Che cosa emerge dal report Sipri sul commercio di armamenti.
di Pietro Romano
La crescita del commercio internazionale di armamenti principali continua senza soste da vent’anni. Ma la quota italiana di questo appetibile mercato, che riguarda solo i prodotti sofisticati, è sempre più ristretta. Con pesanti ricadute non solo su tale industria, ad alto valore aggiunto e alta intensità occupazionale qualificata, ma anche sullo sviluppo di produzioni civili trainate dall’utilizzo duale di ricerca, sviluppo e innovazioni a uso militare. A radiografare questo universo il pensatoio svedese Sipri, tra i più accreditati del settore.
Tra il quinquennio 2010/2014 e il successivo lustro 2015/2019 il controvalore del commercio mondiale di armamenti principali è aumentato del 5,5 per cento. Quasi del tutto grazie agli acquisti dei Paesi del Medio Oriente (+ 61 per cento) e dell’Europa (+ 3,2 per cento) mentre diminuivano le importazioni di Americhe (- 40 per cento), Africa (- 16 per cento), Asia e Oceania (- 7,9 per cento). Al vertice dei Paesi importatori, nell’ordine, sono: Arabia Saudita (12 per cento del mercato con un crescita tra i due periodi in esame del 130 per cento ), India, (9,2 per cento con un decremento del 32 per cento), Egitto (5,9 per cento che significa + 212 per cento), Australia, Cina, Algeria, Corea del Sud, Emirati arabi uniti, Iraq e Qatar.
Sul fronte degli esportatori sono sempre gli Stati Uniti d’America a svolgere la parte del leone, addirittura accresciuta. Gli Usa sono passati da una quota del commercio mondiale pari al 31 per cento a una fetta del 36 per cento, segnando così una crescita relativa del 23 per cento. Al secondo posto rimane la Russia, con vendite in calo però dal 27 al 21 per cento del totale. Terza la Francia con un balzo del 72 per cento in termini relativi e una incidenza salita dal 4,8 al 7,9 per cento. Seguono Germania (5,8 per cento del commercio mondiale di armamenti sofisticati), Cina (5,5 per cento), Regno Unito (3,7 per cento), Spagna (3,1 per cento), Israele (3 per cento), Italia e Sud Corea appaiate (2,1 per cento). Da un quinquennio all’altro il nostro Paese ha perso lo 0,6 per cento del mercato pari al significativo calo del 17 per cento, inferiore nella top ten mondiale solo al decremento della Russia (- 18 per cento).
Da rilevare che la quota italiana circa dieci anni fa rappresentava il 3 per cento del commercio mondiale di armamenti. Non solo. Il nostro Paese, oltre a vedere drasticamente ridotto il suo ruolo di venditore, ha registrato anche un’impennata sul fronte delle esportazioni: l’Italia, diventata il 21esimo importatore mondiale di armamenti principali, tra il 2010/2014 e il 2015/2019 ha portato dallo 0,6 all’1,5 per cento la sua fetta nel commercio internazionale con una impennata del + 175 per cento, tra le più alte al mondo.