L’Istituto di scienze polari del Cnr ha analizzato i dati relativi all’inquinamento generato dalle microplastiche nelle acque dolci dei Poli e sull’altopiano del Tibet. I risultati mettono in evidenza una crescente diffusione di questi polimeri, e la conseguente creazione di microecosistemi artificiali basati sulla plastica
Una review dei ricercatori dell’Istituto di scienze polari del Cnr di Messina (Cnr-Isp) ha preso in esame i dati* relativi all’inquinamento causato da microplastiche nelle acque dolci dell’Artico, dell’Antartide e nell’altopiano in Tibet. Un habitat denominato ‘Terzo Polo’ che racchiude il 15% dei ghiacci di tutto il Pianeta.
Tale tipologia di inquinamento rappresenta oggi una minaccia a livello globale; anche in considerazione del grande aumento di produzione della plastica, passata da 1,5 milioni di tonnellate negli anni Cinquanta del secolo scorso ai 359 milioni di tonnellate nel 2018.
Microplastiche presenti nel ghiaccio
“Artide, Antartide, Altopiano del Tibet: abbiamo preso in considerazione tre ambienti molto distanti tra loro e accomunati dalla presenza di microplastiche nelle acque dolci, nei ghiacciai e nella neve. Con ogni probabilità trasportate in queste zone dagli uccelli e dal vento; o accumulate in conseguenza di attività antropiche, come il turismo e le attività di ricerca svolte nelle basi.
Ciò rappresenta una problematica notevole, visto che la loro presenza all’interno del ghiaccio può agevolarne lo scioglimento, oltre a determinare un pericolo per gli animali che vivono in quelle aree, dovuto all’eventuale ingestione, che può condizionare la catena alimentare di quegli ecosistemi”, dice Maurizio Azzaro, responsabile della sede Cnr-Isp di Messina e coautore della review.
L’attività dei microbi potrebbe mitigare l’inquinamento da microplastiche
Un aspetto particolare, emerso da questa analisi, riguarda l’attività dei microbi, che nelle zone glaciali risulta essere al contempo nociva e potenzialmente vantaggiosa per l’ambiente. Le microplastiche fungono da superfici sulle quali le comunità microbiche riescono a svilupparsi. Queste comunità modificano di fatto l’habitat e creano quella che gli scienziati hanno definito ‘plastisfera’, un ecosistema artificiale basato, per l’appunto, sulla plastica.
L’azione dei microbi può alterare la galleggiabilità e aumentare la tossicità dei polimeri plastici, ma allo stesso tempo ne accelera la degradazione, in virtù delle basse temperature. Pertanto, l’impiego di microbi potrebbe costituire una potenziale strada ecosostenibile per mitigare l’inquinamento da microplastiche nelle aree fredde della Terra”, prosegue il ricercatore del Cnr-Isp.
Incentivare la ricerca e il contrasto all’inquinamento da microplastica
I dati sull’inquinamento da microplastiche nelle acque dolci di queste aree risultano ancora limitati; a differenza degli studi sui mari costieri e sugli oceani.
“Il nostro lavoro ha messo in evidenza come anche i metalli pesanti (quali rame, piombo e nichel) tendano a legarsi alle microplastiche in acqua, rappresentando un ulteriore problema ambientale. Riteniamo che in questo settore vadano incentivate ulteriori attività di ricerca e che il monitoraggio e il contrasto all’inquinamento da microplastica, soprattutto in zone così fragili a livello ambientale, debbano essere considerati tra le priorità dei decisori politici per il prossimo decennio”, conclude Azzaro.
*La ricerca è pubblicata sulla rivista Science of the Total Environment