Home Hic et Nunc PER RE-IMBOCCARE LA VIA DELLA CRESCITA SERVONO SUBITO PROGETTI E IMPRENDITORI

PER RE-IMBOCCARE LA VIA DELLA CRESCITA SERVONO SUBITO PROGETTI E IMPRENDITORI

milano imprenditori

Dopo un biennio di crescita sostenuta, ma che si è più o meno limitata a recuperare le perdite accumulate negli anni del Covid, l’andamento del prodotto interno lordo dell’Italia rischia di tornare ai livelli modesti che l’hanno caratterizzata (e questo negli anni più “felici”) negli ultimi tre lustri. Servono imprenditori

di Pietro Romano

Dietro il rallentamento in atto svolge un ruolo tutt’altro che secondario l’ennesima “meteorite” caduta anche sul nostro Paese, la crisi mediorientale. Di fatto, dall’intervento Nato nel Kosovo in poi, tra disavventure finanziarie e crisi bellico-terroristiche, non ce ne siamo fatta mancare una nell’arco dell’ultimo quarto di secolo.

Purtroppo, però, quando altrove piove, in Italia diluvia. In questa sede, mi piacerebbe concentrarmi proprio su tale aspetto. Si può invertire la tendenza per la quale quando in Europa piove, in Italia diluvia? E perché questa tendenza dev’essere considerata sostanzialmente intangibile?

Il debito pubblico

In genere l’accusa cade sull’entità del debito pubblico. Con un debito pubblico dalle dimensioni attuali coniugare Italia e debolezza è incontrovertibile. Un macigno che gli anni hanno appesantito in maniera esponenziale ma per la cui esistenza è comodo rifarsi alle cattive politiche del decennio finale della cosiddetta “prima repubblica”. Sono stati davvero tanto disastrosi i disastri (il bisticcio è voluto) degli anni ottanta e dei primi anni novanta del novecento che nei successivi trent’anni non ci si sarebbe potuto porre rimedio? O è vero piuttosto che i tanti anni di governi presunto- rigorosi (tecnici o tecnico-progressisti) hanno fatto lievitare il debito esattamente come i governi populisti, o
definiti tali, sostanzialmente peggiorando i danni creati negli anni ottanta e nei primissimi novanta senza che ciò fosse ineluttabile? Le risposte meriterebbero uno studio accurato. Ma la realtà è quella che appare sotto i nostri occhi. E con questa realtà bisogna fare i conti.

La verità è che per aggredire il moloch debito pubblico esiste una sola strada, visto il fallimento acclarato delle presunte politiche di austerità e della svendita di beni pubblici passata per privatizzazioni. E questa strada passa per la crescita, una crescita non da prefisso telefonico, ma da “miracolo economico” o poco inferiore. Per innescare una crescita robusta servono però investimenti, pubblici e privati. Investimenti ai quali proprio l’entità del debito concede scarso propellente sul fronte pubblico. Rimangono gli investimenti privati, tutt’altro che marginali. Ai quali il propellente non manca. Come dimostrano i dati sulla ricchezza finanziaria di fonte Banca d’Italia.

Servono investimenti, pubblici e privati

Le famiglie italiane, certifica l’istituto centrale, dispongono di una ricchezza finanziaria pari a 5.300 miliardi di euro a fronte di un prodotto interno lordo annuale di 1.910 miliardi circa e il debito pubblico a 2.841 miliardi. Con il controvalore degli immobili la ricchezza salirebbe a quasi 11mila miliardi, ma è la ricchezza finanziaria che c’interessa.

Di recente, Confindustria ha polemizzato contro gli appelli a comprare titoli di Stato, che spiazzerebbero gli investimenti privati, ma la quota di debito pubblico direttamente o indirettamente in mano alle famiglie e alle imprese tricolori è solo di poco superiore al 16 per cento. Piuttosto sembra mancare “appeal” agli investimenti proposti. O addirittura sembra che manchino investimenti tout court. Non è colpa del singolo risparmiatore se, accanto alla svendita di imprese pubbliche, non ci sia stato un irrobustimento delle imprese italiane la cui taglia si è ridotta ulteriormente negli ultimi decenni, tanto che tra le prime 500 società non finanziarie al mondo solo cinque sono tricolori.

Mancano imprenditori e iniziative di crescita

Sarebbe giusto invece un mea culpa imprenditoriale. Le stesse banche stanno riducendo le linee di credito. Hanno il braccino corto, com’è aduso dire a Roma? Di sicuro si trovano di fronte un calo delle richieste di credito. Mancano, sembra capire, progetti sui quali investire. Un dato che contraddice il grido di dolore di Confindustria. Con l’84% di risorsa finanziaria disponibile non mancano i soldi, è evidente, mancano le iniziative sulle quali investire. Mancano imprenditori o aspiranti tali. Ma servono come il pane, altrimenti l’Italia è condannata al nanismo.