Si è appena concluso un summit del blocco BRICS, mediaticamente trattato, ma non nei particolari. Durante la riunione sono state esaminate due importantissime riforme: l’accoglienza di nuovi membri nel blocco e la valuta
di Luca Lippi
Capire certe dinamiche, e anche la direzione che sta prendendo l’economia mondiale, non è cosa ideologica o politica. Osservare i piani del G7 non significa ignorare l’esistenza dei BRICS, sarebbe come ignorare le forze che determinano le maree, e questo offenderebbe l’intelligenza di chiunque. C’è una fortissima attenzione al tema di una valuta alternativa al Dollaro per le transazioni commerciali all’interno del blocco BRICS. Già diverse transazioni sono state regolarizzate in yuan (valuta cinese). In un contesto di fragilità economica della potenza americana – il debito americano è stato declassato oltre il fatto che il Congresso sia stato costretto a elevare il limite di indebitamento – i BRICS contano di potere opporsi all’egemonia del dollaro nelle transazioni commerciali.
NOTIZIE DAL SUMMIT
L’acronimo BRICS si modifica, prenderà il nome di BRICS+6, si sono aggiunti sei nuovi membri al bocco storico che è sempre stato Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica, i nuovi membri sono Argentina-Egitto- Etiopia-Iran-Arabia Saudita-Emirati Arabi Uniti. Questi ultimi diventeranno membri effettivi a partire dal primo gennaio 2024. Il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che l’espansione del blocco è stata una sua volontà per creare un’alternativa concreta all’egemonia del blocco occidentale. È utile sottolineare che non tutti i membri storici del blocco sono d’accordo con le volontà cinesi.
I DATI DEL NUOVO BLOCCO BRICS
Cosa cambia a livello di economia e di export? L’evoluzione degli ultimi venti anni (stime FMI) del blocco BRICS parte dal 1995 quando il PIL dei paesi del G7 pesava per il 44,9% sul PIL mondiale, mentre quello dei BRICS si limitava a un 16,9%. Nel 2010 G7 pesava il 34,3% e i BRICS crescevano al 26,6%. Nell’anno in corso il peso dei G7 scende ulteriormente al 29,9% del PIL mondiale. Mentre quello dei BRICS scala la vetta avvicinandosi al 32,1% superando l’antagonista occidentale. In sostanza, il peso del blocco BRICS è sostanzialmente pari a quello dei G7.
COME CAMBIEREBBERO LE DINAMICHE NEL NUOVO BLOCCO
I cambiamenti attesi si attendono a livello di PIL, di popolazione e di export. Il contributo dei sei paesi che si aggiungono al blocco originario è stimato al 29% del PIL attuale, cui si aggiunge un contributo del+ 46% in termini di popolazione (importante ma non determinante in termini di capacità produttiva), mentre la produzione di petrolio – questo si che è un dato fondamentale – arriverebbe al 43% della produzione mondiale. Il tema, in economia, non è mai la valuta comune, ma il peso delle materie prime. Dunque, quello che i media mettono in risalto, come al solito, è la solita freccia fuori bersaglio. La creazione di un cartello sulle materie prime determina un peso politico ed economicamente strategico molto importante. In termini di export, non cambia molto rispetto al blocco originario, appena il 25% all’interno di una economia dove la Cina domina detenendo già oltre i due terzi di tutto l’export del blocco. Dunque, l’approvvigionamento delle materie prime è il tema. I nuovi paesi che entreranno dal primo gennaio 2024, dovranno contribuire a capitalizzare la New Development Bank – è la banca dello sviluppo dei paesi BRICS -.
LO STATO DI SALUTE DELLE SEI NUOVE ECONOMIE
(fonte WSG) Argentina: a maggio scorso era sull’orlo dell’ennesimo default, ha un’inflazione che ha toccato il 114%, a giugno la sua moneta è stata svalutata del 22% ed è in procinto di nuove elezioni. La crescita del PIL è intorno all’1,3% (precedente era all’1,5%) e per un paese in via di sviluppo sono dati molto negativi.
Egitto: maggiore importatore di grano proveniente dall’Ucraina, quindi particolarmente penalizzato dalla guerra che ha fatto schizzare i costi della materia a livelli difficilmente sostenibili, mettendo in ginocchio un’economia già in condizioni molto critiche. Inflazione al 36,8% ma una crescita del PIL tra il 3 e il 4% (ragionevole).
Etiopia: ha un settore energetico molto sviluppato e sta organizzandosi per implementare il settore manifatturiero. Il paese è cresciuto economicamente negli ultimi due anni tanto che ad oggi segna una crescita del PIL tra il 5 e il 6%.
Iran: anche questo paese segna un’inflazione al 39,4% nel 2022, ma le criticità maggiori emergono in una importante crisi idrica oltre carenze importanti di gas ed elettricità che sono problematiche assai più gravi dell’inflazione. Segna comunque una crescita del Pil al 5,6% (la rilevazione precedente segnalava 2,8 per cento).
Gli stati più interessanti da analizzare sono l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Sono esportatori di petrolio ma hanno anche attratto investimenti diretti dall’estero. L’Arabia Saudita ha attratto investitori esteri (ide) per 7,9 miliardi di dollari nel 2022 mentre gli Emirati Arabi Uniti segnano un ide di 23 miliardi di dollari nel 2022, più del triplo dell’Arabia Saudita che è il loro paese competitore. Gli Emirati Arabi Uniti, nell’arco di cinquant’anni, si è imposta come una delle economie più sviluppate del Medio Oriente. Il suo tasso di crescita in termini di PIL è dell’8,7%.
A CHE SERVE UNA VALUTA ALTERNATIVA
Sostanzialmente il loro focus è quello di transare le materie prime con le loro valute invece che col dollaro. I leader dei BRICS hanno sottolineato durante il summit l’importanza di incoraggiare l’utilizzo delle valute locali nel commercio internazionale e nelle transazioni finanziarie, riducendo drasticamente il numero di transazioni in dollari o in euro. In estrema sintesi, promuovono lo scambio delle merci all’interno del blocco utilizzando valute locali – in realtà utilizzando principalmente la valuta cinese – tagliando fuori le valute degli occidentali. Questo, ovviamente, avrà un impatto sulla valutazione del dollaro e anche sui titoli di stato in valuta USA.
Quindi non si è parlato di una valuta BRICS con sottostante oro, ma di promuovere gli scambi commerciali con le valute locali. L’obiettivo è quello di ridurre i costi di transazione, limitare i rischi derivanti dalle sanzioni occidentali e sostenere le economie locali. Questa strategia è determinante e già realizzata giacché l’India, a cavallo tra la fine di agosto e i primi di settembre ha notificato l’acquisto di un milione di barili di petrolio – dalla Abu Dhabi National Oil – sottoscrivendo un contratto di acquisto in Rupia indiana.
Ma se da una parte si segnalano transazioni in dollari in calo, dall’altro lato notiamo una crescita di transazioni in valuta cinese, e questo non potrà che aumentare perché la Cina rappresenta più della metà del prodotto interno lordo di tutto il blocco BRICS+6. Avendo un peso economico così grande, è ovvio che pretenderà l’utilizzo della propria valuta
CHE EVOLUZIONE CI SI ASPETTA
Più che evoluzione un pericolo. La creazione di un cartello di materie prime sarà inevitabile. La nuova configurazione del blocco antagonista del G7 deterrà il 40% della produzione di petrolio e di gas, il 70% della produzione di carbone e, sul fronte dei metalli, produrranno l’80% del platinomondiale, il 70% di palladio, l’80% di alluminio e il 5% di rame.
Simili dati determinano l’ipotesi di una forza concreta per determinare il prezzo delle materie prime. Sicuramente il BRICS+6 diventa molto attraente. Per esempio, la Bosnia sta chiedendo l’ingresso al blocco BRICS e contestualmente l’ingresso nella UE, ma a parte il “gossip” sul tavolo del nuovo blocco ci sono venti avversi all’entrata facile nel blocco. L’India, per esempio, ha chiesto con determinazione una maggiore severità nelle valutazioni delle domande di nuove adesioni perché è inutile agganciare al carro paesi ai limiti della sopravvivenza a danno di una strategia di sviluppo geoeconomico concreta.
COME SI POSIZIONA LA UE IN QUESTO NUOVO CONTESTO
La Ue è il grande assente – come siamo abituati a vederla da vent’anni ormai – nella discussione sull’argomento. Non fa nulla per opporsi o per sostenere questo allargamento del blocco, aspetto assai bislacco specie in questo momento che la sua più grande economia – quella tedesca – sta coinvolgendo tutta l’Europa nella sua crisi. Resta comunque agli onori della cronaca che i BRICS non hanno alcuna intenzione di creare una moneta unica alternativa al dollaro, fondamentalmente perché già esiste e questo è il grande pericolo.