Riprendiamo il nostro ragionamento da dove lo avevamo lasciato. Il “passaggio” previsto nella norma dell’autonomia differenziata, è un sistema subdolo per trasferire e moltiplicare risorse alle regioni più ricche a danno delle già scarsamente sostenute regioni più povere
di Luca Lippi
Con la legge sull’autonomia differenziata si sancisce che c’è una parte del Paese, quella più povera, inevitabilmente destinata a essere area con minori diritti costituzionali. In estrema sintesi, i diritti non sono più dipendenti dalla cittadinanza, ma saranno legati alla ricchezza del territorio. Abitare in un territorio ricco significherà godere di “privilegi” trasformati in diritti. Abitare in una regione povera significherà perdere i propri diritti perché non più “garantibili”.
Nulla è per sempre
Perché chi scrive non polemizza usando la distinzione NORD/SUD? Un esempio per chiarire: le Marche sono state per lungo tempo la regione con un modello di industrializzazione riconosciuto a livello mondiale. Oggi le Marche sono politicamente considerate la prima regione del Mezzogiorno. Ma il Piemonte – nonostante l’enorme “vantaggio” procuratosi con l’Unificazione – sta avvicinandosi a grandi passi ai numeri delle Marche (qualcuno potrebbe invocare il Karma). Questo è solo un esempio per chiarire che quello che oggi è scontatamente povero non è detto che rimanga tale o che la parte ricca non scivoli verso la povertà.
Il titolo quinto
Il Titolo V è quella parte della Costituzione italiana in cui vengono “disegnate” le autonomie locali: comuni, province e regioni. L’attuale struttura delle regioni deriva da una serie di riforme del Titolo V cominciate negli anni Settanta e terminata con la riforma del 2001 (approvata con una maggioranza di centrosinistra e poi confermata da un referendum).
Nel 2001, l’allora governo a guida PDS, con il sollecito pressing della Lega che il bon D’Alema considerava “una costola della sinistra” – quanto è importante la memoria oltre la cultura! – da quel punto (e da quella parte) si avvia l’idea di rimodulare i diritti. I LEP (livelli essenziali delle prestazioni) prendono forma sulla base di una garanza costituzionale di diritti nella loro “forma” minima. Chi ha di più godrà di maggiori privilegi, chi ha di meno dovrà accontentarsi della sopravvivenza.
Definire che dovranno esserci dei LEP significa che deve esserci una base minima garantita ma non equa per tutti. I Padri Costituenti non hanno mai neanche ipotizzato che potessero esserci delle differenze! La sinistra di allora, nel 2001, ha letteralmente aperto le porte al diavolo – con buona pace di tutti, nessuno escluso -.
Esattamente quello che sta accadendo oggi con l’autonomia differenziata, fortemente sostenuta sin dall’origine dalla sinistra e dal Presidente dell’Emila Romagna (con buona pace di Letta) – stranamente al fianco di Zaia e Fontana -, e votata da senatori e parlamentari della destra eletti nelle liste del meridione. Anche durante il Conte uno, la Lega impose l’autonomia differenziata e i 5Stelle accettarono.
Nel Conte due, furono i 5Stelle a pretendere l’autonomia differenziata nel patto di governo col PD. Una specie di colpo di stato in cova dal 2001 che non si riesce a comprendere, tuttavia si comprende che, al netto della raccolta firme per un grottesco referendum, TUTTI i partiti sono responsabili di questa legge oggettivamente incomprensibile. Sono e devono essere sempre le azioni che qualificano le idee delle persone, e chi sta permettendo lo scempio dell’autonomia differenziata si qualifica da solo.
Cosa può succedere adesso
L’esplosione delle disuguaglianze che sta configurandosi è molto pericolosa. Prendendo a riferimento la scala di Gini – indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza – quando si supera il valore di quaranta su cento (attualmente l’Italia è a 33,6) la tenuta politica e sociale diventa assai complicata. Se nell’arco di dieci anni la forbice di disuguaglianza tra zone ricche e zone povere si dilata senza controllo (probabilità elevata) non sarebbe sorprendente una sollevazione di scudi da parte delle regioni depresse dal provvedimento. Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, diceva che la disuguaglianza è una scelta puramente politica. Non ha senso parlare di aiutare le fasce più deboli della popolazione e poi fare leggi che le disuguaglianze le creano.