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DALLO STATO ALLE REGIONI: LE CONSEGUENZE

Il trasferimento di competenze dall’amministrazione centrale dello stato alle regioni può essere considerata una scelleratezza?

di Luca Lippi

Una famiglia perbene e benestante, di quelle all’antica, padre madre e 20 fratelli (numero elevato ma utile all’esempio). Tutti sono sotto la potestà del padre e della madre che stabiliscono cosa e quando farlo, come vestire, le vacanze, i soldini per il tempo libero. Un bel giorno i tre fratelli più grandi decidono di convocare i genitori e annunciare loro l’esigenza di maggiore autonomia decisionale sulle spese che li riguardano, sulla scelta dei loro studi e sulla scuola.

I genitori acconsentono ma a patto che gli acquisti e la scelta degli studi siano in linea col decoro di tutta la famiglia, lo scopo è di non marcare differenze con gli altri fratelli.

I diciassette fratelli che rimangono sotto l’ombrello dei genitori non subiranno alcun danno, per loro continueranno a decidere i genitori anche se gli altri tre fratelli hanno maggiore autonomia. Col passare del tempo, i fratelli indipendenti cominciano a catturare l’attenzione, con la loro autonomia, soprattutto canalizzando l’attenzione delle amicizie comuni con gli altri fratelli più piccoli. Possiedono l’auto, vanno dove vogliono e hanno anche qualche spiccio per offrire loro il gelato. Col tempo, i 17 fratelli più piccoli rimarranno senza amici e allora le differenze cominciano a diventare molto importanti. In questo esempio, gli amici dei fratelli rimasti sotto l’ombrello dei genitori sono i medici, le professionalità più ambiziose e tutte le attività che necessitano di un mercato più effervescente.    

Una norma di scambio

Andiamo con ordine e cerchiamo di analizzarne i motivi. Prima di tutto è una “norma di scambio”, già questo ne sublima tutta la sciaguratezza. Nel 2018 Gentiloni ne garantì la genesi – stringendo un patto del tutto innaturale con la Lega – allo scopo di garantirsi l’immediato futuro nel parlamento europeo. Oggi, la maggioranza ne ha agevolato l’attuazione allo scopo di ottenere un sostegno sicuro sul premierato. È impensabile che un Presidente del Consiglio di centrodestra “patriottico” possa avallare una norma che spezzerà in due il Paese.

Il trasferimento di competenze dall’amministrazione centrale a quelle periferiche non è in assoluto una “bestialità”, è un modo come un altro per gestire la cosa pubblica, ma in questo caso è da contrastare con assoluta determinazione.

Lo studio di “Osservatorio conti pubblici italiani”

L’analisi più accurata e meno ideologizzata la troviamo dall’Osservatorio CPI che consigliamo di leggere, qui ne riportiamo solo una piccola parte. Gli svantaggi che l’osservatorio sottolinea nel particolare sono: duplicazione di funzioni e costi fra Stato centrale e regioni; duplicazione certa dei costi; contesto di differenziazione.

Se una o più regioni ottengono l’autonomia su una certa materia (per esempio l’istruzione), esse dovranno dotarsi di tutto l’apparato amministrativo necessario per il suo funzionamento. Tuttavia, l’apparato amministrativo centrale non potrà essere smantellato perché dovrà continuare a garantire la funzionalità di quella materia in tutte le altre regioni. Il risultato è perciò una più burocrazia per imprese e cittadini.

Più burocrazia per imprese e cittadini

Norme diverse fra diverse regioni, con il rischio del mancato mutuo riconoscimento di autorizzazioni o diplomi, sono quasi una certezza e non faranno che appesantire gli oneri burocratici per imprese e cittadini. È vero che questo è un rischio che si corre anche con un regionalismo simmetrico, anziché differenziato, tuttavia è più probabile che si manifesti in un regime di duplicazione di funzioni, una confusione normativa. Quando materie diverse sono attribuite alle diverse regioni, ogni norma statale (dalla legge alla semplice circolare di un ministero) deve tenere conto di quali materie sono attribuite a chi, pena il ricorso in Corte costituzionale.

Già oggi, la Corte costituzionale è intasata di ricorsi relativi alle competenze dello Stato e delle regioni: il contenzioso potrebbe aumentare ancora e comunque l’attività normativa dello Stato – ma anche quella delle Regioni – diventerebbe ancora più complessa e indecifrabile di quanto non sia oggi. In ultima analisi, anche questo si traduce in più burocrazia per imprese e cittadini. C’è il rischio dello Stato arlecchino, per cui da oggi le regioni possono già avanzare richieste di decentramento su materie diverse. Non è solo un problema di moltiplicazione delle burocrazie e di duplicazione dei costi; su una serie di materie cittadini e imprese rischiano di confrontarsi con legislazioni diverse, a scapito dell’efficienza.

Regioni ricche e regioni povere

La ragione di fondo per la quale alcune regioni ricche vogliono l’autonomia è il desiderio di mantenere sul proprio territorio una parte maggiore delle risorse che da quel territorio originano. Questo obiettivo comporta o un aumento del deficit dello Stato o un depauperamento delle risorse destinate al Mezzogiorno. L’aumento del deficit pubblico è un esito che l’Italia non può permettersi. Anche una pur piccola sottrazione di risorse al Mezzogiorno appare un obiettivo poco realistico alla luce del fatto che è generalmente riconosciuto che semmai occorre aumentare le risorse destinate alle regioni più povere per contribuire a colmare il divario.

Qualche numero può dare un’idea della posta in gioco. Posto che il Pil del Mezzogiorno è il 22,5 per cento di quello nazionale, si supponga che le regioni del Centro-Nord vogliano trattenere sui propri territori risorse aggiuntive pari soltanto a un 2 per cento del proprio Pil. Se questo aumento si scaricasse sul deficit dell’Italia, questo aumenterebbe dell’1,5 per cento ogni anno (2 per cento ×77,5 per cento), un valore chiaramente non sostenibile. Se invece l’onere fosse addossato alle regioni del Mezzogiorno, le risorse a esse destinate si dovrebbero ridurre di quasi il 7 per cento del Pil del Mezzogiorno – L’1 per cento del Pil del Centro-Nord è uguale al 3,4 per cento (77,5 per cento/22,5 per cento) del Pil del Mezzogiorno -. Si tratta di un numero enorme, a maggior ragione per il fatto che non sarebbe una tantum, ma avrebbe, nelle intenzioni, carattere permanete.