Dal punto di vista clinico la Disfunzione Erettile è definita l’incapacità, ricorrente o costante, di raggiungere e/o mantenere un’erezione adeguata a un soddisfacente rapporto sessuale (National Institute of Health [NIH] Consensus Document). La patologia, prevalente dopo la prostatectomia, presenta vari stadi di complessità e gravità e, soprattutto nella fase iniziale, viene fronteggiata con terapie farmacologiche. In molti casi, però, la risposta ai trattamenti orali, o iniettivi con prostaglandine iniettate direttamente nel tessuto del pene, può essere inadeguata o, addirittura, assente. In questi casi, l’impianto di una Protesi Peniena può essere risolutivo per ripristinare la piena funzionalità dell’organo coinvolto e, quindi, l’erezione. E non è un caso che i Registri di Raccolta Dati disponibili su questa patologia (quello americano e quello italiano) segnalino come prima causa per il ricorso all’impianto protesico proprio la Disfunzione Erettile a seguito di asportazione del tumore alla prostata, un dato che, in Italia, riguarda oltre il 35% dei pazienti.
Il carcinoma prostatico è il più frequente nella popolazione maschile dei Paesi occidentali (36.000 nuovi casi ogni anno in Italia) e la chirurgia – con qualsiasi tecnica venga eseguita – è “penalizzata” da successiva Disfunzione Erettile nel 50% dei casi. Tecnicamente, l’intervento prevede l’inserimento di due piccoli cilindri nei corpi cavernosi, cioè le due camere di erezione del pene, per fornire all’organo la rigidità sufficiente a una corretta penetrazione. Due i tipi di cilindri impiantabili: quelli di consistenza costante, cioè protesi semirigide, oppure di consistenza variabile, cioè protesi idrauliche. In particolare queste ultime consentono una erezione virtualmente non difforme da quella naturale, con la medesima sensibilità e capacità di eiaculazione precedenti l’intervento, e con immutata funzione urinaria. Con la protesi idraulica, l’erezione viene indotta azionando manualmente un piccolo dispositivo di controllo collocato sotto la cute dello scroto, ricordando – comunque – che tutti i componenti della protesi non sono visibili dall’esterno, un aspetto fondamentale per l’accettazione e la rassicurazione dei pazienti. Per la riconosciuta efficacia clinica, le protesi peniene sono indicate anche dalle Linee Guida europee sia per pazienti non rispondenti ad altri trattamenti, sia per chi cerchi una soluzione terapeutica definitiva a gravi problema di natura sessuale. Per questo, un accesso più agevole alle nuove soluzioni biomedicali è un obiettivo che la sanità moderna deve perseguire e che gli specialisti andrologi da tempo sollecitano, per dare ai pazienti cure più efficaci e risolutive.
Commentando il contesto sanitario attuale, il dottor Pescatori ricorda infatti che “l’accesso agli impianti protesici nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale non è, purtroppo, agevole per tutti i pazienti – La protesi peniena è una prestazione prevista dalla Sanità pubblica, ma il sistema dei DRG (le procedure di classificazione e finanziamento dell’attività ospedaliera) prevede rimborsi che risultano inadeguati. Contrariamente a quanto consolidato sul fronte femminile (da tempo è prevista la rimborsabilità delle protesi mammarie a seguito di una mastectomia), le protesi peniene dopo una chirurgia radicale pelvica non sono ancora inserite nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e sono gestite in modo difforme dalle varie Regioni. Da qui, la presenza di pochi Centri specializzati e la scarsa diffusione di questa soluzione, nonostante ne siano ampiamente riconosciute l’efficacia terapeutica e il carattere di intervento non “estetico” ma destinato ad affrontare aspetti fondamentali della salute psicofisica di migliaia di uomini, di ogni età”.