L’elezione di Trump preannuncia una nuova età dell’oro, la FED taglia i tassi di 25 punti base e S&P500 sfiora 6000 punti
di Luca Lippi
Questa è la fotografia del momento, l’euforia e, in parte, la suggestione non deve appartenere a un investitore attento. Un’analisi accorta e circostanziata deve precedere ogni decisione prima di mettere in opera qualsiasi scelta. Di sicuro, per chi opera su frame molto stretti, le scelte sono state fatte prima ancora dell’elezione e probabilmente è già ora di coglierne i benefici, ma la maggior parte dei risparmiatori/investitori lavora su orizzonti temporali molto più dilatati.
L’S&P500
Ha avuto una crescita del 5 per cento in una sola settimana. Il livello di ottimismo sui Mercati rappresentato dall’indicatore della paura o dell’avidità è abbondantemente alto (GREED 57 – 11/11/24), il VIX ha avuto una netta contrazione. Tutto questo rileva un vento favorevole per i mercati “in questo momento”. Un mercato che cresce con questa velocità è destinato a correggere prima o poi, in ogni caso è importante rilevarne la dinamica perché – non avendo la “palla di vetro” – tutto e il suo contrario è buono.
Il Trump rally
Le classi di investimento su cui gli investitori sperano di trarre un vantaggio dall’elezione del ciuffo più impertinente d’America. Il settore dei FINANCIALS (le banche); l’S&P500 che sovrasta tutto l’azionario mondiale (significa che gli altri mercati si sono riposizionati sugli USA), tutto ciò che non è “green economy”, quindi il buon vecchio carbone a discapito delle energie alternative. Aspetto interessante è un ritorno del Value (società che rappresentano settori “tradizionali”, solide ma con limitate prospettive di crescita).
In sintesi, chi ha scommesso su Trump, cioè le grandi banche e le Small Cap (società a bassa capitalizzazione), stanno raccogliendo il premio. Tra i perdenti troviamo il commercio e la manifattura perché c’è la questione “dazi”.
Impatto reale di Trump sui mercati finanziari
I presidenti USA non hanno mai avuto impatto sui mercati finanziari nella storia. Nel lungo periodo non incidono in nessun modo, nel breve sì ma si riduce a puro entusiasmo.
In rosso si può osservare la crescita dell’S&P500 quando ci sono stati i Repubblicani, in blu i Democratici. Sostanzialmente il mercato ha seguito la sua strada.
In questo grafico annualizzato si vede meglio che c’è un’alternanza, è difficile trovare una regola. Ogni entusiasmo per Trump è pura speculazione di breve periodo. Quello che si deve sempre analizzare è l’Economia, mai il partito al potere.
Allo stato dell’arte, Trump si riaffaccia come presidente ricevendo un’economia statunitense con un tasso di disoccupazione intorno al 4 per cento, in leggera risalita dai minimi del tre e mezzo per cento, ma è piena occupazione. Il tasso di inflazione è al 2,4 per cento, il rendimento del decennale è al 4,4 per cento – in leggera crescita ma non è ancora esploso -. Il tasso di crescita del prodotto interno lordo per il 2024 dovrebbe attestarsi 2,8 per cento, in sintesi sta ricevendo un’economia quasi perfetta (almeno negli ultimi 5/6 anni).
Cosa può andare storto? Banalmente può andare storto che, data la partenza estremamente favorevole, è più complicato migliorarla che peggiorarla. Ovviamente ci si augura il miglioramento anche perché l’economia europea è trainata da quella americana, però è ad alto rischio il peggioramento di uno degli indicatori di cui sopra.
Le implicazioni per il resto del mondo
Ne abbiamo già scritto ma è utile sottolinearlo di nuovo. Il suo approccio verbale nei confronti degli altri paesi non è dei più cordiali. Al netto di iperboli lessicali, riferirsi all’Europa con “è così carina ma non paga” accende la spia sui dazi che porterebbe importanti ripercussioni sull’economia mondiale. Tant’è che anche il Giappone trema, e con l’Europa il Giappone e la Cina, tremano anche gli analisti statunitensi. Questi ultimi paventano una nuova guerra – commerciale ovviamente – perché i rischi associati ai dazi sono principalmente alti prezzi per i consumatori e conseguente inflazione.
Aspettative per il futuro
In un orizzonte di mesi – quindi nessun riferimento al breve termine – sappiamo che in passato la crescita dei mercati azionari è sempre stata rallentata negli anni in cui c’è stata l’elezione del nuovo presidente e maggiore negli altri anni.
Questo è quello che è accaduto indipendentemente da quale presidente fosse eletto. In sostanza, in attesa di elezioni c’è incertezza e indecisione a livello politico – l’incertezza disturba sempre i mercati -. Il ritorno degli investitori è sempre matematico dopo le elezioni e con il quadro ben chiaro sui tavoli della politica.
Il mercato – S&P500 – dall’inizio dell’anno ha visto una crescita di oltre il 20 per cento, il 5 per cento di questa crescita è attribuibile a un solo titolo – Nvidia – che insieme agli altri titoli capofila – Meta, Amazon, Google e Apple – hanno contribuito per la metà della crescita totale dell’indice.
Tuttavia quello che bisogna osservare è sempre la crescita degli utili. Dopo l’estate, complice anche l’incertezza delle elezioni ma non solo, il settore tecnologico ha corretto la sua spinta al rialzo, ma non ha smesso di produrre utili. La previsione degli utili è al rialzo per tutte le aziende del settore tecnologico (+6,7 per cento) che in un contesto di mercato che da luglio ha perso in termini di prezzi il 5 per cento, configura una situazione di maggiore convenienza ad acquistare titoli del settore tecnologico (prezzi bassi + stime utili in crescita = prezzi di acquisto economici). I titoli, tutti, nel lungo periodo seguono l’andamento degli utili.
Come investire nell’era Trump
Inutile fare giri di parole, la strategia è sempre la stessa, DIVERSIFICARE. Mettere in portafoglio una serie di classi di investimento che in un determinato momento non andranno mai bene tutte. Diversificare significa aumentare il rendimento complessivo del portafoglio per il rischio che un investitore si vuole prendere. Con il Trump trade non ha senso buttare via tutto l’impianto finanziario del proprio portafoglio che, se composto correttamente – corrisponde alla propensione al rischio dell’investitore. L’elezione di Trump o la politica economica degli Stati Uniti dei prossimi quattro anni non influisce minimamente sulla propensione al rischio di ogni singolo investitore. Lasciare inalterata la componente core del proprio portafogli e lavorare su componenti satellite che possono cogliere opportunità dai probabili mutamenti (leggi fenomeno dei dazi, utili per azioni, evoluzione inflattiva…). Detto questo: cosa comprare? Tutto! Non c’è alcun motivo per favorire un acquisto rispetto ad un altro, continuare a elaborare strategie di protezione adeguate alla propensione al rischio, per chi sa farlo da solo, ben venga, per tutti gli altri ci sono le società di consulenza finanziaria.