FINALMENTE ARCHIVIATE LE ASTE DIFFUSE NELLA GDO
di Danilo Quinto
La questione alimentare è di vitale importanza per la vita sul pianeta. L’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) considera la produzione, la trasformazione e la distribuzione del cibo ai consumatori una sfida globale. L’obiettivo 2 dell’Agenda 2030 dell’Onu afferma: “E’ giunto il momento di riconsiderare come coltiviamo, condividiamo e consumiamo il cibo. E’ necessario un cambiamento profondo nel sistema mondiale agricolo e alimentare se vogliamo nutrire 795 milioni di persone che soffrono oggi la fame e gli altri due miliardi di persone che abiteranno il pianeta nel 2050. Il settore alimentare e quello agricolo offrono soluzioni chiave per lo sviluppo e sono vitali per l’eliminazione della fame e della povertà”.
Gli obiettivi di questa sfida globale sono: assicurare maggiore qualità ai cibi, ridurre gli sprechi, introdurre nuovi stili di vita e abitudini, garantire un’equa distribuzione delle risorse.
Nel mondo, l’equa distribuzione del cibo non è assicurata: si stimano 720 milioni di persone denutrite, l’89% in Paesi in via di sviluppo e l’11% in Paesi industrializzati. E’ una questione di giustizia sociale: riguarda il modo in cui le società umane regolano la gestione delle risorse, perché nel mondo viene prodotta una quantità cibo che servirebbe a sfamare ben più degli otto miliardi circa di abitanti.
Un ruolo decisivo nella distribuzione alimentare lo svolgono certamente i colossi della Grande distribuzione organizzata (Gdo), la cui concentrazione è aumentata in modo vertiginoso con il passare degli anni, raggiungendo dimensioni gigantesche. Le loro pratiche sleali – così come vengono definite – danneggiano in modo irrimediabile le piccole aziende, l’intera filiera economica e i consumatori, incidono in maniera significativa sugli illeciti, sul vergognoso fenomeno del caporalato e dello sfruttamento della manodopera, che in alcuni Paesi del mondo costituiscono una vera e propria piaga. Si pensi, a esempio, alla pratica del sottocosto o degli sconti selvaggi, che comporta una corsa al ribasso del prezzo, che danneggia alla base la filiera agricola e la qualità del cibo.
Secondo uno studio di Europe Economics, il costo delle pratiche sleali a carico dei fornitori europei vale tra i 30 i 40 miliardi di euro all’anno.
Il 4 novembre 2021, il Consiglio dei ministri – dopo che l’Italia ha rischiato una procedura d’infrazione, per non aver recepito entro il termine previsto, maggio 2021, la direttiva europea 633/2019 del Parlamento e del Consiglio Ue in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare – ha approvato il Decreto legislativo che la attua.
Secondo questa direttiva, nella filiera agricola e alimentare sono comuni squilibri considerevoli nel potere contrattuale tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari. È probabile che tali squilibri nel potere contrattuale comportino pratiche commerciali sleali nel momento in cui partner commerciali più grandi e potenti cerchino di imporre determinate pratiche o accordi contrattuali a proprio vantaggio relativamente a un’operazione di vendita. Tali pratiche possono, a esempio, discostarsi nettamente dalle buone pratiche commerciali, essere in contrasto con i principi di buona fede e correttezza ed essere imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte, imporre un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico da un partner commerciale alla sua controparte, imporre un significativo squilibrio di diritti e doveri a uno dei partner commerciali. Alcune pratiche potrebbero essere manifestatamente sleali anche quando entrambe le parti le accettano. È opportuno introdurre, nell’Unione, un livello minimo di tutela rispetto alle pratiche commerciali sleali per ridurne la frequenza, in quanto possono avere un effetto negativo sul tenore di vita della comunità agricola.
Il recepimento di questa direttiva ha comportato il divieto della vendita di prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche al doppio ribasso. Una pratica di acquisto a cui si ricorreva per assicurarsi in particolare la fornitura di passata di pomodoro, olio, legumi, conserve di verdura, caffè.
Come funzionava questo meccanismo? Il gruppo appartenente alla Gdo, via email, invitava a partecipare ad una prima convocazione dell’asta, chiedendo ai venditori di proporre un prezzo per un certo quantitativo importante di merce. Si raccoglievano le offerte e dopo qualche settimana il gruppo invitava gli stessi venditori a fare una seconda offerta, il cui prezzo di partenza era il prezzo più basso della prima asta. A partire da quel momento, il singolo venditore, dallo schermo del computer – perché il tutto avveniva su una piattaforma digitale – aveva pochissimo tempo per ribassare la propria offerta, mentre vedeva l’altro concorrente, a cui era garantito l’anonimato, che magari faceva un’offerta ancora più bassa. Così poteva continuare questo “gioco”, che molti definiscono perverso, nel quale i venditori continuavano ad abbassare i prezzi, pur di accaparrarsi l’offerta, svendendo il prodotto per cercare di rimanere sul mercato. Come diretta conseguenza il meccanismo produceva fenomeni di caporalato e sfruttamento della manodopera. L’asta per i pomodori, ad esempio, si svolgeva a primavera, quindi prima che il seme finisse nella terra, nell’assoluta imponderabilità rispetto all’andamento dell’annata, trasformandosi in un’attività solo speculativa. Non era obbligatorio partecipare all’asta, ma il problema risiedeva nel fatto che il prezzo determinato nell’asta diventava punto di riferimento dell’intero mercato. Chi, tra gli imprenditori, si opponeva al meccanismo delle aste a doppio ribasso e sceglieva di garantire un prezzo minimo, equo, agli agricoltori che vendono i prodotti, sapeva di dover condurre una vera e propria battaglia quotidiana. “È un risultato storico che aspettavamo da tempo e che dà ragione alla battaglia che portiamo avanti da anni: fermare le aste al doppio ribasso è un chiaro segnale alla Grande distribuzione organizzata – ha dichiarato Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra!, che per prima, sin dal 2016, ha denunciato, insieme a Stefano Liberti, il meccanismo delle aste – e restituisce dignità agli attori della filiera alimentare, a partire dagli agricoltori ai lavoratori agricoli. In questi anni le aste hanno costretto i produttori a competere selvaggiamente per assicurarsi il contratto con la catena di distribuzione, in una guerra che spinge i prezzi verso il basso e scarica i suoi effetti dannosi sugli ultimi anelli della filiera, cioè agricoltori e braccianti”.