Per capire dove un Governo vuole andare è sempre necessario dare uno sguardo al Def. Questo documento fa parte della prima fase di programmazione finanziaria dello Stato
di Luca Lippi
Il Documento di Economia e Finanza è lo strumento per avviare il confronto tra uno Stato Membro e la Commissione Europea verso la contrattazione per la manovra finanziaria. Deve essere affiancato dal programma di stabilità -piano nazionale di riforma – e, su questo, il Consiglio dell’UE esprime le raccomandazioni. Considerato questo iter (è un dialogo che spesso dura tutta l’estate) entro il 27 settembre si compie la NADEF e da qui si inizia al processo di approvazione del Bilancio dello Stato.
Tutto si conclude il 20 ottobre con la presentazione del disegno della Legge di Bilancio. Segue l’approvazione della Legge di bilancio da parte del Parlamento entro il 31 dicembre e la presentazione dei disegni di legge collegati alla manovra (di bilancio), entro il 31 gennaio.
Analisi tecnica del DEF
Il documento è composto di tre sezioni più allegati. È necessario analizzare la sezione numero 1 che rappresenta l’ossatura del DEF. Nella prefazione del documento leggiamo subito che il “quadro economico resta incerto e non privo di rischi”, si mettono subito le mani avanti.
Si riconosce implicitamente quanto fatto dai governi precedenti in termini di tenuta dei conti; nonostante la pandemia e la guerra in corso, il tutto documentato da una serie di dati positivi. Il testo di riferimento si trova qui.
Il quadro complessivo, nonostante l’incertezza, si esplicita tendenzialmente in positivo. Segue una serie di analisi dei dati macroeconomici e soprattutto un elenco dei provvedimenti. Tenuti a ristabilire un ordine necessario e sufficiente a una ripresa strutturale e costante dell’Economia interna.
È fuori di dubbio che, al netto del programma di riforme in agenda del Governo attuale, i provvedimenti più incalzanti sono quelli relativi al rilancio occupazionale, segue il taglio netto delle prebende e degli incentivi e chiude col recupero dell’evasione fiscale. Spicca su tutti il primo che necessita di riforme strutturali impattanti che coinvolgano settori che vanno dall’istruzione, la riqualificazione del sistema retributivo e, soprattutto, il rilancio del sistema produttivo attraverso riforme adeguate a promuovere la libera impresa – vero e unico motore produttivo in grado di sostenere i “garantiti” e gli “assistiti” -.
Def 2023: una manovra recessiva?
Tutto questo richiede diversi anni. Durante questo tempo bisogna tamponare la dispersione di risorse conseguente alla scarsa tempestività di riformare il settore industriale. Soprattutto, ridurre drasticamente (ma gradualmente) la pioggia di benefici senza ritorno economico a carico della collettività. Questi sommati all’inflazione e al rialzo dei tassi, hanno fatto leva negativa sulla capacità di spesa degli italiani. La conseguenza perniciosa di un mancato vero cambio di marcia ha prodotto nel tempo la cronicizzazione della sfiducia dei consumatori; oltre l’erosione di buona parte del risparmio – il vero e unico zoccolo duro su cui tentare di ancorare una ripresa consistente e veloce -.
Dal Documento leggiamo:
- Il deficit sarà ridotto a circa 16 miliardi di euro; con l’intenzione nel 2026 di tornare in surplus per 40 miliardi circa, al netto del pagamento degli interessi sul debito
- Nel 2022 sono stati pagati 84 miliardi di euro di interessi sul debito pubblico
- Quest’anno è prevista una spesa pari a 75 miliardi e nel 2026 si supereranno i 100 miliardi
- Il conto delle partite correnti nel 2022 è stato negativo, per la prima volta da anni, di 14 miliardi di euro a causa dei costi dell’energia
- L’aumento del costo degli interessi sui prestiti produrrà un aumento del costo per interessi sui prestiti privati – che sono già circa 100 miliardi di euro all’anno –
Detto a denti stretti, il DEF 2023 è una manovra, in prospettiva futura, recessiva. L’aumento del debito pubblico comporterebbe i ricatti dei mercati finanziari, della BCE e della Commissione Europea sul debito da rifinanziare. L’obiettivo di evitare tale aumento nel breve costringe ad adottare solo politiche di austerity.
L’errore di fondo
I parametri fondamentali dell’Economia (PIL, consumi, investimenti, occupazione, reddito…) sono influenzati dalla quantità e dalla velocità di moneta in circolazione. Questo non è ignorato dagli economisti, ma nel tempo l’assioma ha perso vigore a causa dell’aumento della disoccupazione. Se non si stabilizza il tasso di disoccupazione il più possibile vicino allo zero, la quantità e la velocità di circolazione della moneta produce effetti solo sull’aumento dei prezzi. L’unica soluzione è quella di aumentare investimenti produttivi: automazione; informatica; creazione di nuove figure professionali. In questo modo, il sacrificio economico della collettività si trasforma in aumento di consumi e di PIL, ma soprattutto aumenta l’occupazione e il reddito di tutti.
Il ragionamento è talmente elementare che si fatica a comprendere il perché tutto questo non accada. La risposta è altrettanto elementare: l’Italia ha i piedi legati da un debito enorme, e non sarebbe neanche questo il problema, ma lo diventa se il debito è in mano ai mercati finanziari che costringono i governi ad applicare politiche di austerity. Le politiche di austerity innescano un circuito vizioso che partendo dalla necessità di ridurre l’indebitamento, procurano la contrazione di consumi che genera minore gettito fiscale peggiorando il rapporto Debito/PIL.
Su cosa lavorare
In Italia il risparmio è calcolato in circa 5000 miliardi di Euro. Di tutta questa massa, solamente 200 miliardi sono investiti in titoli di stato. Nell’immediato si dovrebbe approntare una massiccia campagna di sensibilizzazione volta a rivalutare la sottoscrizione di titoli di stato, affiancata da una consistente offerta di strumenti finanziari garantiti dallo Stato, facili da comprendere e assolutamente privi di rischio, soprattutto al riparo dalla speculazione dei Mercati. Titoli facilmente trasferibili, ad alleggerire il vincolo di scadenza, con tassi certi e senza spese, snelli sufficientemente per essere messi in circolazione nell’economia reale producendo immediatamente crescita economica. In questo modo lo Stato avrebbe finalmente le mani libere dal ricatto dei mercati finanziari per attuare politiche espansive. Non è fantascienza.