Un po’ ovunque si esulta per la vittoria di Trump. Invero, i festeggiamenti non sono forieri di analisi sostenute tecnicamente. Soprattutto è il risultato di una consultazione popolare di una comunità enorme di individui che non leggono i programmi politici. Questo accade anche in Europa ovviamente, e da europei col mito americano, presto anche noi ci preoccuperemo dell’aumento del costo del vino o dell’olio più di quanto aumenti il nostro reddito. E misureremo il successo di un’amministrazione solo sulla base di quanto si riesca a riempire il carrello della spesa
di Luca Lippi
La vittoria di Trump, dunque, oltre oceano è vista più come una nuova opportunità, la solita alternativa più valida di quella fallimentare già nota, salvo poi accorgersi che non è un problema di promesse più o meno mantenute, ma è politica – svalutata dai protagonisti attuali quanto si vuole da trent’anni a questa parte – ma sempre politica. Tanto è vero che nessuno si è accorto di quanto lo sguardo di Trump nei confronti dell’Europa non è affatto benevolo.
L’effetto dei dazi
Di seguito, il grafico sugli scambi commerciali tra Italia e Stati Uniti negli ultimi tre anni (2021/2023):
Sul lato sx è l’export italiano verso gli Usa, sul lato dx l’import italiano dagli Usa. Come Italia, ma soprattutto come UE, importiamo principalmente servizi dagli Stati Uniti, di contro esportiamo beni e pochissimi servizi, la bilancia commerciale è nettamente a nostro favore. Oltre avere una bilancia commerciale estremamente favorevole, è anche aumentata significativamente negli ultimi anni. L’aumento dell’export verso gli Stati Uniti è giustificato dall’introduzione di pesanti dazi da parte del “primo Trump” verso la Cina. Il timore commerciale verso la Cina, non è manifestato solo dai Repubblicani, ma anche dai Democratici, uno shock trasversale, tanto è vero che i dazi introdotti da Trump nel suo primo mandato sono stati mantenuti anche dall’amministrazione Biden.
L’Italia ha sempre avuto una bilancia commerciale favorevole verso gli Stati Uniti, ma che cosa succede quando ci sono i dazi? La premessa è un’ovvietà: se il mercato chiede un determinato prodotto, lo cercherà laddove il mercato potrà soddisfare la domanda a prezzi più competitivi. Con i dazi alla Cina, c’è stato uno spostamento di ricerca di un certo tipo di prodotti cinesi verso mercati in grado di offrire le stesso bene a prezzi più concorrenziali.
C’è da sottolineare che la Cina si è difesa delocalizzando gran parte della produzione in Vietnam, dunque una buona parte di prodotti cinesi sono riusciti comunque a penetrare il mercato. In ogni caso, l’import dalla Cina ha subito il contraccolpo e parte della domanda si è spostato in Unione Europea. L’aumento progressivo di export dall’Italia agli Stati Uniti comincia nel 2021, i beni richiesti all’Italia sono principalmente prodotti farmaceutici, macchinari e apparecchiature elettriche che valgono 15 miliardi (dato 2023 F.te ICE), mezzi di trasporto e autoveicoli. Poiché i dazi hanno colpito soprattutto gli autoveicoli importati dal mercato cinese, c’è stato un incremento di autoveicoli importati dall’UE e particolarmente dall’Italia. Per gli autoveicoli passiamo dai 4 miliardi del 2021 a 6 miliardi del 2023. Quello che succederà con il “ban” al motore endotermico da parte della UE, stante i numeri di cui sopra, sarebbe il più grande goal nella porta sbagliata del secolo, ma questo è un altro argomento.
I numeri di cui sopra, si traducono nel grafico che segue
Cosa potrà fare Trump
Il neopresidente degli Stati Uniti ci ha già abituato a tutta una serie di “minacce” che quasi mai si sono concretizzate. La retorica violenta della sua comunicazione non si è mai tradotta infatti. L’unica minaccia che è stata rispettata durante il suo primo mandato riguarda proprio i dazi. Le minacce sui dazi riguardo il suo secondo mandato sono ancora più inquietanti per il nostro export. Se è vero, come è vero, che la politica di dazi verso la Cina si è compiuta e consolidata anche con l’avvento dei democratici, è altrettanto vero e plausibile che non c’è troppo spazio per inasprire l’azione verso la Cina.
Inoltre bisogna considerare che la Cina detiene parte del debito pubblico americano – non cifre esagerate, siamo nell’ordine di 770 miliardi di Dollari, appena il 5 per cento – e oltre non potere ricavare ulteriori spazi di manovra a danno dell’economia Cinese, non c’è l’opportunità di tirare oltre la corda senza procurare danni collaterali. Certamente la Cina non ha cartucce per ricattare la banca Centrale Americana, ma qualche disequilibrio all’ordine dei conti pubblici statunitensi può crearlo.
La Cina e il debito pubblico americano
Il deficit degli USA in valori assoluti viaggia intorno ai tremila miliardi di Dollari che rappresentano il 7 per cento del GDP (PIL) americano. Dunque gli Stati Uniti hanno bisogno di acquirenti di debito pubblico, e tra le economie mondiali in grado di candidarsi all’acquisto di Treasury, quella cinese gioca un ruolo importante. Detto questo, è certo che Trump non esacerberà una situazione che deve restare rispettando un certo equilibrio.
Invece lo spazio politico/fiscale per introdurre dazi c’è su alcune importazioni provenienti dai mercati non cinesi. Chi ha seguito avrà notato che Trump durante un suo discorso elettorale in Pennsylvania, è stato durissimo nei confronti dell’UE. La sua acrimonia non è solo per motivi economici, Trump pretende una partecipazione maggiore all’alleanza Atlantica da parte della UE, le defezioni di carattere economico – partecipazione alle spese del Patto – foraggiano la rabbia di Trump. Che promuoverebbe volentieri la “rottura” con l’UE, indebolendola perché non la vede come un alleato, neanche come un nemico, ma un avversario sì! È un dato di fatto che una UE forte indebolirebbe gli USA, se poi la forza della UE si manifesta anche in campo commerciale, è complicato per Trump – che non usa giri di parole – considerare l’Europa come un avversario da indebolire più di quanto non lo sia già per le contraddizioni interne. Salvini, Orban, la Slovacchia e se non fosse per i timori nei confronti della Russia, l’altro nemico interno della UE sarebbe sicuramente la Polonia.
Gli altri competitors
Un rallentamento del free trade per Trump è una condizione necessaria e sufficiente alla promozione protezionistica del suo mandato. Che la globalizzazione abbia prodotto danni è certificato dal WTO, è plausibile aspettarsi una frenata “condivisa” al free trade nei prossimi anni. Trump, più che guardare la Cina guarderà agli altri competitors, quindi l’Unione Europea. Non saranno dazi del cento per cento ovviamente. Dato il moderato disordine che regna all’interno della UE ci saranno accordi bilaterali con i singoli Paesi dell’Unione da parte di Trump che non è nuovo a ragionevoli compromessi, comunque ci saranno dazi. Unito alla riduzione dei tassi – mossa certa e non lontana nel tempo – che darà ulteriore spinta all’economia americana che già ora non soffre, finalizzato all’aumento del GDP.
Contestualmente ci sarà un aumento del debito pubblico – anche solo sotto forma di non diminuzione del deficit federale -. L’aumento del GDP unito meccanicamente alla introduzione di nuovi dazi produrrà una forte spinta inflazionistica e nel medio lungo periodo Trump dovrà affrontare il problema dell’aumento del costo del denaro. Di questa eventualità Trump non ha fatto cenno nei suoi peana propagandistici e non possiamo neanche ricorrere all’aiuto di Jerome Powell, che sarà dimissionario tra due anni mentre Trump avrà ancora davanti due anni di mandato.
Perchè tutto questo
Parliamo di una persona non cieca alle dinamiche di natura economica, oltretutto una persona non avulsa al compromesso. Tuttavia è un personaggio che osserva i malumori e fonda la sua popolarità sulle macerie prodotte da altri. Non è così “anziano” da sospettare che abbia poco a cuore il futuro dei popoli (ha dieci anni meno del Presidente Mattarella), e non lo è neanche per badare più ad aggiustare la sua posizione nei confronti della Legge. Questo lo annovera tra quei politici che potrebbero forzare la leva democratica, ma se tutto questo non lo notano i repubblicani e se i Democratici non hanno fatto altro che spianare la sua strada, viene da pensare che l’America abbia deciso di cambiare rotta, e di farlo non con uno sconosciuto, quindi la scelta è tutt’altro che irrazionale.
Sono le persone di più bassa estrazione sociale a votare Trump, il motivo è sempre il medesimo, un misto di xenofobia e razzismo più paura dell’altro, qualsiasi cosa questo rappresenti. Però i voti sono troppi, infatti anche la gente con un cervello in testa lo vota, per le tasse! Seppure disdicevole e moralmente non condivisibile, tutti gli individui, in tutto il mondo, sono opportunisti. Quando la sinistra uscirà dal loop – che esiste da sempre, da Marx a seguire – di potere educare le persone ad essere “brave persone”, educarle al bene, un bene deciso a tavolino da pochi e quindi non necessariamente condivisibile per tutti, allora, forse si compirà il miracolo di una concreta e costruttiva opposizione. Continuando a statalizzare lo statalizzabile, tassare il tassabile, e colonizzare surrettiziamente le istituzioni, emergeranno sempre e solo tanti Trump in ogni angolo del mondo.
Dall’Europa solo inutili lezioni
Un mantra della sinistra europea sono le disuguaglianze. In USA ci sono 39 milioni di poveri, l’11 per cento della popolazione. In UK ci sono 9 milioni di poveri – il 14 per cento della popolazione -. In Italia ci sono 5.6 milioni di poveri, il 9.5 per cento della popolazione. In compenso il PIL per abitante è: 47005 USD UK, 33774 USD Italia, 65020 USD USA (Fonte ). I salari, in Italia, sono addirittura scesi, l’economia in tutto il blocco europeo è al palo da 25 anni e i servizi pubblici cominciano a rasentare il fatiscente. Dopo 25 anni di implementazioni di burocrazia e di welfare stiamo tutti peggio e, dati alla mano, non abbiamo meno poveri degli USA – in proporzione ne abbiamo di più -. La Ue ormai è solo un inutile intralcio, neanche più un mercato. Detto questo, la UE non può che essere il prossimo bersaglio degli USA.