Pregiudizi e “misconceptions” su una patologia tuttora incurabile, la malattia di Parkinson. Ne soffrono circa 250.000 italiani
L’11 aprile ricorre la giornata mondiale del Parkinson. Per questo, la Società Internazionale del Parkinson e Disordini del Movimento punta ad aumentare attenzione e consapevolezza su questa patologia. Sebbene questa malattia neurodegenerativa colpisca da 7 a 10 milioni di persone in tutto il mondo, ci sono ancora pregiudizi e misconceptions.
Falsi miti e pregiudizi sul Parkinson
1. Il Parkinson è “solo” un disordine del movimento
Uno degli elementi che caratterizzano il Parkinson sono i tremori, tuttavia esistono anche sintomi non motori. La patologia può avere inoltre un impatto devastante anche sul piano psicologico: disturbi del sonno, depressione e decadimento cognitivo.
2. Le persone affette da Parkinson non possono continuare a lavorare
Grazie alla progressione sostanzialmente “lenta” della malattia e alla maggiore efficacia dei trattamenti farmacologici, molti pazienti affetti da Parkinson possono continuare a lavorare adottando le adeguate misure e terapie.
3. Le persone affette da Parkinson non possono praticare sport e attività fisica
Non c’è alcuna regola generale che stabilisca che i pazienti affetti da Parkinson non possono svolgere attività fisica ed essere attivi – E’ invece accertato che il movimento e lo sport sono fondamentali per mantenere la funzione motoria e, in genere, lo stato di benessere dei pazienti.
Uno studio del gennaio 2023 ha evidenziato che gli esercizi aerobici hanno portato ad un aumento della connettività funzionale e del controllo delle funzioni cognitive; questi esercizi hanno ridotto l’atrofia cerebrale globale.
4. Le persone affette da Parkinson non possono guidare l’auto
La natura progressiva della malattia potrebbe aver causato per molte persone la rinuncia alla guida. Tuttavia, per la progressione della lenta della patologia, molte di loro possono continuare a guidare con l’aiuto di attrezzature adattive, farmaci e controlli regolari.
5. Le terapie farmacologiche sono le uniche in grado di curare efficacemente il Parkinson
Fermo restando che questa patologia viene tuttora considerata “incurabile”, esistono terapie e trattamenti consolidati destinati a controllare e ridurre i sintomi. Fra queste, specifiche terapie farmacologiche, sport adeguati e, laddove opportuni, interventi chirurgici minimamente invasivi quali la neurostimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation – DBS).
Parkinson, una malattia incurabile nei “disordini del movimento”
In termini clinici, la malattia di Parkinson fa parte di un gruppo di patologie definite “Disordini del Movimento”, è presente in tutto il mondo e colpisce tutti i gruppi etnici.
La sua insorgenza va ricondotta alla progressiva morte dei neuroni situati nella “sostanza nera”, una piccola area del cervello che, attraverso la dopamina, controlla i movimenti del corpo. La perdita di oltre il 60% di queste cellule genera la patologia che si manifesta, di norma, con sintomi quali tremori involontari; rigidità muscolare che rende difficili o impossibili molti movimenti; bradicinesia, ovvero il rallentamento progressivo delle attività motorie; acinesia, cioè difficoltà ad iniziare un movimento; instabilità posturale e conseguente perdita dell’equilibrio; congelamento dell’andatura, noto come “freezing of gait”, situazione improvvisa e transitoria (dura pochi secondi) nella quale il paziente è incapace di iniziare o proseguire qualsiasi movimento.
Ai sintomi che riguardano l’area motoria se ne associano anche altri, non sempre identificati, quali postura curva, voce flebile, difficoltà di deglutizione, stipsi, disturbi urinari, pressione arteriosa.
La malattia di Parkinson è tuttora ritenuta incurabile: il fine è migliorare i sintomi
La malattia di Parkinson è tuttora ritenuta incurabile e affrontata con un insieme di strumenti finalizzati a migliorare i sintomi: monitoraggio, trattamenti farmacologici, interventi chirurgici, supporti psico-sociali, esercizio fisico, dieta bilanciata possono aiutare a convivere con la malattia. Le terapie farmacologiche puntano sul mix di farmaci destinati a controllare o migliorare i sintomi anche per lunghi periodi. Il farmaco maggiormente prescritto è la levodopa (L-DOPA, precursore della dopamina), non sempre facilmente reperibile ma che può migliorare la sintomatologia parkinsoniana per un periodo oscillante fra 2 e 10 anni; a questo si possono aggiungere gli inibitori delle monoamino ossidasi B (MAO-B); gli anticolinergici per il controllo del tremore; l’amantadina impiegata nelle forme iniziali oppure, ancora, gli enzimi deputati a degradare la levodopa e che vengono impiegati per renderla più tollerabile.
La neurochirurgia funzionale nella malattia di Parkinson
È però sul fronte della “neurochirurgia funzionale” che la scienza ha fatto i passi più significativi. Questo ramo della chirurgia si propone infatti di identificare un “bersaglio” nel cervello, un centro nervoso ritenuto responsabile dei sintomi, e di raggiungerlo mediante strumenti in grado di modificarne l’attività modulandone il funzionamento e ottenendo, così, un miglioramento complessivo dello stato clinico del paziente.
Fra gli interventi più innovativi va segnalata la Stimolazione Cerebrale Profonda (Deep Brain Stimulation-DBS), oggi la procedura chirurgica più avanzata per ridurre i sintomi legati ai disturbi del movimento (Parkinson, Distonia, Tremore Essenziale). La DBS prevede l’introduzione nel cervello di un piccolissimo elettrodo, collegato a un generatore d’impulsi impiantato sottocute. Gli impulsi elettrici arrivano a stimolare la specifica area del cervello e favoriscono una migliore trasmissione dei segnali dal cervello all’intero organismo, riducendo buona parte dei sintomi.