Una valida organizzazione dei medici di medicina generale può rappresentare il primo step nella prevenzione delle malattie cardiovascolari
Il prof. Gabriele Pagliariccio, di recente nominato direttore della UOC Chirurgia Vascolare dell’ASL di Teramo, specializzato in Chirurgia Vascolare presso l’Università di Ancona, ha all’attivo l’esecuzione di circa 6.000 interventi di chirurgia vascolare maggiore e circa 600 di chirurgia vascolare minore.
Quale impatto ha avuto l’emergenza sanitaria sulla cura e sul trattamento ospedaliero dei pazienti con malattie cardiovascolari?
Le malattie cardiovascolari hanno una diffusione amplissima nella popolazione e rappresentano la prima causa di morte (oltre il 30% secondo OECD Health Statistics 2020). Dati ancora più drammatici se li interpretiamo alla luce del periodo in cui viviamo, che ci ha costretto a ridurre – e per un certo periodo a bloccare – tutte le prestazioni da erogare, sia nell’ambito diagnostico che terapeutico. Ma tutto quello che è stato soppresso per molti mesi contribuisce ad un danno sanitario enorme, che verrà pagato nei prossimi anni in termini di eventi vascolari: non aver individuato e trattato una stenosi carotidea significa che potremmo aspettarci che quel paziente arrivi prossimamente alla nostra attenzione con un evento ischemico cerebrale (TIA od ictus). Dal versante terapeutico, i trattamenti chirurgici ed endovascolari sono stati ovunque fortemente ridotti – quando non addirittura cancellati – durante il lockdown. Ma le malattie vascolari non aspettano e progrediscono spesso in modo drammatico: un aneurisma dell’aorta non trattato può portare a rottura dell’aorta ed alla morte del paziente in percentuali sino al 50% dei casi secondo le linee guida 2019 della Società Europea di Chirurgia Vascolare (ESVS). Oltre a questo, la drammaticità del periodo in cui stiamo vivendo è che il carico di morbilità̀ e mortalità̀ delle patologie non trattate in questo frangente storico rischia di lasciare sul campo più danni e vittime della stessa pandemia. Le conseguenze del primo lockdown le stanno pagando sulla loro pelle i pazienti con arteriopatia periferica (circa 200 milioni nel mondo, secondo le linee guida della Società Europea di Medicina Vascolare del 2019). Questi pazienti, non recatisi in ospedale durante il lockdown, stanno affollando i reparti della nostra disciplina con arti in cangrena da amputare, unicamente perché non trattati in precedenza con una semplice angioplastica od un bypass.
Che apporto può dare l’innovazione tecnologica nel suo campo di attività?
L’innovazione tecnologica ha comportato un formidabile cambiamento nella prognosi a breve e medio termine del trattamento delle patologie vascolari, sia arteriose che venose. In particolare, le metodiche endovascolari hanno comportato un netto miglioramento della prognosi a breve-medio termine dei pazienti sottoposti a trattamento di patologie aneurismatiche dell’aorta toraco-addominale e del segmento iliaco con percentuali di mortalità inferiori all’1% rispetto ad una mortalità ben più alta della chirurgia tradizionale secondo le recenti linee guida della ESVS.
Il reparto che dirige di quali innovazioni tecnologiche è dotato?
L’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Vascolare della ASL di Teramo è dotata delle migliori tecnologie, sia per quello che riguarda la diagnostica che per il trattamento delle patologie arteriose o venose. In particolare, nell’ambito della diagnostica sono a disposizione macchine per la diagnostica ultrasonografica di ultima generazione in grado di identificare tutte le più importanti patologie arteriose e venose degli arti superiori ed inferiori e del distretto toraco-addominale. Dal versante terapeutico è dotato – mediante arco a C situato nella sala operatoria dedicata – di tutta la più moderna tecnologia necessaria per il trattamento endovascolare della patologia aneurismatica dell’aorta toraco-addominale e per il trattamento della patologia ostruttiva degli arti inferiori e dei vasi epiaortici.
Che importanza ha la prevenzione rispetto alle malattie cardiovascolari?
E’ fortemente auspicabile, in quest’ambito, un coinvolgimento dei medici di medicina generale per una indispensabile correzione dei fattori di rischio cardiovascolare. In particolare, il miglioramento degli stili di vita – che possono comprendere un appropriato livello di attività fisica, un adeguato controllo ponderale, l’abolizione del fumo, l’abbattimento delle fonti di stress ed una corretta alimentazione – rappresentano i cardini della prevenzione cardiovascolare. Il secondo livello della prevenzione è a carico dei medici specialisti in medicina vascolare ed angiologia, che devono identificare le persone a rischio promuovendo un adeguato controllo, anche farmacologico, delle patologie cardiovascolari. In particolare, l’azione deve essere rivolta ad ottenere un controllo molto attento della pressione arteriosa sistemica, bassi valori di colesterolo LDL (inferiori a 55 mg/dl nei soggetti a rischio) ed uno stretto controllo della glicemia. Il raggiungimento degli obiettivi target appena menzionati (mediante norme igienico-comportamentali oppure in maniera farmacologica) permette di ridurre in modo significativo il rischio di sviluppo di patologie cardiovascolari e soprattutto di controllarne in modo efficace l’evolutività.
Che importanza possono avere i presidi sanitari territoriali e la telemedicina?
Sappiamo che nella moderna strutturazione sanitaria – e la recente pandemia lo ha ulteriormente dimostrato – l’organizzazione territoriale ha assunto un ruolo centrale nel garantire l’assistenza sanitaria alla popolazione (la cosiddetta primary health care) all’interno dell’articolazione del Sistema Sanitario Nazionale. Una valida organizzazione dei medici di medicina generale e dei servizi territoriali può rappresentare il primo cardine nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, andando ad identificarne i segni anamnestici e clinici per procedere ad azioni di prevenzione nell’ambito sociale e ad un tempestivo ed idoneo trattamento. In questo contesto, anche la telemedicina rappresenta un valido ausilio: il suo utilizzo è già stato contestualizzato in molte situazioni cliniche, sia per effettuare una diagnosi a distanza che per progettare i trattamenti più adeguati e viene correntemente utilizzata nell’assistenza sanitaria a supporto dei paesi in via di sviluppo. Già da molti anni io stesso partecipo ad un progetto di telemedicina con la Comunità di Sant’Egidio (Global Health Telemedicine).
Quali sviluppi ci sono sulla conoscenza e sulla ricerca delle malattie cardiovascolari?
La ricerca in ambito cardiovascolare si sta sviluppando oramai da diversi anni in vari settori, tra cui i più significativi sono l’ambito farmacologico e lo sviluppo di biotecnologie. In particolare, nell’ultimo decennio l’introduzione di una nuova generazione di anticoagulanti orali diretti (che agiscono direttamente sul fattore X della cascata coagulativa) ha permesso un più efficace trattamento, in termini di efficacia e sicurezza, della trombosi venosa profonda. Negli ultimi due anni, i trials clinici COMPASS e VOYAGER hanno permesso di estendere l’utilizzo di uno di questi farmaci – il rivaroxaban – anche ai pazienti con arteriopatia cronica obliterante degli arti inferiori, solitamente trattati con antiaggreganti, ottenendo in questo modo un percorso di cura più sicuro in termini di prevenzione dei maggiori eventi cardiovascolari. Nell’ambito delle biotecnologie molto si sta facendo nella ricerca di nuovi materiali per la sostituzione di segmenti arteriosi affetti da malattia steno-ostruttiva o dilatativa nel caso di assenza di materiale venoso autologo idoneo.
Che rapporto c’è tra le malattie cardiovascolari e quelle legate alla funzionalità del cervello?
Questo argomento rappresenta un interessante spunto di ricerca ed è stato oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche. Si sta ricercando il nesso fra la presenza di una stenosi carotidea ed un decadimento neurologico, in particolare cognitivo. Il nostro gruppo chirurgico, insieme ai neurologi del prof. Mauro Silvestrini, ha approfondito questo argomento con molteplici studi e pubblicazioni sulle più importanti riviste mondiali. In particolare, nel 2018, in uno studio pubblicato su Neurology – Neurocognitive functioning and cerebrovascular reactivity after carotid endarterectomy – abbiamo messo in correlazione, in una coorte di pazienti con stenosi carotidea sintomatica sottoposti a disostruzione chirurgica, il miglioramento della perfusione cerebrale, della reattività cerebro-vascolare e di conseguenza delle funzioni neurocognitive. Siamo quindi riusciti a correlare la perfusione cerebrale con le funzioni neurocognitive evidenziando il loro stretto rapporto. Ulteriori sviluppi si potranno presentare in quest’ambito quando si riuscirà a dimostrare la relazione fra un ipoafflusso cerebrale conseguente ad una stenosi carotidea asintomatica ed il decadimento cognitivo; con la certezza, quindi, che una risoluzione (chirurgica od endovascolare) della stenosi stessa possa portare ad un miglioramento del quadro cognitivo dei nostri pazienti.