Un fenomeno sfuggente, ma che fa danni a 360°
di Ranieri Razzante
Che cos’è la corruzione? Domanda non retorica ma necessaria premessa a tutti gli studi sul tema.
Queste considerazioni le facevo tempo fa in un volume, e voglio riprenderle, poiché – purtroppo – non modificatesi in melius nel divenire di questi ultimi dieci anni.
Uno dei principali problemi da affrontare nell’analisi del fenomeno della corruzione è rappresentato dalla difficoltà di individuarne una definizione che possa essere ampiamente condivisa e rappresentare un concetto di comune riferimento.
In effetti, è opportuno premettere che non esiste una definizione di corruzione unica, completa ed universalmente accettata, non solo per motivi legati a diversità di tradizioni giuridiche, ma anche a causa di diverse sensibilità politiche, storiche e sociali. In particolare, oltre alla necessità di individuare comportamenti corruttivi di rilievo penale, emerge anche l’esigenza di circoscrivere il fenomeno nella sua valenza economica, politica e sociale.
Sotto il primo profilo, quello relativo alla definizione della corruzione nella sua rilevanza penale, essa può essere definita come «la condotta illegale di un pubblico funzionario il quale, in cambio di denaro o di altra utilità effettivamente ricevuta o semplicemente promessa, compie atti di ufficio oppure agisce in modo contrario ai suoi doveri».
Ciò premesso, e volendo analizzare il fenomeno della corruzione dal punto di vista economico, occorre partire dai tratti identificativi essenziali del concetto di corruzione: infatti, alla base dello scambio corruttivo vi è fondamentalmente un incrocio di interessi perseguiti dal corruttore e dal corrotto, interessi che possono essere di varia natura (anche non economica, ma comunque suscettibili di valutazione in termini economici) e che valgono a connotare il fenomeno stesso.
Sul piano economico, la corruzione, soprattutto ove alimentata da infiltrazioni della criminalità organizzata nella pubblica amministrazione, produce una serie di effetti distorsivi. Venendo, per l’appunto, ai costi del fenomeno, in realtà nessuno sa quanta corruzione ci sia in Italia, né nel resto del mondo, perché è un fenomeno difficilissimo da indagare.
Ed infatti, ai costi “economici” quantificabili in diversi miliardi di euro, si aggiungono quelli – di ancor meno agevole quantificazione – sempre economici ma “indiretti”: si pensi ai costi connessi ai ritardi nella definizione delle pratiche amministrative, al cattivo funzionamento degli apparati pubblici e dei meccanismi previsti a presidio degli interessi collettivi ovvero – per citare taluni settori maggiormente esposti al rischio corruzione – alla inadeguatezza se non inutilità delle opere pubbliche, dei servizi pubblici e delle forniture pubbliche realizzati, al mancato o insufficiente controllo pubblico sull’attività di trasformazione del territorio, alla non oculata allocazione delle risorse pubbliche.
Analisi di strettissima attualità, in tempi di pandemia. Molte inchieste sono già aperte.
Il CorruptionPerception Index (CPI) elaborato da Transparency International, appena pubblicato nella versione aggiornata, vede l’Italia ventesima sui 27 paesi Ue, mentre siamo 52esimi su 180 Stati selezionati nel mondo. I più virtuosi Danimarca, Nuova Zelanda (primi), Svezia, Svizzera, Singapore.
Il metodo potrebbe prestarsi a riserve, ma resta ad oggi il più utilizzato. Difficile trovare indicatori soggettivi e oggettivi i quali, incrociati, possano dare una stima del fenomeno.
Anche se, ovviamente, mancano in questo caso ponderazioni in base alle legislazioni vigenti nei vari Paesi, l’esistenza di autorità anticorruzione, poteri della magistratura, etc.
In una prospettiva ancor più ampia, la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi.
Il diffondersi dei fenomeni corruttivi reca con sé danni ulteriori, di tipo sistemico, non misurabili in termini economici, ma riguardanti i valori fondamentali per la tenuta dell’assetto democratico: l’eguaglianza, la trasparenza dei meccanismi decisionali, la fiducia nelle Istituzioni.
Volendo fornire una sintesi schematica dei danni cagionati da un fenomeno corruttivo di tipo diffuso e sistemico, sia consentito distinguerli a seconda che incidano:
• sulla crescita economica del Paese;
• sulla razionalità della distribuzione delle risorse;
• sul funzionamento delle istituzioni pubbliche e sulla legittimazione democratica delle stesse;
• sul tasso di fiducia dei consociati nella legalità ed imparzialità dell’azione degli apparati pubblici, il cui abbassamento è a sua volta causa della diffusione delle pratiche corruttive, determinando una contrazione della capacità sociale di percepire il disvalore stesso del fenomeno.
La diffusione del fenomeno corruttivo favorisce la concentrazione della ricchezza in capo a coloro che accettano e beneficiano del mercato della tangente, a scapito di coloro che invece si rifiutano di accettarne le condizioni. A ciò si aggiunga che la corruzione frena il progresso tecnologico delle imprese, incentivate ad investire nel mercato della tangente anziché in quello dell’innovazione e della ricerca.
Fra i settori maggiormente affetti dal “virus” si annoverano quelli in cui sono coinvolti ingenti capitali e/o dove l’intervento dello Stato può condizionare significativamente l’operare degli agenti: lavori pubblici e costruzioni, armi e difesa, prodotti energetici e telecomunicazioni, industria farmaceutica e sanità.
Lo stretto legame tra corruzione e criminalità organizzata, invece, è rinvenibile nei seguenti settori strategici:
- Ambiente ed edilizia; b) appalti per la realizzazione di opere pubbliche e servizi; c) finanziamenti pubblici e della Comunità Europea. d) riciclaggio e investimenti nell’economia legale; e) sanità.
Attualissimi, ripeto, i riferimenti ai presunti casi su vaccini, mascherine ed apparecchi e cure medicali durante il Covid.
Ma la consapevolezza delle classifiche non serve, a quanto pare, a frenare il fenomeno. Servono lo snellimento delle procedure burocratiche, la qualificazione professionale e morale dei gestori (non tutti, ovviamente), un approccio più aziendalistico che pubblicistico.
Questo comunque tenendo presente che, con riferimento alla classifica di Transparency International, siamo un po’ ingenerosamente collocati a metà classifica. La nostra legislazione preventiva e repressiva sono all’avanguardia, ed esportate in molti paesi del mondo. Forse non riusciamo però a comunicare bene ciò che siamo e facciamo. Un problema diffuso, e anche qui la politica sta indugiando troppo.