di Pietro Romano
Una pagina bianca. A rappresentare lo sbigottimento e lo scoramento di fronte all’emergenza sanitaria che, oltre a mietere tante vittime, sta mettendo in discussione il nostro stile di vita. Vale a dire il concentrato delle nostre eccellenze culturali, sociali, economiche maturate nel corso dei secoli. Rimanendo – a sentire gli esperti incaricati – stabilmente in mezzo al guado rispetto al Covid-19. Anzi, ad ascoltare i più pessimisti, addirittura retrocedendo. Le domande che si affastellano nella mente di una persona di media intelligenza e cultura cominciano a diventare numerose. Troppe, per un cervello solo. E, non ottenendo risposte, i dubbi quotidianamente si accavallano. E la risposta ai dubbi che non ottengono risposta ufficiale, la più facile perlomeno, è appunto la pagina bianca. Troppo facile per un giornalista che dopo 43 – quarantatré – anni di professione dovrebbe avere la pelle delle dita talmente inspessita da non battere ciglio di fronte a niente. Nemmeno all’idolatria sanitaria e a tutto quello che ne discende. E allora cassiamo la pagina bianca come risposta e vediamo all’opposto quale sia la più complicata. E la più complicata è parlare d’altro. Come fa, del resto, questo numero di Ore 12 Sanità. Parlare d’altro vuol dire parlare di futuro. Ma quale futuro ci può essere senza una radicale politica demografica? Così proprio a questa emergenza – una emergenza primariamente italiana ma in grado di coinvolgere perfino la Cina tanto è contagiosa, quasi fosse un virus, e probabilmente lo è, un virus che attacca l’origine della specie umana, il più letale – la nostra rivista dedica la copertina. A seguire una serie di articoli molto interessanti – non dovrei dirlo io, d’accordo, ma spero che saranno i lettori a farlo, allora, ovviamente dopo l’auspicabile lettura – e soprattutto da punti di vista non mainstream. Ma tutti scientificamente e/o professionalmente avvalorati. Un adolescente lasciato praticamente solo a se stesso in balìa dei social quale vita vive? E il novantenne barricato in casa costretto a non abbracciare nemmeno gli affetti più cari vive? O calcola i giorni che spreca sempre più ansioso di fronte alla tv in vista della morte? E tutti noi quale vita viviamo? La realtà è che per combattere – com’è giusto e sacrosanto – il virus stiamo dimenticando tutto il resto. Che non è poco. E i bambini cominciano a suicidarsi. E gli anziani continuano a farlo. Eppure i mediani. Ma nessuno ne parla. Come nessuno, o quasi – ora finalmente cominciano a trapelare notizie di tanto in tanto – ricorda i morti di tante altre patologie. Sarà un caso, ma tanti miei conoscenti, anche in giovane età, nel 2020 sono morti di cancro o d’infarto. Sarà un caso o sarà che la concentrazione su un solo male, ancorché gravissimo, ci ha fatto dimenticare gli altri ammalati. Facendoli proliferare. Ed è giusto fare una scala di valori sulle malattie? Soprattutto tra malattie perlomeno altrettanto letali? Per non dire di chi si vede negare la visita oculistica per mesi e magari rischia di diventare cieco. In nome di che? Domande alle quali non può rispondere una rivista ma che una rivista, tanto più di divulgazione medica, può perlomeno porre. Con la discrezione dovuta. Ma anche con l’altrettanto dovuta diligenza. Dovuta a chiunque. Compresa a una serie di personaggi non sempre di serie A che dalle tv, dalle radio, dai giornali, dai siti ogni giorno orientano una informazione monotematica. Che sta cambiando la faccia della terra. Intervenendo a gamba tesa sulla politica, l’economia, la vita sociale.