Gli agricoltori in sciopero non riescono a far comprendere i motivi della protesta. Quello che è stato scritto nei giorni scorsi non chiarisce in alcun modo le questioni messe a terra dagli imprenditori agricoli. E questi ultimi non sono abbastanza “potenti” per pretendere maggiore attenzione dai media
di Luca Lippi
La questione non è affatto politica, il clamore sarebbe stato maggiore. Seguendo un ordine logico, si deve cominciare col dire che l’industria chiede agli agricoltori di produrre di più ma a prezzi bassi. Al netto della banalità della richiesta – giusta o sbagliata lo si capisce più avanti – quest’ultima non contempla lo sforzo maggiore degli agricoltori che vorrebbero, ma non possono, aumentare la produzione. Purché le stringenti regolamentazioni europee siano riviste al ribasso. Il problema non è, in assoluto, il Green Deal ma è la velocità applicata ai settori coinvolti nel raggiungimento dei vari step intermedi.
Il PAC
Il settore agricolo conta in Europa 8,7 milioni di addetti. La maggiore concentrazione di agricoltori è in Romania, Bulgaria, Grecia, Polonia, Portogallo e via a scendere. L’Italia occupa il tredicesimo posto di 27. Il PAC – Politica Agricola Comune – che dovrebbe sostenere gli agricoltori nel loro ruolo di fornitori di alimenti di alta qualità a prezzi accessibili per i cittadini della UE, sta chiedendo di convertire il 25% dei terreni agricoli in terreni biologici entro il 2030. Inoltre chiede anche di ridurre del 50% l’utilizzo dei pesticidi e dei fertilizzanti. Tutto questo sta creando delle condizioni estremamente precarie facendo crollare i prezzi dei prodotti agricoli.
In undici paesi dell’Unione Europea i prezzi pagati agli agricoltori sono diminuiti – media fra tutti – di oltre il 10% tra il 2022 e il 2023. Allo stato dell’arte si salvano da questa sventura solamente la Grecia, la Spagna, Cipro e il Portogallo che hanno mitigato il taglio dei prezzi con l’impennata dei prezzi dell’olio di oliva.
Il crollo dei prezzi in generale, è causato dall’invasione di prodotti agricoli provenienti dall’Europa orientale, soprattutto l’Ucraina. Alcuni paesi, come la Francia, vietano in maniera totale l’uso di insetticidi. Divieto sollecitato dalla UE già nel 2018 ma la Francia ha aderito solo nel 2023, motivo per cui le proteste in questo paese sono piuttosto importanti. Tuttavia nessuno demonizza il provvedimento, ma l’UE non ha offerto l’alternativa all’uso dei vecchi fertilizzanti e pesticidi. Ovviamente in questa falla di sistema si configura ancora una volta l’assenza di concretezza nei provvedimenti dell’Unione.
Quando sono cominciate le proteste
I media pare si siano accorti del problema solo nelle ultime settimane. Di fatto le proteste hanno avuto il loro inizio in Bulgaria contro il grano ucraino – aprile 2023 -. In Italia – luglio 2023 – le proteste sono cominciate a causa dell’aumento esagerato del costo della pasta conseguente all’aumento dei costi di produzione e trasformazione della materia prima – 32% in più rispetto al 2021 – un aumento più del doppio rispetto al tasso di inflazione.
Poi ancora, il 15 settembre 2023, quando Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Romania hanno imposto l’embargo sui cereali che provenivano dall’Ucraina (conseguenze della guerra). Il grano, attraverso un corridoio via terra indicato dalla UE è entrato in grande quantità facendo crollare il prezzo, disequilibrando il rapporto domanda/offerta.
Sempre a causa della guerra, il costo dei fertilizzanti ha subito un’impennata. Così come i costi per l’energia (sabotaggio del Nord Stream, pare, da parte degli ucraini). Quando il prezzo del gas si impenna, ha ripercussioni immediate sui fertilizzanti azotati.
L’agricoltura europea ha necessariamente dovuto aumentare i prezzi della produzione per ammortizzare i maggiori costi di energia, prodotti chimici e trasporti del raccolto, facendo impennare nuovamente i costi.
La UE, ha stanziato 100 milioni di supporto in favore di Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia, mettendo una pezza a un buco che la UE stessa aveva provocato. Contestualmente ha stanziato altri 430 milioni di euro per supportare il settore agricolo. Un fiume di denaro che è l’immagine dell’assenza di visione ampia necessaria prima della promulgazione di provvedimenti da parte della UE.
Offrire soldi a un settore, dopo averlo soffocato, non è mai una soluzione ma una sconfitta. In Economia, se un’azienda non è in grado di operare su un mercato regolamentato, essa è destinata a fallire perché qualunque aiuto di natura economica non può sopperire alla capacita produttiva. Il problema che reclamano gli agricoltori è un altro! Se le regole del gioco stravolgono la partita in corso, una dazione di denaro risarcisce, in parte, il capitale di rischio ma non consente di perseguire lo scopo sociale che era stato fissato quando le regole erano altre.
I motivi delle proteste sono diversi a seconda dei Paesi
Non tutti i paesi si stanno mobilitando per gli stessi problemi, per esempio in Germania gli agricoltori protestano per il piano di Berlino che vuole eliminare gradualmente le agevolazioni fiscali sul diesel agricolo. A detta degli agricoltori tedeschi, questo taglio porterà tantissimi fallimenti. In Olanda, invece, le proteste sono per l’obbligo di riduzione “troppo veloce” di emissioni di azoto. In Francia si protesta per migliorare la retribuzione dei lavoratori del settore agricolo, per eliminare la burocrazia e per sollecitare una maggiore protezione dalla concorrenza straniera. C’è poi il problema che accomuna tutti, l’aumento dei costi di produzione.
Questa è la descrizione un po’ più dettagliata della protesta, assai diversa da come è stata descritta dalla Stampa che, superficialmente, ha riunito tutte le proteste in un unico grande movimento. Vediamo se l’Europa sarà capace di spostare più avanti, rispetto al 2030, il Green Deal. Se capirà che deve affrontare subito il problema di eccesso di offerta di alcune materie prime come il grano, tutelando alcuni paesi dove il settore agricolo sta soffrendo troppo. Soprattutto, se saprà rinunciare alla spinta ideologica aumentando l’attenzione alla più pragmatica teoria economica magari sostituendo ai tavoli i politici con i tecnici, perché incalzare l’economia senza avere visione significa far governare i pastori dalle pecore.