di Katrin Bove
Non solo Coronavirus. Dalle tensioni commerciali tra Stati al nodo persistente dell’indebitamento globale e alla delicata gestione del post-Brexit, appunto senza dimenticare il Coronavirus che finora coinvolge l’Italia alla stregua di un Paese del “focolare” asiatico, non mancano gli ostacoli sulla strada dell’anno in corso. Che, pur non volendo ricorrere al vieto “anno bisesto, anno funesto”, non è certo partito con il piede giusto. A illustrare i maggiori pericoli economici globali per il 2020 è Sace Simest nella sua consueta analisi, giunta ormai alla 14esima edizione, contenuta nella Mappa dei Rischi 2020, un ‘Focus On’ dal titolo ‘Come navigare in un mare d’insidie’ sui profili di rischio di 200 mercati esteri.
Vecchi problemi in eredità
Le criticità economico-finanziarie e politico-sociali individuate sono più o meno quelle che avevano caratterizzato il panorama internazionale nell’anno appena concluso. Tali fattori, insieme alla debolezza del ciclo economico di diversi Paesi avanzati, rallentano l’attività economica globale – che ha messo a segno il ritmo di crescita più basso dell’ultimo decennio – e soprattutto il commercio internazionale.
I dazi tra Stati
Le elezioni presidenziali statunitensi del 2020 potrebbero spingere l’amministrazione guidata dal presidente Donald Trump a mosse a sorpresa, anche in chiave protezionistica, secondo il report. Per ora, la conferma della tregua tra Usa e Cina è simboleggiata dall’accordo siglato tra le parti il 15 gennaio scorso. Un passo in avanti che, però, da un lato non risolve i temi più spinosi rimandandoli a colloqui futuri, dall’altro non è soddisfacente in termini di riduzione dei dazi statunitensi verso la Cina (ancora, in media, del 19% circa). Peraltro, l’accordo fissa obiettivi ambiziosi – ancor di più alla luce dello scoppio dell’epidemia – soprattutto con riguardo agli acquisti di prodotti statunitensi da parte di Pechino. Il Paese del Dragone è stato il principale, ma non l’unico, obiettivo della politica protezionistica americana. A farne le spese è stata anche l’Unione europea a seguito del verdetto emesso dall’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) nell’ottobre scorso relativo al dossier Airbus-Boeing, che ha dato il via libera a 7,5 miliardi di dollari di dazi americani nei confronti dei Paesi europei. E anche l’Italia è stata colpita. Le misure hanno interessato esclusivamente beni dell’agro-alimentare che nel 2018 hanno generato circa 400 milioni di euro di vendite negli Usa
Brexit
A Londra, invece, la Brexit è realtà, ma nei prossimi mesi il Regno Unito dovrà trovare un accordo, non facile, con l’Ue per regolare le future relazioni commerciali. Dopo la vittoria alle urne di dicembre, il governo guidato dal conservatore Boris Johnson ha mantenuto la sua promessa elettorale: “Get Brexit Done“. L’accordo rinegoziato con Bruxelles dal primo ministro inglese nei mesi scorsi ha mitigato in parte le diffidenze che riguardavano il backstop, uno dei principali elementi di discussione, portando il Paese all’uscita dal blocco europeo il 31 gennaio scorso. Il Regno Unito è ora nella fase di transizione – ossia continua a seguire le norme e i regolamenti europei e a contribuire al suo bilancio – che è prevista terminare a fine 2020. Tale scadenza potrà essere prorogata di uno o due anni entro il 30 giugno 2020, stessa data in cui le parti dovranno aver concluso le trattative per l’intesa commerciale.
Indebitamento globale
Ha raggiunto i 253mila miliardi di dollari nel terzo trimestre del 2019 (+3,6% rispetto alla fine del 2018), con un peso pari al 322,4% del Prodotto interno lordo mondiale. Il debito detenuto dalle economie emergenti è inferiore a un terzo del totale ma nell’ultimo decennio si è registrata una forte espansione (+147%), accompagnata da un contestuale significativo aumento del peso sul Pil. In questo scenario, è legittimo attendersi che il Pil mondiale avanzi a un ritmo inferiore rispetto allo scorso anno. Importanti economie, sia avanzate (Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti), sia emergenti (Cina), sono infatti previste in rallentamento. Economie verso le quali è diretta la maggior parte dei prodotti Made in Italy. Alcuni segnali positivi giungono invece da economie in ripresa (tra le altre, Arabia Saudita, Brasile e Russia) e in espansione (Colombia, Filippine e Marocco).
Criteri d’indagine
La riproduzione dei rischi utilizzata da Sace Simest utilizza il livello di rischio del credito – ossia il rischio di incorrere in un mancato pagamento – per le imprese italiane che operano all’estero. A ciascun Paese è associato un punteggio da zero a cento (cento è il rischio minimo). Dei 199 Paesi analizzati dalla Mappa dei Rischi, in 67 diminuisce il livello di rischio, con l’Europa emergente e l’area ex sovietica che registrano progressi piuttosto diffusi (migliora circa la metà delle geografie dell’area) e l’Asia che osserva, in media, la riduzione più significativa del punteggio (con un calo medio di quasi cinque punti). A seguire, sono 89 i Paesi stabili e 43 quelli in peggioramento. Questi ultimi riguardano soprattutto le aree di Medio Oriente, Nord Africa e America Latina, dove il rischio di credito aumenta in circa un terzo delle geografie delle rispettive aree.
Rischi politici
Per cogliere la complessità dei rischi in cui le imprese internazionalizzate possono incorrere, Sace Simest elabora anche indicatori di “rischio politico”. Questi ultimi si muovono nello stesso intervallo dei rischi del credito (da zero a cento) e prevedono il rischio di guerra e di disordini civili (o violenza politica), l’esproprio e le violazioni contrattuali, le restrizioni al trasferimento e alla convertibilità valutari. Dei 199 Paesi analizzati, 53 migliorano – con l’Asia che vede migliorare circa il 50% delle geografie dell’area – 71 sono stabili e 75 in peggioramento. E di nuovo, in Medio Oriente, Nord Africa e America Latina si registrano le criticità maggiori con un aumento dei rischi politici in più della metà dei Paesi delle rispettive aree.