutturale (è il disavanzo per competenza dell’anno di riferimento al netto delle misure una tantum e al netto delle componenti cicliche), di 0,5 per cento l’anno. Per chi ha nozioni di matematica elementare, facendo le proporzioni si deduce che per un Paese fortemente indebitato 0,5 per cento è veramente poca cosa. Secondo questa norma l’Italia, ma anche altri Paesi, hanno bellamente ignorato il parametro del 3 per cento da sempre.

Il deficit strutturale

Tornando sul deficit strutturale, è bene specificare che le misure una tantum sono tutte quelle misure di sostegno al lavoro, interventi per ricostruzioni post terremoto, emergenza da alluvioni. Per quanto riguarda la componente ciclica, si intende il deficit strutturale al netto degli effetti del ciclo economico. Non sono concetti facilissimi per chi non ha dimestichezza, ma in estrema sintesi, il ciclo economico può essere espansivo (economia globale va bene e tutti ne beneficiano), oppure regressivo (un esempio su tutti, il periodo della pandemia). Se il ciclo economico rallenta, il parametro relativo al deficit diventa più leggero perché in caso di ciclo economico regressivo ci sono maggiori margini di flessibilità.

Per calcolare il ciclo economico, si applica generalmente la formula del PIL legato alla produzione usando la formula elaborata da due economisti, C.W. Cobb e P.H. Douglas (1928). Si calcola il lato produzione del PIL ipotizzando che i fattori della produzione siano tracciati al miglior livello possibile (nel lato della produzione c’è anche il lavoro) e immaginiamo che spinga al massimo delle sue potenzialità fornendo il PIL potenziale. La differenza tra il PIL potenziale espresso dall’economia e il Pil reale fornisce la misura del ciclo economico. Tanto più si è lontani dal Pil potenziale, tanto migliore sarà il ciclo economico.

Dove sta il genio? La questione Reddito di cittadinanza

Era il periodo in cui si era introdotto il reddito di cittadinanza; poiché uno dei fattori del ciclo economico – quindi del pil potenziale – è il fattore lavoro, si pianificò di dare un reddito di cittadinanza a una grande quantità di cittadini (tutti i non occupati). In modo tale da allontanarsi dal Pil potenziale (quello che si otterrebbe se tutti i fattori della produzione funzionassero nel miglior modo possibile) aprendo degli spazi per fare deficit. Più grande è la differenza tra Pil reale e Pil potenziale minore sono i vincoli per fare deficit. Il trucco pianificato a tavolino è stato dare a tante persone il Reddito di Cittadinanza per svuotare la casella dei non occupati, trasformando tale platea in “occupati” facendo crescere il Pil potenziale pur lasciando invariato il Pil reale. È evidente che si tratta di un artificio per aggirare le regole stringenti del Patto di Stabilità e crescita. Fortunatamente tutto questo non è più stato replicabile, grazie anche all’intervento del più pragmatico e meno fantasioso Mario Draghi

Gli effetti sul bilancio pubblico

Tutte le misure fatte in deficit devono essere finanziate, il Bilancio dello stato non sarà mai in disavanzo – non basta imparare a leggere un bilancio -. Osservando un bilancio civilistico non esiste mai nessuna voce senza la sua contropartita a pareggio, tutte le uscite devono avere una copertura. Andando poi nel dettaglio sul lato delle Entrate si trovano le classiche Poste – quelle fiscali -, alcune operazioni fatte col MEF da cui lo Stato ricava utili, poi c’è “l’indebitamento” (fabbisogno netto da finanziare) che è la voce di Bilancio che rappresenta quanto debito pubblico l’amministrazione pubblica deve emettere per potere andare a pareggio. Con le misure di finanza creativa di cui sopra, si voleva tentare di aumentare la parte dell’indebitamento perché tanto, qualcuno un giorno pagherà!

Certi esercizi – oggi ha messo un freno Mario Draghi, ma Draghi non è eterno – spaventano perché non tengono conto delle conseguenze. Fingere di avere più occupati per fare più deficit di quanto sia necessario inchioda il futuro delle generazioni a seguire a una sopravvivenza molto difficile. Oggi le manovre di Bilancio sono molto più morigerate anche per cercare di sistemare gli “artifici” che ne hanno inquinato gli equilibri.

Funziona come il ménage di una famiglia, fare debito per mettersi un tetto sulla testa, sacrificando buona parte della propria esistenza a garantire il pagamento delle rate di mutuo, o indebitarsi per lo studio dei figli, non è la stessa cosa che fare debito per andare in vacanza o festeggiare una ricorrenza senza preoccuparsi di mettere il pranzo con la cena per il resto dell’esistenza.