Il più grande produttore mondiale di oli da cucina usati, la Cina, presto esaurirà le scorte di questo feedstock, mentre la domanda dall’Europa e dagli Stati Uniti aumenta vertiginosamente. L’Europa ne consuma 130.000 barili al giorno. Ma la discrepanza tra i dati di raccolta e quelli di esportazione per Cina e Malesia indicano probabili frodi in corso
Un recente studio di Transport & Environment (T&E), esamina la capacità di raccolta dei principali produttori mondiali di oli esausti. L’analisi rileva che la Cina, il più grande produttore mondiale del settore, esporta più della metà degli oli che raccoglie.
Gli oli da cucina esausti vengono utilizzati principalmente per essere trasformati in biocombustibili per auto e camion europei e statunitensi. Inoltre la domanda di UCO (oli da cucina esausti) è in predicato di triplicare entro il 2030. Spinta soprattutto dal settore aereo che li necessita per raggiungere gli obblighi di immissione in consumo previsti dagli obiettivi di carburanti ‘sostenibili’ per l’aviazione (Sustainable Aviation Fuels, SAF). Sulla base di questi risultati, T&E chiede di limitare le importazioni non sostenibili e di dubbia provenienza di questi oli esausti.
L’Europa consuma 130.000 barili al giorno
Per colmare il divario tra raccolta domestica e domanda, Europa e Stati Uniti stanno importando sempre più UCO dalla Cina, oltre che dall’Indonesia e dalla Malesia.
“Biofuels da UCO non ci renderanno indipendenti. L’UE è ben lontana dall’essere autosufficiente nella raccolta di oli esausti per servire il fabbisogno energetico dei trasporti. Anche in Italia, i biofuels da UCO vengono presentati come una strategia per perseguire l’indipendenza energetica, ma la realtà è tutt’altra: dipendiamo e dipenderemo ampiamente dalle importazioni” commenta Carlo Tritto, Policy Officer per T&E Italia.
“I biofuels da oli esausti realmente sostenibili sono pochi: andrebbero utilizzati solo quelli raccolti a livello domestico e impiegati per la decarbonizzazione di settori hard-to-abate come l’aviazione, il cui mercato è più che sufficiente ad assorbire i volumi nazionali. Invece vengono utilizzati largamente in auto e camion, spingendo la domanda troppo in alto e determinando una situazione di dipendenza commerciale da importazioni dubbie dall’Asia”.
Attenzione alle frodi: la Cina utilizza ed esporta più UCO di quanto raccoglie.
Nonostante in Cina la capacità di raccolta e i livelli di esportazione sembrino corrispondere, un enorme mercato illegale interno per l’olio di scarto suggerisce che ci sia un significativo consumo di UCO a livello domestico. Ciò fa pensare che la Cina – tra esportazioni e consumi domestici – utilizzi molti più UCO di quanti ne raccoglie. Sollevando forti sospetti che olio vegetale vergine possa essere etichettato come olio di scarto.
Il caso Malesia
Anche la Malesia, tra i più importanti produttori di olio di palma, esporta tre volte più olio da cucina usato di quanto non riesca a raccoglierne internamente, rilevano i dati di Stratas. La maggior parte di queste materie passa attraverso i Paesi Bassi o va nel Regno Unito, un paese con il più alto obiettivo di carburanti sostenibili per l’aviazione (SAF).
Tritto ha aggiunto: “Il fatto che la Malesia – uno dei maggiori produttori mondiali di olio di palma – esporti molti più UCO di quanti ne raccoglie, dimostra che il rischio di frodi lungo le catene di approvvigionamento è più che elevato. Gli UCO potrebbero essere solo una copertura per l’olio di palma. Questo, se impiegato per la produzione di biocarburanti può avere un impatto climatico fino a tre volte superiore rispetto al carburante fossile che teoricamente dovrebbe sostituire”.
T&E: “Revisionare il sistema di certificazioni per evitare frodi”.
Alla luce delle evidenze emerse , T&E chiede una revisione completa dell’attuale sistema di certificazione. Il sistema poggia su autodichiarazioni dai punti di origine dell’UCO – come i ristoranti – e manca di test efficaci per analizzare le materie prime che arrivano nelle bioraffinerie. Queste debolezze nella filiera di certificazione rendono facile l’export, verso l’Europa, di UCO o biocarburanti da UCO potenzialmente adulterati.
Per risolvere questo corto-circuito di potenziali frodi serve che l’UE passi da schemi volontari, indipendenti e guidati dall’industria a una regolamentazione più severa. Con maggiori controlli governativi a livello europeo e nazionale. Oltre che smettere di conteggiare gli UCO importati negli obiettivi di sostenibilità, per evitare che oli vergini come quello da palma vengano etichettati come “usati”.