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IL MITO DEL “VENERDI’ NERO”

grattacieli di new york finanza

Dati macro, “scommesse” e Yen forte hanno causato il sell-off di venerdì 2 agosto. Premesso che le opinioni personali non hanno alcun valore – tutte, senza distinzione – con i dati e l’analisi cerchiamo di far capire a chi ha l’umiltà di imparare qualcosa, cosa è successo

di Luca Lippi

Stiamo assistendo alle vendite meccaniche! È sceso tutto! L’apocalisse e la recessione di cui parlano solo coloro che non sanno di non sapere c’entrano poco col ritracciamento in corso. L’unica recessione che c’è è quella OCCUPAZIONALE: il tasso di disoccupazione si è alzato ulteriormente, i sussidi alla disoccupazione – sia quelli iniziali, sia i continuativi – sono aumentati.

La regola di Sahm

Il Sahm Rule è un indicatore in uso presso la FED per valutare in tempo reale il ciclo economico. Si basa sui dati mensili sulla disoccupazione. Ovviamente se la disoccupazione tende ad aumentare a ritmi elevati da recessione occupazionale a recessione economica il passo non è breve, ma neanche troppo lungo.

Quando l’indicatore supera lo 0,5 annuncia una recessione, questo è quello che è successo anche nel passato. Ora siamo allo 0,53 e i mercati tendono ad appoggiarsi sul proprio supporto – il supporto è come il pavimento su cui si fermano le cose che cadono – quando si attiva la Sahm Rule. Questo significa che potrebbe essere il momento di comprare? Troppo facile! Nel 2001 la risposta dei mercati alla Sahm Rule ha impiegato 20 mesi, nel 2008 fu necessario poco meno di un anno. Diciamo che Sahm Rule accende il segnale d’allarme, poi servono conferme da altri indicatori.

Stiamo entrando in recessione?

Secondo la FED di New York e anche quella di Atlanta, prevedono una crescita superiore al due per cento del PIL. Se le notizie economiche non dovessero peggiorare, allo stato dell’arte non c’è neanche un sospetto di recessione. Per quanto riguarda l’inflazione, si stima al 3% su base annua – invariato a rispetto all’ultimo rapporto – e per settembre è previsto al 2,7% su base annua.

Riassumendo: se il tasso di disoccupazione continua a salire e il tasso di inflazione non accenna a ritracciare su percentuali assai più miti delle attuali, la FED dovrà necessariamente intervenire – Tesoro permettendo – con un taglio dei tassi superiore a quello che i mercati hanno già scontato, quindi parliamo di 0,5 %.

Il Giappone

Con buona pace degli analisti da tempo libero e dei “ho un amico ‘gestorino’ che mi aggiorna”, il Giappone è il vero catalizzatore del ritracciamento che stiamo osservando dal due agosto.

Mentre il mondo, dopo l’emergenza sanitaria, ha affrontato un’inflazione crescente, il Giappone è cristallizzato da una situazione di stagnazione che dura dagli anni novanta. Subendo una deflazione eccessiva che ha portato ad abbassare i tassi di interesse mentre tutto il mondo li stava aumentando. Questa dinamica ha innescato il carry trade – molti investitori si sono indebitati sul mercato nipponico per poi reinvestire in quello americano -.

La banca giapponese s’è desta e ha cominciato ad alzare i tassi, lo Yen recupera valore, chi si era indebitato in Yen per investire in Tesla (è un esempio) che ha perso circa il 50 per cento, trovandosi con uno yen rafforzato, ha venduto Tesla in perdita pur di riparare dalla crescita dello Yen. Questa dinamica dura dal 24 luglio e incide pesantemente sui mercati azionari americani. Quindi il cosiddetto “crollo” del mercato azionario americano è “meccanicamente” amplificato da questa dinamica.

Ora, qualche sprovveduto potrebbe pensare che il Giappone ha ancora sovranità monetaria e potrebbe stampare denaro. Ebbene no, perché il Giappone da anni è il paese col debito pubblico più alto del mondo e tutto in mano straniere.

Fattori geopolitici e algoritmi

Le minacce di guerre; la guerra commerciale tra America e Cina; la Cina che ha nel mirino Taiwan; paura di una possibile recessione negli Stati Uniti…tutto questo genera incertezza, e i mercati odiano l’incertezza. Agosto è sempre stato un mese piuttosto complicato per quanto riguarda la liquidità – la liquidità è la benzina dei mercati – e spesso questa difficoltà si è protratta fino a settembre. Quando il mercato scende con una certa violenza – i fattori che accelerano li abbiamo visti sopra – scattano gli algoritmi automatici posizionati per vendere in modo aggressivo nel momento in cui il mercato dovesse cominciare a scendere.

Conclusioni

Le domande più frequenti sono: è una crisi che può trascinare nel baratro l’Europa? La risposta più onesta è che non ci sono prodromi di crisi e che, per quanto riguarda l’economia più forte al mondo, potrebbe diventare una crisi se la FED sbagliasse il timing per un taglio dei tassi. Riguardo l’Europa, i dati di crescita post pandemia sono assolutamente modesti. La UE non ha adottato una politica di bilancio espansiva per mitigare la crisi monetaria, come hanno fatto gli Stati Uniti, quindi il Vecchio continente è enormemente esposto indipendentemente dall’attuale situazione di ritracciamento dei mercati.

La recessione negli Stati Uniti, da un punto di vista squisitamente economico, è – al momento – una pura teoria da terrapiattisti e addestratori di pappagalli parlanti. I fattori geopolitici sono quelli a destare maggiore preoccupazione, nessuno vuole guerre, ma è anche vero che le guerre muovono molto denaro.

Qualora non si dovesse uscire sollecitamente dalla situazione attuale – che ribadiamo essere meccanica – e si verificasse una crisi finanziaria le conseguenze per l’economia reale sarebbero molto pesanti soprattutto per i Paesi con un debito pubblico elevato. In questa situazione emergerebbe tutta la debolezza della UE che è totalmente assente sulle politiche economiche centrali. In questa configurazione i singoli paesi dell’Unione non sono in grado di aggiustare gli squilibri. Ipotizzando forti instabilità, le ripercussioni sull’economia reale sarebbero importanti, ma siamo alla teoria, nessuno può sapere cosa succederà realmente in futuro.