I “buoni” propositi elettorali cozzano spesso con le risorse. Ora che le urne sono alle spalle, è tempo di confrontarsi con esigenze e disponibilità reali
di Marco Margarita
Fatalmente durante la campagna elettorale ed in particolar modo all’approssimarsi delle consultazioni, diventa di imminente attualità la necessità di porre mano alla materia tributaria, in particolare la necessità di ridurre la pressione fiscale. Questa analisi prescinde dal colore politico delle forze che propongono questa o quella ricetta magica, ma mira ad esaminare quelle più ricorrenti e ad appurarne la concreta fattibilità. Va da subito sgombrato il campo da due equivoci storicamente ricorrenti, e mi riferisco alla tassazione in capo al lavoratore dipendente e all’onere complessivo del costo di ogni lavoratore in capo al datore di lavoro.
Troppo spesso vengono proposte magiche ricette dove non è chiaro comprendere se il vantaggio ipotizzato sia per il lavoratore, e quindi per ridurre il gap tra retribuzione lorda e retribuzione netta, oppure per il datore di lavoro e quindi la modifica mira ad incentivare l’assunzione di dipendenti, riducendo l’onere complessivo per l’impresa. A ben vedere si tratta di due obiettivi diametralmente opposti: da un lato si tende a privilegiare la tasca del lavoratore dipendente, alleggerendo quindi gli oneri fiscali a suo carico, dall’altra si ha quale obiettivo finale l’alleggerimento del costo del lavoro per l’impresa con auspicabile crescita della stessa ed altrettanto auspicabile riduzione della disoccupazione.
Snellire la macchina del fisco
Un altro classico tema in campagna elettorale è quello di una tassazione proporzionale, cosiddetta flat-tax, di cui parleremo più avanti, nonché quello degli oneri deducibili e detraibili. Sorvoliamo sulla commistione che viene sistematicamente effettuata tra oneri deducibili e oneri detraibili, commistione di non poco conto, giacché i primi hanno l’effetto di ridurre la base imponibile su cui poi sarà calcolata l’Irpef, mentre i secondi hanno un impatto diretto sull’imposta lorda già calcolata, che diviene netta dopo lo scomputo dei predetti oneri. Vanno scartate senza ombra di dubbio quelle soluzioni che tendono a ipotizzare sistemi di deducibilità e detraibilità dove ogni singolo cittadino sarà chiamato a gestire quantità importanti di documentazione contabile e fiscale: si è ben compreso che la macchina del fisco oltre a puntare su una dematerializzazione dovrà essere di facile attuazione e snellita del corollario di norme che l’accompagnano.
La valutazione non può prescindere dall’analisi congiunta di almeno tre elementi essenziali: l’obiettivo che si vuole raggiungere in termini percentuali o assoluti, la storica presenza di un debito pubblico che non consente ulteriori margini di scostamento, l’effetto della manovra sulla “reale” emersione dei tributi evasi. L’aggettivo reale non rappresenta né un rafforzativo né un vezzo dialettico, ma vuole sgombrare il campo da uno storico equivoco che accompagna ogni riflessione attinente l’accertamento dei tributi evasi. Se infatti i numeri che emergono nelle conferenze stampa di fine anno di fonte Guardia di Finanza o Agenzia delle Entrate potrebbero essere incoraggianti da un punto di vista di valori accertati, gli stessi solo in casi del tutto marginali si traducono poi in reali ulteriori entrate per le casse dello Stato. Ciò significa che ipotizzare degli interventi normativi aventi quale scopo ultimo quello di disincentivare l’evasione, o quanto meno di ridurla, è un obiettivo del tutto nobile ma che non può prescindere dal monetizzare in termini concreti e reali le maggiori entrate per lo Stato in termini di emersione dell’evaso e/o eluso.
La tassazione proporzionale, o flat-tax
Fatta questa ampia e dovuta premessa, le proposte che attengono a una tassazione proporzionale, flat tax all’aliquota che andrà determinata, non sono da considerarsi fallimentari tout-court, ma andranno ipotizzate nell’ambito di modelli aventi quale scopo ultimo quello di determinare quanto un’aliquota fiscale agevolata sarà così incentivante al punto che tutti i redditi che emergeranno a fronte di detta agevolazione dovranno essere tali da coprire da un lato la minor tassazione per i redditi più alti che beneficeranno della riduzione, dall’altro raggiungere l’obiettivo indicato nella Legge di Bilancio nell’ambito delle entrate erariali.
Vi sono dei precedenti che lasciano ben sperare; basti pensare, nei casi previsti dalla Legge, alla cedolare secca sulle locazioni degli immobili ad uso abitativo. Tutti i riscontri effettuati dopo l’avvento di questa forma speciale di tassazione hanno fornito risultati di tutto riguardo, giacchè sembrerebbero ormai ridotte a casi limite le ipotesi di locazione in assenza di contratti regolarmente registrati. Andrà evidentemente realizzata una sorta di sperimentazione, in quanto l’introduzione globale della nuova tassazione, laddove l’auspicato sommerso non dovesse emergere, comporterebbe un disavanzo insostenibile per le casse erariali.
Quando si parla di evasione fiscale, bisogna fare attenzione a non confondere le somme accertate con quelle incassate
Non ci si può esimere dall’evidenziare un aspetto di notevole rilievo. Il nostro sistema tributario, come opportunamente indicato nell’articolo 53 della Costituzione, è un sistema improntato alla progressività: ciò significa che all’aumentare del reddito la tassazione dovrà aumentare non in maniera proporzionale, ma progressiva, e quindi anche attraverso un aumento delle aliquote. Un’imposta sui redditi delle persone fisiche di tipo proporzionale si scontra quindi con il dettato costituzionale; andrà di conseguenza opportunamente analizzato se la presenza di una nuova modalità di tassazione di tipo proporzionale senza scaglioni di reddito e conseguentemente senza un aumento dell’aliquota, potrà essere tacciata di incostituzionalità.
E’ bene ricordare che il nostro sistema tributario, secondo una interpretazione consolidata dell’articolo 53, deve essere improntato nel suo insieme alla progressività e quindi non si esclude la presenza di tributi proporzionale, purtuttavia, laddove l’intervento riguarderà l’entrata erariale per eccellenza, ovvero l’Irpef. Ci sono fondate ragioni per ritenere che tale riforma andrà a stridere con l’obiettivo del legislatore costituzionale.
Orbene, è pacifico che la dialettica della campagna elettorale possa sconfinare in ricette più o meno percorribili, quello che invece è auspicabile è che un Governo stabile, di qualunque colore esso sia, abbia tra le altre anche la priorità di effettuare una radicale riforma fiscale, se vogliamo anche impopolare, ma che abbia come fine ultimo quello di puntare a una, anche modesta, diminuzione del carico fiscale, semplificare l’attività dichiarativa e di autoliquidazione delle imposte, conseguentemente agevolare i controlli e da ultimo rendere efficace non solo l’accertamento ma l’introito dell’accertato. L’attuale sistema, salvo rare eccezioni, rappresenta un contesto quasi diametralmente opposto.
Il sistema attuale è supportato da una quantità innumerevole di norme che costringono a continue interpretazioni
Il sistema attuale infatti è complesso e supportato da una quantità innumerevole di norme, è soggetto a continue interpretazioni di prassi e di giurisprudenza, conseguentemente di difficile attuazione, presta il fianco a ipotesi evasive ed elusive e l’accertamento del non dichiarato e/o del non versato comporta una macchina imponente dedita ai controlli che spesso, troppo spesso accerta tributi che non saranno mai realmente incassati dall’erario e quindi a fronte dell’impiego imponente di uomini e mezzi il bilancio dello Stato non ne trarrà alcun beneficio reale, ma dovrà rifugiarsi in provvedimenti estemporanei, condoni, sanatorie, transazioni fiscali, rottamazioni, al solo fine di avere una reale liquidità.