Acismom: pronti con cure specialistiche efficaci
di Annachiara Albanese
Secondo un’indagine pubblicata sulla rivista Jama Network Open, più della metà dei guariti dal Covid, 236 milioni di persone in tutto, sviluppa sintomi a lungo termine, che persistono anche fino a sei mesi dalla guarigione. Lo studio è stato condotto nel Penn State College of Medicine e i ricercatori lanciano l’allarme ai governi.
Gli studiosi che hanno lavorato all’indagine sottolineano infatti che in un futuro prossimo i sistemi sanitari dovranno far fronte a un’ondata di malati Long Covid da gestire per sintomi fisici e psicologici. Oltre 250mila guariti esaminati, gli esperti hanno esaminato i dati di decine di studi realizzati in tutto il mondo, riguardanti un totale di 250.351 tra adulti e bambini non vaccinati che hanno contratto il Covid tra dicembre 2019 e marzo 2021.
Il 79% del campione è stato ricoverato in ospedale e la maggior parte dei pazienti, età media 54 anni, vive in Paesi ricchi.
“L’ospedale è impegnato da mesi per affrontare che questa nuova patologia – sottolinea Anna Paola Santaroni, direttore generale dell’ospedale San Giovanni Battista Acismom (Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta) – tutti inostri operatori sono impegnati da tempo per curare questa malattia che si sviluppa si tre livelli: psicologico, cardiovascolare e a livello motorio. I pazienti che vengono da noi sono in aumento e gran parte di essi ci chiedono di essere seguiti anche con l’ippoterapia, una delle terapie che sta ottenendo degli ottimi risultati e che grazie ai nostri sforzi possiamo esercitare direttamene nel maneggio nella parte esterna dell’ospedale”. Sta quindi emergendo con una rilevanza sempre più evidente che la malattia non si esaurisce con la risoluzione dell’infezione, concludono gli autori, sottolineando che il vaccino è al momento l’arma principale a disposizione contro l’infezione e quindi anche contro il Long Covid.
All’Ospedale romano San Giovanni Battista, dell’Ordine di Malta, c’è l’ippoterapia per riabilitare i pazienti più segnati dal Covid
Polvere, sabbia, caldo, non importa adesso nemmeno più che il coronavirus abbia fatto loro quasi sfiorare la morte. Si riabilitano anche in questo maneggio dove non te l’aspetti, dentro l’Ospedale San Giovanni Battista, che è dell’Ordine di Malta, Magliana, periferia sud capitolina. «Ho preso il Covid in maniera grave a metà dello scorso settembre, pur essendo quasi un negazionista», racconta Piero Pavia, che la riabilitazione l’ha appena finita: «Sono stato ricoverato allo Spallanzani in rianimazione, intubato, praticamente in coma per quindici giorni, oltre ad altri due mesi di ospedale e al mese successivo fatto qui ai Cavalieri di Malta», con doppia polmonite interstiziale. Muoveva assai poco la sua parte destra e per niente il piede.
Piero non era mai salito su un cavallo, qui ha scoperto che è «un animale meraviglioso. Ci si entra in simbiosi – spiega –. E si capisce che ti aiuta nella tua riabilitazione fisica e non solo, mi ha aiutato anche psicologicamente. Perché capisci che sta lavorando per te, lo percepisci proprio, che se necessario si ferma, rispetta i tuoi tempi, t’aspetta…». Non è ancora fuori del tutto, Piero, dalle conseguenze dell’incubo Covid, però «già avere recuperato fisicamente per me è una grande vittoria contro un mostro così brutto».
La terapia con il cavallo, oltre a quella tradizionale, qui serve a riabilitare i pazienti neurologici e da un anno anche quelli post Covid. «La prima parte del lavoro è a terra, ad esempio spazzolando il cavallo – spiega Giorgia De Santis, infermiera –, poi prosegue con la messa in sella». Lavoro che «serve a livello motorio e psicologico, per la fiducia in sé stessi e negli altri». E alla fine di ogni incontro, prima d’andar via, il paziente dà uno zuccherino al cavallo. Che non lo rifiuta mai…
Già, ma come fa un cavallo a innescare tutto questo? Sembra strano eppure non lo è. Valentina Zinicola, fisioterapista dell’Associazione onlus monsignor Azelio Manzetti, alla quale è affidata l’ippoterapia al San Giovanni Battista, lo racconta ancora emozionandosi: «Seguivamo una donna ormai terminale con una grande passione per i cavalli. Abbiamo deciso di tentare il trattamento con l’ippoterapia e la risposta è stata spettacolare, neanche noi ce l’aspettavamo. Subito, la prima volta che la cavalla incontrò questa donna, la annusò, e da quel momento si mise a sua disposizione, lasciandosi accarezzare, restando completamente ferma, senza neppure scacciarsi le mosche». Anche Valentina è certa: «Questa terapia porta davvero grandi benefici, è una cosa meravigliosa».
Se Piero non era mai salito a cavallo, Barbara Pennese ne aveva proprio paura: «Mi ha aiutato molto. Ho superato la paura e mi ha aiutato anche psicologicamente». Oltre al coronavirus, «vengo da un momento difficile – continua –, è morto mio fratello, è morta mia mamma». La aiutano a montare e poi «sopra il cavallo mi sento libera, sento me stessa». Non è facile, per niente. Lo ripete la direttrice generale Anna Paola Santaroni: «Chi ha avuto il Covid ha vissuto un periodo buio della sua vita, lo so, l’ho avuto anch’io, e anch’io sono stata ricoverata».
NUMERI
Qui al San Giovanni Battista finora hanno riabilitato più di un centinaio di pazienti che avevano preso il coronavirus in forme gravi, una sessantina ha fatto la terapia assistita con i cavalli e «i risultati sono stati eccellenti», dice la direttrice Santaroni. Perché «viene fatta all’aria aperta – aggiunge Valentina Zinicola –, perché è in un ambiente demedicalizzato, perché il paziente si sente libero, prende coscienza di sé stesso, soprattutto poi riscopre un ruolo»: cioè, «dopo tanto tempo che è stato accudito, lui deve prendersi cura del cavallo». E tutto questo «ha un valore aggiunto nella riabilitazione», sottolinea Anna Paola Santaroni.Il San Giovanni Battista ha come consulenti gli infettivologi dello Spallanzani, «con i quali abbiamo un ottimo rapporto – spiega Anna Paola Santaroni –, da questo è nato il nostro desiderio d’aiutare in un momento così difficile come la pandemia».Un impegno che Santaroni racconta con orgoglio: «Questo ha aiutato la struttura dello Spallanzani, e soprattutto la società». Nel maneggio ci si diverte. I pazienti si affidano ai terapisti e ai cavalli, lavorano, giocano e stanno insieme: non sembra soltanto riabilitazione, o forse è davvero così, per tutti questi motivi, la migliore riabilitazione. Ci teneva troppo, la direttrice. Perché non s’è mai dimenticata: «All’inizio della pandemia sono stata ricoverata allo Spallanzani, e ho visto sia la disperazione del paziente, vivendola io in prima persona, sia la difficoltà dei medici anche a dimettere questi pazienti».