Contrastare le criptovalute, e i rischi che si portano dietro, l’imperativo categorico
di Ranieri Razzante
Mentre il mercato gonfia periodicamente le criptovalute, che come asset speculativi raggiungono record di quotazione e valori inusitati, la Banca centrale europea ha intrapreso seriamente il cammino verso la creazione di una moneta non fisica.Si badi bene, non una criptovaluta. Insieme a numerosi studiosi, e alla Bce stessa, ho più volte segnalato che le criptovalute non sono monete né valute, ma beni che vengono negoziati in un mercato “privato”, cioè ristretto a comunità di soggetti che le accettano in pagamento. Non hanno una Banca di emissione, una Autorità di vigilanza, un mercato di quotazione, una tracciabilità attendibile, delle regole di circolazione e di pagamento universalmente accettate. Queste caratteristiche, al contrario, le banconote e monete degli Stati le hanno, e ciò costituisce – non è mai troppo ribadirlo – il quid del denaro rispetto ai crypto-asset, altrimenti non staremmo nemmeno a parlarne. Lasciamo perdere, quindi, i non trascurabili, peraltro, problemi di sicurezza e tracciabilità delle transazioni; ne ha approfittato la criminalità organizzata, talvolta i terroristi, per riciclare denaro e ricchezza di provenienza illecita. Ciò non crea un pregiudizio verso quanto è “nuovo”, come si contesta a quanti segnalano questi pericoli, ma quelli sopra citati sono, per ora, dati oggettivi e misurati da statistiche internazionali delle Autorità investigative e di Polizia.
Rinvio ai numerosi rapporti della Commissione Ue, di Europol, Interpol, Gafi, Bce, Fmi, fino ad arrivare alle relazioni delle nostre Forze dell’Ordine, dei Servizi di sicurezza, della Direzione investigativa antimafia, della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Le monete digitali, invece, sarebbero create dalle Banche centrali, e non è un caso che lo Stato nel quale i lavori sono più avanti sia la Cina, Paese in cui sarebbe comparso per primo, secondo la mitologia, il bitcoin, la criptovaluta per eccellenza. Per espressa dichiarazione delle competenti autorità cinesi, lo yuan digitale verrebbe creato innanzitutto per stabilizzare il valore della moneta, renderla internazionale, più accessibile. Inoltre, avvicinare anche i soggetti non scolarizzati alle transazioni virtuali (dato l’enorme uso del contante in quel Paese), contrastare i reati finanziari e l’evasione fiscale.
Ma, soprattutto, combattere l’avanzata del mondo crypto: questo è dichiarato.Secondo uno studio della Banca dei regolamenti Internazionali del 2019, circa l’80% delle banche centrali ha allo studio ipotesi di valute digitali. E la Bce sta a buon punto, come ha di recente affermato la sua presidente, Christine Lagarde. Nel secondo semestre di quest’anno potrebbe avviarsi la sperimentazione, pandemia permettendo.Se ne è molto parlato e ormai è cronaca quotidiana qualche “citazione” riguardante il nuovo strumento; ma forse è opportuno spiegare di che cosa si tratta.A livello tecnico si parla, con l’acronimo inglese, di CBDC, Central Bank Digital Currencies.Una “forma digitale” di moneta ufficiale coniata dalle Banche centrali, che è diversa da quella oggi presente nei conti correnti e nel sistema dei regolamenti transazionali di denaro.Detto strumento è denominato nelle singole monete Ue, nel nostro caso, ed è nella disponibilità di ciascun governo, ovviamente – come oggi con l’euro – attraverso la Bce e il sistema europeo delle banche centrali.
Gli scopi principali già individuati per giustificare i vantaggi dell’emissione di questa tipologia di monete sono, ad oggi, i seguenti:
- garantire una continua disponibilità di moneta, anche di fronte ad un eventuale declino del contante, come sta avvenendo in Europa, seppur lentamente;
- garantire altresì la diffusione della moneta negli Stati (ma soprattutto regioni e siti) ove sia più difficile il reperimento del contante, specie al verificarsi di eventi naturali e umani che possano restringere la disponibilità dello strumento;
- fornire un nuovo strumento di trasferimento di denaro tra reti e intermediari, ad oggi più frammentati e con differenti sistemi organizzativi e di gestione a circuito chiuso;
- favorire l’inclusione finanziaria (laddove facilmente accessibile come strumento, aggiungiamo noi) di fasce di popolazione in difficoltà rispetto ai parametri sopra accennati;
- migliorare i pagamenti internazionali, specie se cross-border;
- salvaguardare la privacy, ovviamente laddove contemperata con le norme antiriciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo;
- facilitare i trasferimenti di fondi europei per gli aiuti comunitari agli Stati;
- agevolare la gestione della politica monetaria, affiancando agli strumenti tradizionali – contante e riserve – quelli digitali, per questo più flessibili, teoricamente, nel loro utilizzo.
D’altra parte, l’adozione di siffatte tipologie di monete comporta inesorabilmente dei rischi, che andiamo a riassumere:
- identificazione dei portatori e dei beneficiari di monete del tipo strutturato potrebbe essere più difficile; a tale proposito, lo studio della Bri precisa che le digital currencies non devono essere necessariamente pensate come strumenti di politica monetaria (che, infatti, resta secondo me intatta nei suoi capisaldi dogmatici e operativi);
- disintermediazione del sistema bancario, poiché le nuove monete potrebbero essere caricate su supporti durevoli, riducendo le giacenze e le aperture di conti correnti;
- incremento dei rischi di frodi e riciclaggio.
E’ chiaro che stiamo parlando di monete le quali, pur in forma dematerializzata, hanno e conservano le stesse fondamentali caratteristiche di quelle fisiche, altrimenti si perderebbe il significato stesso di “monete”: convertibilità, convenienza, accettazione condivisa e disponibilità, bassi costi di produzione e transazione, sicurezza, interoperabilità, flessibilità, stabilità, regolamentazione ferrea e centralizzata. Attualmente le sperimentazioni sono a buon punto, oltre che nella già nominata Cina, anche in Canada, negli Stati Uniti, in Francia e in Germania. Non credo che il processo diverrà attivo prima di quattro o cinque anni, a causa di problemi tecnici ma, in ispecie, politiche. Una digital currency si pone con prepotente attenzione in un mercato non solo monetario, ma anche economico unico. Inoltre, va risolta la rapportabilità alle monete extra-Ue, vanno completati i rilevanti protocolli di sicurezza, vanno affrontate le implicazioni geopolitiche di siffatte scelte. Anche perché per far circolare bene questa nuova moneta bisognerà completare la cosiddetta “Tips”, Target Instant Payment Settlement, la piattaforma digitale sulla quale dovrà girare l’euro digitale.
Si sta lavorando anche al cosiddetto “Uad” (Dispositivo di accesso universale), un sistema che consente l’individuazione del proprietario del conto digitale con metodi biometrici, che realizza il collegamento tra cittadino e società in termini di trasferimento di fondi. Senza contare che tutto gira, in conclusione, intorni al problema della nostra identità digitale, della data protection e della privacy, oggi sempre piu spesso oggetto di attenzioni “malefiche” da parte dei criminali informatici.
Nel frattempo, la nostra moneta cartacea, nonché quella cosiddetta “bancaria” (carte di credito et similia), potranno liberamente e convenientemente continuare ad essere utilizzate, senza fughe in avanti che potrebbero farci pentire dell’evoluzione digitale a tutti i costi.