La “medicina di genere” impone di tener conto delle differenze di fronte alla salute con lo scopo di personalizzare le cure
Di Flavia Scicchitano
Un sistema sanitario equo, e quindi in grado di tutelare il diritto alla salute di ogni uomo e ogni donna, non può prescindere dalla considerazione delle differenze di genere per tendere all’obiettivo di un’effettiva personalizzazione delle cure. La crescente mole di dati epidemiologici, clinici e sperimentali suggerisce, infatti, l’esistenza di notevoli differenze nell’insorgenza, nella progressione e nelle manifestazioni cliniche delle malattie comuni a uomini e donne. Nonché nella risposta e negli eventi avversi associati ai trattamenti terapeutici. L’importanza di tener conto di queste diversità, per tutti e a tutte le età, è stata sancita dall’Organizzazione mondiale della sanità, che ha introdotto il concetto di ‘medicina di genere’, definendola come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche, definite dal sesso, e socioeconomiche e culturali, definite dal genere, sullo stato di salute e malattia di ogni persona.
L’esempio della sindrome coronarica acuta
Il genere – afferma l’Oms – influenza l’esperienza delle persone e l’accesso all’assistenza sanitaria, e spesso sono proprio le donne a incontrare ostacoli maggiori rispetto agli uomini, barriere che includono la mancanza di formazione e consapevolezza tra gli operatori e i servizi sanitari riguardo ai bisogni specifici. Per portare alcuni esempi, l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri (Irccs) ricorda la sindrome coronarica acuta, patologia che si manifesta diversamente negli uomini e nelle donne con un ritardo nella diagnosi e conseguente presa in carico nelle donne. Come anche le modalità con cui sono costruiti e utilizzati gli strumenti di valutazione delle malattie, che possono contribuire a favorire una distorsione della rilevazione dei dati in base a stereotipi di genere.
Le risposte all’uso dei farmaci
E ancora le differenti risposte rispetto all’uso dei farmaci, in termini di assorbimento, distribuzione ed eliminazione, più marcate nella fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni, in cui le donne sono più esposte all’uso dei medicinali rispetto agli uomini. Le donne hanno concentrazioni di farmaco nel sangue più alte e ciò si riflette in un maggior rischio di reazioni avverse e maggiore probabilità di essere ricoverate in ospedale. Infine – osserva ancora l’Irccs Mario Negri – anche le cellule usate negli esperimenti di laboratorio possono esprimere differenze legate al sesso dell’organismo da cui derivano: ad esempio, i neuroni maschili sono molto più reattivi rispetto ai neuroni femminili allo stress ossidativo, come pure ai neurotrasmettitori eccitatori.
Studiare in modo approfondito la popolazione femminile
Da qui la necessità di studiare in modo approfondito la popolazione femminile nella ricerca di base e preclinica e nella sperimentazione clinica, attraverso un’adeguata inclusione delle donne negli studi clinici sull’effetto dei farmaci e altri trattamenti sanitari e sulle malattie la cui prevalenza è simile, oltre alla necessità di analizzare i dati raccolti tenendo conto del genere per interpretare al meglio i risultati. D’altronde già nel 2014 linee guida emesse dal NIH degli Stati Uniti raccomandavano di testare farmaci e studiare le malattie in modelli animali di entrambi i sessi per aumentare le chances di comprendere le differenze di genere e la trasferibilità dei risultati ottenuti.
“La richiesta di una maggiore attenzione al genere non è nuova, ma sta certamente diventando centrale nella discussione più ampia sulle tematiche di equità nella ricerca – afferma l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri – La corretta interpretazione del ruolo dei determinanti biologici e socioculturali sullo studio dei farmaci e trattamenti sanitari è un elemento ormai imprescindibile, al fine di rendere la ricerca più utile, rilevante e, in ultima istanza, etica.
Le discriminazioni nella ricerca farmacologica
Le discriminazioni che subiscono le donne nella ricerca sperimentale e farmacologica, così come pure nella cura delle patologie richiedono un cambio di prospettiva generale. Da un lato identificare quali sono le priorità più urgenti per creare una medicina più attenta alle differenze di genere, aumentando la consapevolezza e le conoscenze sui meccanismi alla base delle differenze. Dall’altra stimolare lo sviluppo di percorsi scientifici e regolatori che garantiscano lo studio delle popolazioni maschili e femminili in maniera specifica e selettiva, proponendo protocolli di ricerca distinti se esistono differenze fra maschi e femmine nel percorso e nell’esito della stessa malattia. Il riconoscimento delle differenze deve avere il significato essenziale di permettere il miglior trattamento possibile per donne e uomini”.
L’evidenza di differenze di genere è stata descritta in molte malattie croniche come il diabete, i disturbi cardiovascolari, le malattie neurologiche, i disturbi mentali, il cancro e l’autoimmunità, nonché in processi fisiologici complessi come l’invecchiamento fisico e cognitivo. Inoltre, le differenze di genere negli stili di vita, come l’alimentazione, l’attività fisica, l’uso di tabacco e alcol, si sono rivelate correlate alle tendenze epidemiologiche delle malattie.
La malattia di Alzheimer
Per quanto riguarda ad esempio la malattia di Alzheimer, l’Istituto superiore di sanità nella sua Newsletter di gennaio riporta il contributo di esperti del Centro regionale invecchiamento cerebrale, Dipartimento di Neuroscienze-Dimed Azienda ospedale-Università di Padova, da cui emerge la necessità di definire gli effetti di sesso e genere sul processo neurodegenerativo per differenziare le strategie di prevenzione e cura. L’Alzheimer, si ricorda, è una patologia neurodegenerativa progressiva ed è la principale causa di demenza contribuendo a circa il 55% dei casi.
L’età avanzata è il principale fattore di rischio; dopo i 65 anni la prevalenza di malattia cresce rapidamente arrivando a colpire circa il 15-20% della popolazione con più di 85 anni. La malattia colpisce in maniera diseguale i due sessi. La prevalenza nel sesso femminile è maggiore in Italia come in molti altri Paesi. Una recente ampia metanalisi su dati globali ha messo a fuoco che il dato è fortemente influenzato da aspetti legati alla nazione in cui si vive e dalle condizioni sociali. L’aspettativa di vita e l’istruzione influenzano significativamente il rischio, mentre il sesso biologico (legato ai cromosomi sessuali) determina una serie di conseguenze a livello ormonale.
La donna risulta protetta dagli estrogeni, ma tale vantaggio viene bruscamente ad annullarsi dopo la menopausa, specie se avviene precocemente per cause iatrogene. Il genere, inteso come caratteristica sociale, culturale e psicologica determina a sua volta una esposizione a fattori ambientali che condizionano il rischio di malattia. Anche sul piano strettamente neuropatologico la donna mostra delle peculiarità: una maggior suscettibilità alla presenza dell’allele E4 del gene APOE, accumulando più rapidamente la proteina Tau con conseguente danno neuronale.
Il caso del tumore mammario maschile
Il contributo di esperti del Dipartimento di Medicina molecolare “Sapienza” Università di Roma riporta, invece, il caso del tumore mammario maschile, suggerendo un’implementazione del test di screening per gli uomini, non limitandolo ai soli geni BRCA, al fine di migliorare l’appropriatezza delle strategie di gestione del rischio di tumore. Il carcinoma della mammella – osservano – è, infatti, una delle neoplasie più influenzate dal genere ma, sebbene sia spesso considerata esclusivamente femminile, può insorgere anche negli uomini, seppur più raramente: il tumore mammario maschile rappresenta infatti meno dell’1% di tutti i tumori mammari. In Italia si stima che colpisca 1 uomo ogni 600 con circa 500 nuove diagnosi all’anno. Uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza di un tumore alla mammella nell’uomo è considerato avere una storia familiare per questa neoplasia, il che sottolinea un rilevante contributo dei fattori genetici ma ad oggi, un numero crescente di studi hanno identificato altri geni di suscettibilità oltre ai geni BRCA, iniziando a fornire stime di rischio di tumore genere-specifico. Da un recente studio multicentrico italiano sul carcinoma mammario maschile è emerso come nel loro insieme mutazioni in geni non BRCA siano responsabili di circa il 5% dei casi di tumore mammario maschile ereditario.
Nello specifico, i geni PALB2 e ATM emergono come geni rilevanti nella suscettibilità al tumore mammario maschile, PALB2 conferendo un rischio aumentato di sette volte e ATM di cinque volte. Un rilevante contributo in materia potrà essere apportato dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale con risultati ben documentati nel migliorare lo screening, la diagnosi e la terapia e nel definire in diverse applicazioni di medicina di precisione, anche dove sono state segnalate differenze di genere. La Fondazione Bracco Milano, nel suo contributo riportato dalla Newsletter dell’Iss – rileva però la necessità di prestare molta attenzione a incorporare le informazioni sul genere nei modelli predittivi, per evitare disparità nelle prestazioni predittive nei due generi.
In campo reumatologico, un esempio specifico nell’artrite psoriasica – riferiscono gli esperti – ha mostrato che la presenza dell’informazione sul genere consentiva un’accuratezza significativamente migliore delle reti neurali nel predire la diagnosi dai dati clinici (da 87,7% senza genere a 94,47% con il genere nel modello).
La situazione normativa rispetto alla medicina di genere
In Italia, un primo passo dal punto di vista normativo rispetto alla medicina di genere – il nostro è stato il primo Paese europeo a formalizzare l’inserimento del concetto di ‘genere’ in medicina, ricorda l’Istituto superiore di sanità – è stato compiuto con l’approvazione del Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere, da parte del ministero della Salute il 13 giugno 2019, in attuazione della legge n. 3 del 2018, per fornire un indirizzo coordinato e sostenibile per la diffusione della medicina di genere mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie, che, nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura, tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale in modo omogeneo sul territorio nazionale.
La strada però è ancora lunga: “Elementi legislativi come la legge del 2018 possono dare il via a questo cambio di prospettiva, osserva l’Istituto Mario Negri – Sarebbe, però, auspicabile che venissero messi in pratica interventi più marcati, come la richiesta da parte delle autorità regolatorie di protocolli di ricerca e sviluppo specifici per uomini e donne per i nuovi farmaci da utilizzare nelle malattie comuni ai due sessi. Servirebbe analizzare separatamente linee cellulari maschili e femminili, studiare farmacocinetica, tossicità, riproduzione, cancerogenicità in modelli animali di entrambi i sessi e infine includere casistiche adeguate di uomini e donne negli studi clinici e analizzare i risultati separatamente. Studiare e riconoscere le differenze tra i sessi e i generi è solo il primo passo per garantire equità e appropriatezza della cura”.
Serve un piano di informazione e comunicazione di genere
E anche dal punto di vista dell’informazione, rileva l’Osservatorio dedicato alla medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità, si sconta l’assenza di uno specifico piano di comunicazione genere-specifico in grado di delineare un percorso caratterizzato da regole e contenuti uniformi tra Stato, Regioni, Aziende ospedaliere, Università. Nell’obiettivo di promuovere la consapevolezza e la corretta informazione sul tema della salute declinata al femminile, alcune iniziative si stanno organizzando a livello locale. E’ stato avviato il 20 gennaio scorso un progetto promosso dall’Università La Sapienza e dall’Aou Policlinico Umberto I di Roma, con incontri periodici tra specialisti, donne e associazioni dei pazienti nella sede universitaria di Palazzo Baleani. Il primo appuntamento è stato dedicato alle malattie dell’apparato digerente, tra le patologie più comuni nella popolazione italiana, con un’incidenza, decorso e trattamento che presentano notevoli differenze di genere e richiedono un’attenzione specifica su prevenzione, diagnosi e accesso ai percorsi specialistici diagnostico-terapeutici.