di Pietro Romano
Difendere la normalità con le unghie. E’ il motto-appello-diktat che parte da Palazzo Chigi. E la normalità sarebbe il nostro modello di vita: l’attuale nostro modello di vita. Un modello che non mi sembra normale proprio per niente.
In questo il premier Mario Draghi – e quanto mi spiace – sembra in sintonia con il suo predecessore, Giuseppe Conte. Il messaggio da inviare sarebbe invece, a nostro modestissimo parere, esattamente il contrario. Vale a dire: pare proprio che questo anormale modello di vita sia destinato a non finire per ora. E che l’emergenza – come pure lo stato di emergenza – sia destinata a continuare. Perché solo in nome dell’emergenza si può spiegare quanto amministrazioni centrali e amministrazioni periferiche dell’elefantiaco apparato pubblico vanno facendo, da ultimo in vista del Natale, di Capodanno, dell’Epifania. In continuità appunto con quanto viene deciso da marzo 2020.
Il problema non sono nemmeno le decisioni adottate. E’ che queste decisioni vengono adottate sempre in nome di messianiche certezze. L’Italia è il Paese che meglio ha resistito in Europa alla pandemia, è il messaggio palese. E quindi – è il messaggio sottaciuto – abbiamo la migliore classe dirigente d’Europa. Quello che dice, in nome di questi successi, va fatto senza commenti. Continuiamo sulla strada già sperimentata. Altrimenti si fa il tifo per madama morte.
Senonché i numeri, quando vengono interpretati a fine politico, perdono la loro neutralità. E fanno diventare anche la certezza di essere i primi della classe piuttosto autoreferenziale, non uno “storytelling” ma un “self-telling”. Di certo la strada per arrivare al nostro modello di vita attuale ha avuto in Europa degli epigoni e dei contestatori e non c’è certezza che sia stata quella giusta e quella pagata al miglior prezzo nel rapporto costi-benefici sociale, economico, sanitario.
Scrivo forse a caldo. E mi scuso dei lettori per mescolare pubblico e privato. Ma ieri due colleghi mi hanno detto di aver perso le mogli per un tumore diagnosticato troppo tardi causa rallentamenti delle visite mediche in epoca Covid. Va detto anche questo. Di fronte all’emergenza ci sono stati tanti sanitari eroici. Apprezzati ma non quanto meritassero. Di cui ci si dovrebbe ricordare più e più spesso. Ma si può dire lo stesso per tutta la categoria? Si saprà mai quanti invece avrebbero potuto continuare a lavorare non solo relativamente all’emergenza ma anche ad altre emergenze altrettanto se non più pericolose come appunto i tumori? E qualcuno calcolerà mai quanti pazienti sono stati ricoverati per un male, hanno contratto il virus e ne sono morti? Sui giornali britannici e francesi leggo di calcoli del genere, frutto anche di indagini (non giudiziarie, per carità) pubbliche. In Italia mi pare non scorgere nulla di tutto ciò. L’emergenza sta permettendo di mandare in cavalleria anche solo un dubbio sulla gestione degli ospedali – dove ogni anno, Covid a parte, secondo la Federazione degli infermieri professionali morirebbero circa 11mila persone per infezioni e antibiotico resistenza – e pare che stia mandando in cavalleria anche l’autentica strage di anziani nelle residenze loro riservate, pubbliche e private, probabilmente per incuria ma soprattutto per mancanza di protocolli scientifici adeguati. E si sa forse qualcosa dell’indagine aperta a Bergamo sulle prime battute dell’epidemia? Silenzio. E’ questa la nuova normalità? Fatta di silenzi e sussidi? Io la chiamerei normalità alla venezuelana. Forse mi sbaglio. Mi auguro di sbagliarmi. E prendo al volo l’occasione per ribadire che questa opinione è la mia personale e non coinvolga Ore 12 Sanità. Una opinione – temo – condivisa però da numerosissimi italiani. Perché ci sono dei numeri che nessuno può contestare. I dati demografici dimostrano che ci stiamo giocando il futuro. Che nel giro di qualche lustro l’Italia come l’abbiamo conosciuta non esisterà più. Entro fine anno saremo meno di 59 milioni. Gli italiani non fanno più figli. Nonostante la nostra classe dirigente, evidentemente hanno loro ragioni per non farle. Prima di tutto la fiducia nel futuro del nostro Paese. Ma in sostanza la macchina pubblica fa poco o niente per invertire questa tendenza. E in una situazione del genere per invertire la tendenza catastrofica ben vengano iniziative di privati. Tante stanno sorgendo, come “Impresa per la vita” di Donatella Possemato, ma di molte di più, di moltissime di più, abbiamo bisogno. Altrimenti saranno altrettante, meritorie ma impotenti, voci di “colui che grida nel deserto”.