di Luca Lippi
Il costo dei carburanti alla pompa ha ripreso una modesta corsa al rialzo. Questo è dovuto al fatto che ormai da settimane si parla della decisione da parte dell’OPEC di tagliare la produzione di petrolio dal primo maggio, nella misura di un milione di barili al giorno per tutto il 2023. L’allarme, soprattutto negli Stati Uniti, ha alzato il livello di attenzione in relazione alla guerra all’inflazione delle banche centrali. La strategia di riduzione della produzione di barili è dell’OPEC+ che è una realtà alternativa all’OPEC per come comunemente noto.
OPEC E OPEC+
L’opec è l’organizzazione dei paesi petroliferi che producono e forniscono il mondo di petrolio, nata nel 1960 dall’unione di Arabia Saudita, Venezuela, Kuwait, Iran e Iraq, attualmente conta 16 membri. Parallelamente è nata, nel tempo, un’altra organizzazione di Paesi produttori di petrolio – l’OPEC+ – che non include nessuno dei Paesi facenti parte dell’organizzazione più nota. Dal 2016 l’Opec+ conta ventitré Paesi e quello col peso maggiore è la Russia, da tenere presente che attualmente domina il commercio globale del petrolio.
La decisione dell Opec di tagliare la produzione
Dietro questa scelta potrebbero celarsi diverse ragioni facilmente intuibili. La prima ragione è quella – terra terra – di ridurre la produzione per fare aumentare la domanda in modo da provocare l’aumento dei prezzi e aumentare i margini di profitto.
Non si deve sottovalutare che nelle ultime settimane il prezzo del greggio ha subito una forte contrazione – avvicinandosi pericolosamente alla soglia di 70 USD al barile – conseguentemente alla crisi bancaria innescata dal fallimento del SVB e Signature Bank, ma anche da una elevata offerta di petrolio a livello globale.
Altrettanto rilevante il fatto che la Russia – per motivi noti – ha bisogno di molti soldi per raggiungere i suoi obiettivi militari. Aumentare i profitti attraverso l’aumento del costo del greggio è, ovviamente, la strada più veloce e semplice da percorrere.
Altro motivo, potrebbe essere la valutazione, da parte dei Paesi aderenti all’OPEC+, di una probabile china recessiva da parte di Usa e Europa. La diminuzione di domanda delle materie prime potrebbe avere indotto i Paesi produttori al taglio della produzione di barili, per evitare di trovarsi un surplus di forniture che non verrebbero consumate; facendo crollare la quotazione dell’oro nero.
Impatto economico
Tuttavia, se è vero, come è vero, che il taglio della produzione di barili di petrolio porta un vantaggio per i Paesi produttori, è altrettanto vero che una variazione di prezzi importante di una materia prima così fondamentale potrebbe causare squilibri impattanti nell’economia globale. Se il prezzo del petrolio arrivasse velocemente a raggiungere l’obiettivo di 100 USD al barile, immediatamente andrebbe in crisi tutta la strategia dell’aumento dei tassi di interesse per contrastare l’inflazione.
Il rialzo dei tassi ha provocato una crisi bancaria; quando i tassi aumentano così velocemente, altrettanto velocemente si svalutano le risorse nella pancia delle banche. Il problema è la corsa dei depositanti a togliere i propri risparmi per paura di perdere sui loro investimenti privati. La banca per fare fronte alle richieste dovrà liquidare i suoi assets in perdita rischiando il fallimento.
L’alto prezzo del barile di petrolio costringerebbe le banche centrali a tenere tassi alti più a lungo se non aumentarli ulteriormente, innescando ulteriori contraccolpi per il sistema bancario.
La stagflazione potrebbe essere l’altro rischio, ma l’esercizio di produrre supposizioni, porta inevitabilmente a fare emergere anche rischi maggiori. Lato consumatore, a parte l’ulteriore aumento dei prezzi al consumo, il pieno di carburante non subirà eccessive variazioni. Questo è possibile ipotizzarlo con certezza perché la quotazione dell’aumento del greggio impatta su un quarto del prezzo finale che si paga alla pompa, la componente che ha il peso maggiore rimane quella fiscale e di sicuro nessuno ha intenzione di ridurla al momento.
La soluzione deve passare attraverso altri canali
L’obiettivo di questa strategia è da ricercare più nel braccio di ferro tra Putin e Biden. E’ ovvio che la Russia voglia colpire il nemico storico sul punto di debolezza che è la tenuta del sistema bancario in crisi. Pensare che tutto questo possa durare a lungo non trova alcuna giustificazione. Mantenere il prezzo del greggio a livelli competitivi agevolerebbe la ripresa economica e, quindi, la ripresa dei consumi. Poiché non è un problema di esaurimento delle riserve, i Paesi produttori guadagnerebbero molto più dall’aumento della domanda della materia prima che dal crollo delle economie consumatrici. La soluzione deve passare attraverso altri canali.