Home Hic et Nunc ECCO L’ANNO CHE VERRÀ

ECCO L’ANNO CHE VERRÀ

credits: Dušan Cvetanović

di Pietro Romano

Il 2024 si aprirà con le discussioni, presumibilmente sempre più accese, della decisione del Parlamento italiano di non ratificare la modifica del Mes, il Meccanismo di stabilità europeo. Un voto trasversale che ribadisce una centralità delle Camere, e quindi della volontà popolare,
quale non si vedeva da tempo.

Senza entrare nei dettagli di questa decisione, che naturalmente ha i suoi pro e i suoi contro soprattutto sul versante delle opportunità politiche, il voto dell’Aula non significa prima di tutto la bocciatura del Mes, che rimane in vigore nella versione primigenia. A essere bocciata è stata la estensione della salvaguardia garantita dal Mes a crisi bancarie nelle quali l’Italia avrebbe rischiato ancora una volta di poterci solo rimettere. Il sistema bancario italiano è tra i più solidi in Europa, quando ha avuto qualche difficoltà è stato trattato in maniera peggiorativamente difforme da quello di altri Paesi, non ha bisogno di modifiche alla sua disciplina per metterlo in grado di non rispondere alle necessità creditizie di famiglie e imprese ma nel contempo di poter intervenire al fianco di sistemi esteri.

Da Bruxelles la modifica al Patto di Stabilità

In attesa delle prevedibile bordate da Bruxelles (le modifiche al Mes andavano adottate all’unanimità e sistemi bancari come quello tedesco sono già sul piede di guerra e stanno cominciando a fare lobby), da Bruxelles stessa è arrivata la modifica al Patto di stabilità. Una modifica che non serve solo all’Italia, sia ben chiaro, ma a esempio anche alla Francia, alle prese a sua volta con un crescente indebitamento pubblico.

Da questo cambiamento discende per il nostro Paese maggiore agio nel rientrare dall’indebitamento (di un punto all’anno) in quanto il Paese che sforerà tale limite avrà la possibilità di recuperare. Insomma, sarà rimandato, non bocciato, e il rientro dal 3 all’1,5% del deficit/Pil più morbido e meno drastico, anche dal punto di vista delle scelte politiche. Una possibilità che condurrà l’attuale governo al prossimo voto senza scossoni, a meno di altre crisi esterne. E dal punto di vista geopolitico le possibilità in questo senso purtroppo non mancano.

Il 2024 inizia da un bicchiere mezzo pieno

Va da dire che il 2023 si chiude come sicuramente non era stato previsto alla fine dello scorso anno. Nonostante i contraccolpi internazionali, infatti, tutta una serie di indicatori socio-economici segnano verso il bello. Sia pure diversa è la ricaduta sui cittadini comuni e soprattutto su quanti per struttura del reddito e marginalità non sono stati in grado di adeguare le loro entrate al costo della vita e a esigenze sempre più stringenti, quali le spese sanitarie, rese obbligate dall’invecchiamento crescente della popolazione e da dieci anni di tagli alla spesa dedicata.

Un anno fa l’Istat prevedeva una crescita del PIL per il 2023 dello 0,4%; molto presumibilmente, sarà dello 0,7%. Sul fronte dei consumi veniva previsto un incremento dello 0,4%, sarà dell’1,4%, che anche al lordo del rialzo dei prezzi non è paragonabile alla precedente ipotesi. E a proposito di prezzi significativa è la considerazione che la frenata dell’inflazione tricolore è molto più brusca di quella registrata dai “pari taglia” europei. La disoccupazione, preveduta all’8,2%, è al 7,6%. Le esportazioni batteranno il record del 2022. La Borsa di Milano è arrivata ai massimi dal 2008. Insomma, ci sarebbe da festeggiare. E soprattutto da pensare a quanti appunto non sono riusciti a prendere il treno di questa ripresina.

Un compito tutto politico al quale un governo strutturalmente solido e relativamente omogeneo quale non si aveva da anni, nonostante i contraccolpi tipici di ogni coalizione, può dedicarsi partendo da una piattaforma stabile e attingendo a un bicchiere senz’altro pià che pieno a metà. Auguri!