Il debito pubblico è un’entità astratta, sia per i cittadini sia per la politica. Tutti ne parlano, ma nessuno è in grado di definirlo chiaramente. Il meccanismo e le dinamiche che lo generano sono ignoti quasi a tutti, eppure nessuno manca l’occasione per evocarlo in ogni esternazione – per lo più populista e quasi sempre a sproposito -.
di Luca Lippi
Una cosa è certa: lo pagano sempre le stesse categorie. Quelli che politicamente non contano nulla, soprattutto per chi snobba il proprio diritto a votare quando ci sono le elezioni. A pagarlo, un tempo, erano gli incivili, cioè quelli fuori le mura, i conquistati. Oggi soprattutto i giovani, ma tanto non se ne rendono conto perché nessuno ha insegnato loro cos’è il debito pubblico e quali sono le sue implicazioni positive o negative.
Il debito pubblico italiano è veramente uno dei mali più grandi del nostro Paese? Osservando il lavoro della politica sembrerebbe di no. Di fronte alle tavole imbandite delle famiglie c’è una scatola luminosa dalla quale non si sente altro che la santificazione del deficit e della spesa pubblica – i più preparati in questo esercizio sono i figli dell’election day tramite tastiera – ovviamente peggiorando il problema.
Cos’è il debito pubblico
Il debito pubblico è la somma delle passività accumulate da uno stato. È formato da moneta iscritta al passivo nei conti della Banca d’Italia, ma è formato soprattutto dalle emissioni di titoli di debito – BOT, BTP e obbligazioni in genere che lo Stato emette e sui quali paga un interesse -. Però l’informazione più importante è il motivo per cui uno stato si indebita, l’Italia come tutti gli altri stati. Il debito si forma quando si crea uno squilibrio tra le entrate, principalmente entrate fiscali, e le uscite o spesa pubblica.
In questo caso per potere finanziare la spesa pubblica, lo stato deve reperire risorse, per farlo si rivolge ai mercati, alle istituzioni, emettendo titoli di debito con una promessa di pagamento, cioè il rimborso alla scadenza e il pagamento di interessi cedolari durante la vita del titolo di debito. Questo, ovviamente, per chi ha un minimo di nozione finanziaria, significa che non c’è nulla di negativo a fare debito se questo è finalizzato a promuovere sviluppo con un ritorno certo di vantaggi. Sia di natura economica sia di natura finanziaria, necessari ma anche sufficienti a ricoprire il finanziamento all’origine. Quindi il debito pubblico, sostanzialmente, è uno strumento benefico.
Quando il debito pubblico diventa un problema
Banalmente, il debito pubblico diventa un problema quando non è sostenibile! Chi presterebbe denaro senza un minimo di garanzia della restituzione? Chi sarebbe disposto a lavorare senza percepire un compenso? Quando il debito pubblico aumenta e viene meno la sostenibilità dello stesso dalle finanze pubbliche, allora diventa un problema. Altro focus non da ignorare, sono gli interessi sul debito. Quando il mercato o le istituzioni, chiedono un interesse allo stato emittente superiore a una certa soglia. Questa soglia è la crescita nominale del Prodotto Interno Lordo. Riassumendo velocemente, il problema del debito nasce dallo squilibrio tra entrate e uscite e dallo squilibrio tra interessi da pagare e crescita del PIL. Se il PIL cresce nominalmente di una misura inferiore rispetto ai tassi ai quali sono emessi i titoli di Stato, il debito manifesta problemi di sostenibilità nel breve, medio e lungo periodo.
Qual è la situazione dell’Italia
L’Italia si trova in una situazione di altissimo debito da molti anni, attualmente abbiamo un debito in equilibrio su un PIL al 140% e con la NADEF le cose non migliorano. Il programma pluriennale previsto dalla NADEF ci dice che il debito si manterrà intorno al 140% del PIL nell’arco di un quadriennio. Questo non significa che sia un problema in assoluto. In linea di massima potrebbe non esserlo se l’economia dimostra di essere viva, sostenibile e in crescita. L’orribile aggettivo “resiliente”, di moda nei salotti fumosi e inutili dei radical chic riassume il concetto. Se così non fosse, allora c’è il problema. Può diventare un problema anche nel caso in cui uno shock – esogeno o endogeno alla politica nazionale – potrebbe improvvisamente rendere problematica la tenuta dei conti pubblici. Un esempio su tutti è la crisi dei debiti sovrani – 2010 e 2011 – in Unione Europea.
Come si può ridurre il debito
Più che il debito in senso assoluto, è già un ottimo traguardo ridurre il rapporto debito PIL. Banalmente, crescere a un tasso superiore rispetto al tasso di interesse pagato è la base. Nella sostanza, due sono le cose che si possono fare. La prima è generare avanzo primario, almeno a copertura degli interessi sul debito stabilizzando la dinamica di crescita. La seconda cosa è rimborsare anticipatamente il debito. Con una finanza virtuosa il debito convive serenamente, l’unica condizione è che gli interessi siano totalmente assorbiti dalla crescita del PIL. In questo caso, i sottoscrittori del debito nazionale non pretenderanno mai tassi di interesse a garanzia elevati. Se, invece, una dinamica della crescita e la dinamica delle misure fiscali fanno intravedere una instabilità del debito e una difficoltà nel rimborsarlo oppure nel pagare cedole, ecco che il quadro di finanza pubblica tende a complicarsi e i conti sono a rischio.
Il ruolo delle istituzioni europee nella sostenibilità dei debiti sovrani
Una considerazione merita attenzione sul fatto che il debito pubblico debba scendere per effetto delle regole europee. Sono regole in qualche modo contestate, ma che hanno l’obiettivo fondamentale di far convergere le economie europee entro dei parametri di “sicurezza” per la tenuta dei conti pubblici. Regole che possono essere condivise o avversate, ma se poi si sceglie di volere stare in un club, gioco forza bisogna rispettarne i regolamenti.
Non è importante che si raggiunga il 60% del rapporto debito PIL così come stabilito dal trattato di Maastricht, o il 90% così come stabilito dal nuovo patto di stabilità e crescita. Ma è molto importante che i sottoscrittori di debito pubblico percepiscano che i conti sono in equilibrio e che possono essere onorati dallo Stato emittente. Dunque, il debito va ridotto, ma in termini concreti, quali sono i danni provocati da un debito molto elevato al di là delle implicazioni di rischio per le dinamiche di finanza pubblica?
Quanto costa il debito ogni anno?
Storicamente l’Italia ha raggiunto dei livelli di pagamento degli interessi sul debito pubblico molto più elevati di quelli che risiedono nella memoria degli italiani. Che per quanto riguarda la cosa pubblica ha memoria fin troppo corta. Questo si riverbera sulla scelta costante di una classe politica che nel bene o nel male ha ridotto il Paese nelle condizioni in cui ci troviamo. Gli interessi sono spesa pubblica che non produce effetti, sicuramente non ne produce positivi. Se dividiamo la spesa pubblica per interessi pagati dallo Stato nel 2022 (87 miliardi e 636milioni di euro) per la popolazione italiana censita nello stesso anno neonati compresi (59 milioni e trentamila persone), il risultato è 1.485 euro circa. In pratica è come se ogni anno un italiano di qualunque età deve pagare 1485 euro di tasse solo per garantire la sostenibilità del debito pubblico.
È necessario ridurre il rapporto debito PIL anche se non riduce il debito pubblico accumulato, proprio per evitare che la somma degli interessi pagati sia particolarmente elevata. A titolo di esempio, quando ci siamo avvicinati all’ingresso nell’unione monetaria, il dato di diminuzione della spesa per interessi è stato molto cospicuo, è stato l’effetto benefico dell’ingresso nell’UE e nell’area monetaria comune. Perché grazie a quell’effetto il pagamento degli interessi sul debito si è ridotto moltissimo, quasi del 50% – invero poi ripagati per scarsa competenza politica -.
Basterebbe emettere titoli di Stato sotto forma di certificati rimborsabili (i vecchi “redimibili”) a insindacabile decisione dell’emittente. Se i tassi scendono sotto una certa soglia lo Stato deve avere la possibilità di rimborsare i titoli anticipatamente, sostituendoli con altri a tassi più convenienti. Bisogna interrompere la dinamica di speculatori che scommettono sulla instabilità degli stati pretendendo interessi fuori mercato. Uno Stato finanziariamente più autoritario e meno succube non può che riflettere autorevolezza anche agli occhi degli investitori, oltre che salvaguardare le sorti del Paese.